SALIRE

La Stella dell’Araucania

Emilio Salgari

Edizione a cura di Christian S. Lenci

Indice

Capitolo I - Il carcame di una balena
Capitolo II - Un dramma marittimo
Capitolo III - I canali dello Stretto di Magellano
Capitolo IV - Il Signor López
Capitolo V - La Stella dell’Araucania
Capitolo VI - Una caccia ai condor
Capitolo VII - Il giuramento di Mariquita
Capitolo VIII - Lo Stretto di Magellano
Capitolo IX - In mezzo ai ghiacci
Capitolo X - L’assalto dei patagoni
Capitolo XI - Sull’Atlantico
Capitolo XII - Fra i ghiacci
Capitolo XIII - La Terra del Fuoco
Capitolo XIV - Lo stregone
Capitolo XV - Il tradimento
Capitolo XVI - Il Cimitero dei Marangoni
Capitolo XVII - In cerca di Piotre
Capitolo XVIII - Prigionieri dei selvaggi
Capitolo XIX - Il capo bianco
Capitolo XX - La fuga
Capitolo XXI - Un dramma su un banco di ghiaccio
Conclusione

Correzioni


CAPITOLO I.

Il carcame d’una balena.

Nella huanera di porto Stokes il lavoro ferveva febbrile, senza un momento di tregua, fra un urlìo incessante dei sorveglianti e le imprecazioni rauche dei minatori, i quali si sentivano soffocare dalle pestifere esalazioni del guano e dal polverone che si levava, in nubi foltissime, sopra gli strati puzzolenti, depositati da secoli e secoli dagli uccelli marini.

Il luglio era già cominciato da qualche giorno e si era annunciato freddissimo e anche tempestoso, scatenando frequenti uragani e sollevando le poderose onde dell’oceano Pacifico.

Tutte le numerosissime isole che fiancheggiano l’estremo lembo dell’America meridionale e la vicina terra del Fuoco s’erano già coperte di neve e anche le coste dello Stretto di Magellano cominciavano a diventare impraticabili per le violentissime risacche prodotte dai venti impetuosi che regnano in quelle desolate regioni.

Nell’America meridionale il luglio corrisponde al gennaio, sicchè quando nel nostro emisfero settentrionale noi bruciamo dal caldo, laggiù invece si gela dal freddo.

Era quindi giunto il momento di abbandonare la huanera di porto Stokes, di dare un addio all’isola della Desolazione che stava per diventare un deserto di neve e di ritirarsi a Punta Arenas o nei porti cileni del Pacifico.

Non restava da far altro che completare il carico dell’ultima nave la quale rullava disperatamente fra le onde del porto, e che era frettolosa di andarsene, prima che qualche formidabile uragano la scaraventasse contro la costa o la trascinasse verso le scogliere pericolosissime e selvaggie delle Undicimila Vergini.

Il lavoro delle huaneras, così nelle isole Chincha, che sono le più ricche e che danno annualmente non meno di quattrocentomila tonnellate di guano, con immensi vantaggi del governo peruviano, come in quelle ultimamente scoperte sulle isole dello Stretto di Magellano o della Terra del Fuoco di proprietà del governo cileno, è ben più faticoso che quello delle miniere di carbone fossile. Solamente gli uomini robustissimi ed i coolies chinesi possono resistere al polverone giallastro e salino che li investe da tutte le parti accecandoli e agli orribili odori che si sprigionano da quegli ammassi di vecchie deiezioni. Un uomo debole od un novizio non potrebbe durare due ore senza correre il pericolo di morire asfissiato.

Quei depositi, formati da escrementi di uccelli marini, dai piqueros, dai sarcillos, dai gaviotas, dagli alcatraces, che sono specie di bruttissimi marangoni, che in quelle isole si contano a milioni e milioni, raggiungono spesso delle altezze considerevoli che toccano talvolta anche i trenta metri.

Sono disposti a strati orizzontali, molto spessi, ora ondulati ed ora bizzarramente contorti, specialmente verso la cima; oscuri in basso, dove si trova l’huano pardo o guano antico, grigiastri nel mezzo e rossastri in alto, trovandosi qui l’huano blanco ossia il guano depositato di recente.

Essi sono composti non solamente di sterco d’uccelli, bensì anche da uova e da rimasugli di pesci, essendo gli uccelli da guano dei formidabili pescatori, come sono pure dei formidabili mangiatori. E sono talmente ricchi di fosfati di calce e di ammoniaca, da triplicare le produzioni delle piantagioni delle Antille, del Perù, della Bolivia e di tutte le regioni del mondo.

Sebbene scoperte di recente, le huaneras di porto Stokes avevano già subito un taglio enorme nei loro strati; già una ventina di navi, destinate per l’Australia e pei porti dell’Africa del Sud avevano esportato migliaia e migliaia di tonnellate di quel prezioso intruglio, eppure le miniere erano ancora tanto ricche da poterne caricare tre volte tante.

Come però abbiamo detto, la cattiva stagione era sopraggiunta, colle sue tempeste e coi suoi uragani di neve; quindi i minatori che già da parecchi giorni soffrivano assai sotto le loro misere capanne improvvisate lungo la spiaggia, lavoravano alacremente per completare il carico dell’ultima nave.

Erano un centinaio d’uomini, raccolti in tutti i porti del Chilì e del Perù; per la maggior parte cholos, razza robusta derivata dall’incrocio del sangue spagnuolo coll’indiano, di statura piuttosto bassa, colla carnagione bruna e giallastra, coi capelli neri e lisci, la barba rada e gli occhi piccoli e vivissimi che hanno dei lampi selvaggi.

Sono però tipi briganteschi e poco attraenti, coi lineamenti disfatti dalle dure fatiche di quelle fetide miniere, colla pelle rôsa dai sali ammoniacali e le palpebre cinte di pustole, tutti cenciosi e coperti di polvere che i loro ampii cappelli di paglia di Guayaquil ed i loro sombreri di panno dalle tese gigantesche, non riescono a riparare.

Si arrampicavano sugli strati, zappando poderosamente, sternutando e tossendo incessantemente, staccando lunghi pezzi che altri uomini s’affrettavano a deporre nei sacchi e poi imbarcare su certe galere chiamate balsas, per trasbordarli poscia sulla piccola nave che ondulava in mezzo al porto.

Di momento in momento delle detonazioni rimbombavano ed immensi squarci s’aprivano fra gli strati, mandando in aria nuvoloni di polvere che acciecavano tutti per parecchi minuti, sprigionando fetori tali da far fuggire perfino i sorveglianti.

Erano mine che scoppiavano per disgregare l’huano pardo, che opponeva una incredibile resistenza anche ai picconi, per quanto robustamente maneggiati.

Di tratto in tratto degli uomini cadevano semi asfissiati e venivano portati al basso, dove con una tazza di chicha — specie di birra fatta con maiz fermentato — si rimettevano ben presto in gambe per riprendere il duro lavoro e subire qualche ora dopo un’egual sorte.

I sorveglianti, una mezza dozzina, tutti di razza bianca, e armati di quei corti fucili a bocca larga, chiamati trabucos, per prevenire qualsiasi tentativo di ribellione da parte dei minatori, li aizzavano con minaccie e con imprecazioni senza fine.

Avevano fretta di finire quella vitaccia da cani che durava da sette mesi e di tornarsene alle loro case situate nello stretto, a Punta Arenas; quella vitaccia non meno dura di quella dei lavoranti, quantunque non costretti a maneggiare i pesanti picconi, nè ad esporsi agli scoppi delle mine che frequentemente riuscivano fatali.

— Sbrigatevi, — diceva un giovane aiutante, bruno come un meticcio, cogli occhi neri e vellutati e che masticava con visibile soddisfazione alcune foglie di coca mescolate ad un pizzico di carbonato di potassa. — Il tempo torna a diventare minaccioso e la Pillán vuole levare l’àncora prima di sera.

— Vi sarà doppia distribuzione di caña, è vero, Pardo?

— E chicha in abbondanza, — rispose un vecchio sorvegliante dal viso rugoso e la barba quasi bianca, che si teneva stretto indosso il poncho dai colori brillanti, per ripararsi dai soffi freddissimi che venivano dalle alte montagne della Terra del Fuoco.

— Finiremo, Pardo?

— Dobbiamo terminare, — rispose il vecchio.

— Hai anche tu fretta di tornartene a casa?

— È un bel po’ che non vedo Mariquita.

— La figlia di don López? Quella bella fanciulla che chiamano la Stella dell’Araucania?

— Voglio assistere al suo matrimonio, mio caro José. L’ho fatta danzare sulle mie ginocchia e mi chiama papà Pardo; come vorresti che io mancassi alla festa?

— È tornato Alonso?

— Deve essere approdato a Punta Arenas e con un bel carico di certo. Un bravo baleniere, quel giovane! Non v’è l’eguale in tutte le coste del Pacifico e anche dell’Atlantico.

— E Piotre? — chiese il giovane sorvegliante. — Che colpo per lui!

— Si rassegnerà a perdere Mariquita. Doveva arrivare prima di Alonso!

— Hum! Non so se rimarrà tranquillo. Quell’uomo può essere pericoloso.

— Lo è stato un tempo. Io so che già per due volte ha cercato di abbordare la barca di suo cugino Alonso, approfittando della nebbia, e so pure che una volta ha tentato di tagliarla in due con un buon colpo di sperone.

— Dicerie, forse.

— No, — disse il vecchio sorvegliante. — La notte in cui Piotre tentò di spaccare in due la barca, ero io al timone ed ho evitato la speronata per puro miracolo.

— Vi eri tu! — esclamò il giovane.

— Sì, José. Ero mastro d’equipaggio a bordo della Rosita.

— Era una notte nebbiosa?

— Non ci si vedeva a venti passi.

— E come hai potuto evitare l’urto della Quiqua?

— Con un colpo di timone dato appena a tempo, — rispose Pardo. — Se avessi tardato due soli secondi, la Rosita veniva spaccata a metà, e penso che in quel momento eravamo lì attraverso il Capo Horn e che il mare ci spingeva violentemente verso quella formidabile scogliera.

— Allora Piotre non si rassegnerà, — disse José, il quale era diventato assai pensieroso. — Mi rincrescerebbe per Mariquita, che gode tanta simpatia a Punta Arenas.

— Veglieremo su di lui, amico, — disse il vecchio. — Non sono più giovane, è vero; ma le braccia sono ancora solide e tengo sempre la navaja nella mia cintura.

— Dove si trova ora Piotre?

— È un anno, ossia da quando Mariquita gli ha rifiutato la mano, che si è ritirato al Porto della Fame.

— È tornato dalla pesca? — chiese José.

— Sì, deve essere ritornato da qualche mese, — rispose il vecchio. — Mi hanno detto d’aver scorto la Quiqua ben carica, imboccare il canale di Mesier.

— Vorrei già essere a Punta Arenas.

— Questa sera c’imbarcheremo, José. Prima del tramonto la Pillán avrà completato il carico e noi saremo finalmente liberi.

Ho già dato ordine di preparare la nostra scialuppa. —

Alcuni tocchi di campana interruppero la loro conversazione. Era il segnale del riposo, breve ma assolutamente necessario, per non sfinire completamente quei disgraziati che si asfissiavano in mezzo al polverone ed alle esalazioni ammoniacali sprigionantisi dagli squarci aperti negli strati di guano. I minatori, pallidi, disfatti, cogli occhi gonfi e le palpebre rosse, avevano gettati i picconi, lasciandosi scivolare giù da quei cumuli, e si radunavano a gruppi sulla spiaggia, attorno a dei fuochi che facevano bollire pentole e caldaie di rame di mostruose dimensioni e dove, sotto la cenere calda, si cuocevano enormi tamales, specie di focaccie di farina di mais, condite con grasso, che nel Chilì e nel Perù surrogano bene o male il pane.

Le scodelle circolavano e si vuotavano con prodigiosa rapidità, senza che le enormi caldaie accennassero ad esaurirsi. Quei minatori, dotati d’uno stomaco eccezionalmente robusto, assaporavano appena, tanta era la loro fame la chupe de chiche, mistura composta d’insetti acquatici assai buoni; o la puchero, miscuglio composto di carne, di salsiccia, di tuberi, di banani, di radici con abbastanza pepe rosso, una vera olla podrida; o la quinua atamalada, piatto formato con un seme assai usato dagli indigeni.

Ma sopratutto vuotavano i fiaschi di chicha e di guiñapo, birra migliore della prima, ottenuta colla fermentazione del guiñapo, dopo che questo è stato fatto masticare per bene... da vecchie sdentate!...

I primi saziati facevano subito posto agli altri, sdraiandosi sulla sabbia della spiaggia a godersi un po’ di sole ed a masticare un boccone di coca sapientemente preparata.

Questa coca, che nel Perù e nel Chilì tiene luogo del tabacco e di cui si fa un uso smodato al pari del tabacco da parte degli europei, è un miscuglio composto di foglie verdi, prodotte da un arbusto detto matu cancha dagl’indigeni, che cresce nelle valli ben riparate delle Ande, d’un pizzico di carbonato di potassa, ricavato dallo stelo della quinua, e di calce, il tutto impastato con un po’ d’acqua.

Per prepararsela masticano prima alcune foglie formando una pallottola, poi la impastano colla calce e col carbonato, quindi se la cacciano in un angolo della bocca impiegando il maggior tempo possibile per mangiarla, onde prolungare quella specie d’estasi che produce e che può anche calmare la fame per un tempo abbastanza lungo.

Il pasto stava per finire, quando dall’alto d’una rupe che scendeva a piombo sulla baia, si udì improvvisamente una voce a gridare:

— Laggiù!... Una balena!... All’isola Grafton!... —

Tutti si erano alzati, lasciando le scodelle e anche i fiaschi. Un uomo, ritto sulla cima della rupe, si sbracciava accennando al largo e gridando sempre: — Una balena!... Una balena!... —

Quantunque quei giganteschi cetacei siano anche oggidì non rari nei dintorni della Terra del Fuoco e si mostrino spesso anche sulle spiaggie meridionali del Chilì, pure quel grido aveva prodotto un certo effetto fra i minatori.

Pardo sopratutto, vecchio baleniere, si era subito slanciato verso la rupe, seguito da José, mentre altri accorrevano verso la spiaggia per avvertire i marinai della nave.

— Ehi, vecchio Morales! — gridò Pardo, salendo faticosamente la rupe. — Non sarà questo un cattivo scherzo, suppongo!... Non ho più le mie gambe di vent’anni!

— No, accorrete, è una vera balena! — gridò il minatore. — Sta girando quella punta e le onde la spingono da questa parte.

— La spingono!... Nuota, vuoi dire.

— No, Pardo; mi sembra morta.

— Vi sarà qualche nave dietro.

— No, è sola.

Canario!... Vediamo! —

Il vecchio baleniere, con un ultimo sforzo ed aiutato anche da José, era riuscito a raggiungere la cima dello scoglio il quale, essendo altissimo, dominava un vasto tratto d’oceano e anche la punta settentrionale che chiudeva il porto di Stokes.

— Dov’è questa balena? — chiese.

— Laggiù, non la vedete? — rispose il minatore, tendendo un braccio verso l’occidente. — Guardate, passa in questo momento al largo della punta e pare voglia andarsene verso Grafton.

— Che sia invece la carcassa d’una nave?

— Ho gli occhi ancora buoni, quantunque bruciati dalla polvere. È una vera balena, e morta; vedo che ha due ramponi confitti nei fianchi.

L’ho veduta nel momento in cui un’onda la rialzava e sono sicuro di non essermi ingannato. —

Il vecchio baleniere si spinse fino sull’orlo estremo della rupe e lanciò un rapido sguardo sull’oceano, che al largo era percorso da grosse ondate spumeggianti, le quali correvano ad infrangersi, con mille muggiti, contro le coste dell’isola della Desolazione.

— Non hai preso abbaglio, tu? — chiese.

— No, Pardo, — rispose l’interrogato. — Sono dieci minuti che io la osservavo.

— Dove si trova, ora?

— Dietro quella scogliera.

— E tu hai veduto due lance?

— Sì, ve lo giuro.

— Non occorre che tu giuri, — disse il vecchio. — Tu hai sempre avuto buoni occhi, Morales, e sei stato marinaio al pari di me. Se si tratta veramente d’una balena morta, noi ce ne impossesseremo e tutti i minatori avranno la loro parte.

— La vedete ora? Ecco che riappare dietro quella punta rocciosa. —

Il vecchio si mise una mano dinanzi agli occhi, per ripararsi dai raggi solari che proiettavano dei bagliori acciecanti e guardò a lungo.

— Sì, — disse, dopo alcuni istanti. — Tu non ti sei ingannato. È una fortuna che sta per giungere a noi, che ci roviniamo la vita fra queste huaneras.

— Guardate la sua testa enorme.

— La vedo benissimo.

— E le due lance?

— Sì, sono due. Chi può averla ramponata e poi abbandonata? Una nave baleniera non l’avrebbe lasciata andare a meno che...

— Che cosa volete dire?

— Non sia naufragata prima di raggiungerla, — rispose il vecchio.

— Che sia stata uccisa da Alonso? — chiese José. — Tu mi hai detto che non sei certo che sia tornato colla sua nave a Punta Arenas.

— Zitto, — disse il vecchio, che aveva provato una rapida commozione. — Se fosse stata uccisa da lui e non si scorgesse la sua nave... avrei paura di una disgrazia.

— Forse è già a Punta Arenas e fa i preparativi del matrimonio, — disse José. — Oh! Guarda! Non vedi?...

— Sì, che la corrente ed il vento spingono la balena verso di noi, e che si tratta d’un cetaceo enorme, mio caro.

— Guarda meglio, — disse. — Fra le gibbosità del dorso vedo due forme che si direbbe rassomiglino...

— Per la mia anima! — esclamò il vecchio baleniere, impallidendo. — A due uomini, vuoi dire?

— Sì, Pardo.

— È vero, — disse il minatore Morales.

— E che pare non diano segno di vita, — aggiunse il baleniere.

— Sì, Pardo, a meno che non dormano.

— È impossibile, José, — rispose il vecchio, la cui emozione aumentava. — Due uomini non oserebbero dormire, specialmente così vicini alle coste. Devono essere morti o moribondi.

— Pardo, facciamo levare l’àncora alla Pillán e andiamo ad abbordare quella balena, — disse José. — Forse noi giungeremo in tempo per salvarli.

— La Pillán ha ancora da inferire le vele ai pennoni e perderemmo troppo tempo. Abbiamo la nostra scialuppa e fra questi minatori i bravi marinai non mancano.

Vieni, José, andiamo ad accostare quel cetaceo. —

Mentre stavano scendendo, i minatori delle huaneras, quasi avessero indovinato le loro intenzioni, avevano spinto in acqua una grossa scialuppa che era stata fino allora in secco sulla spiaggia, per metterla al riparo dalle forti ondate dell’oceano.

— Ragazzi! — gridò il vecchio Pardo. — Chi vuole seguirmi? —

Venti o trenta uomini, quasi tutti marinai o vecchi pescatori, si erano fatti innanzi.

— Bastano otto, — disse Pardo. — Salgano i più robusti, gli altri non perderanno nulla nell’attesa, perchè la balena apparterrà a tutti. —

Otto robusti garzoni balzarono come un solo uomo nella scialuppa, afferrando prontamente i remi.

Il vecchio baleniere sì mise alla barra del timone, mentre José prendeva posto sull’ultimo banco, chiedendo:

— Dobbiamo alzare l’albero e spiegare la vela?

— È inutile, — rispose il vecchio. — La raggiungeremo egualmente, prima che le onde la respingano al largo. —

La scialuppa si staccò dalla riva, passando a poppa della nave e fra le balsas che tornavano scariche, quindi si diresse rapidamente verso la punta settentrionale, lottando vigorosamente contro le onde.

L’oceano era cattivissimo, quantunque non tempestoso. In quelle regioni d’altronde è un caso raro trovarlo calmo nella vicinanza delle coste, in causa dei poderosi colpi di vento, chiamati dai balenieri williwaws, che soffiano dalle aspre e profonde gole della vicina Terra del Fuoco e anche dall’isola della Desolazione. Quelle raffiche impetuose, che non cessano quasi mai durante la stagione invernale, si ripercuotono contro le montagne e contro le numerosissime isole che circondano quelle terre e abbattendosi poscia sull’oceano, sollevano dei cavalloni che mettono quasi sempre in grave apprensione i naviganti.

La scialuppa montata da Pardo e dai suoi compagni era a prova di scoglio, coi bordi assai alti, con lunga chiglia e d’una stazzatura non comune, avendo una portata di nove tonnellate. Per di più gli uomini che la montavano erano stati tutti marinai e conoscevano i pericoli che presentano quei paraggi.

Abilmente guidata dal vecchio mastro, uscì dal porto, sormontando leggermente le onde, le quali si accavallavano con furore e andavano ad infrangersi con terribili muggiti contro le spiaggie sollevandosi in sprazzi colossali.

La balena non era lontana che mezzo chilometro dalla punta settentrionale del porto Stokes e spinta dal vento e trascinata fors’anche da qualche corrente marina, s’avanzava lentamente verso il mezzodì, ora sprofondando pesantemente nelle voragini dei marosi ed ora risalendo le creste spumeggianti, con un largo dondolìo.

Era una di quelle balene chiamate, dai pescatori, a due pinne, specie piuttosto rara, e che s’incontrano solamente nei mari antartici; e una delle più grosse, avendo una lunghezza di almeno diciotto metri.

Somigliano alle altre, tuttavia la loro pelle, invece di essere nerastra, è grigio-verdastra, hanno poi il muso largo e ottuso, la mascella inferiore più sporgente della superiore, invece di una sola pinna dorsale, due bene sviluppate, diritte, di forma triangolare, perfettamente separate, e gli occhi, quantunque più piccoli, assai più intelligenti e vivaci.

Sul dorso di quell’enorme cetaceo, un po’ verso la prima pinna, eran confitti due ramponi ai quali si vedevano ancora appese delle lenze e che avevano prodotto due squarci considerevoli, dai quali doveva essere uscito il sangue in gran copia, vedendosene raggrumato lungo tutto il fianco, fino al livello d’immersione.

Più sopra invece, fra le gibbosità delle due pinne, si vedevano due esseri umani aggomitolati l’un presso l’altro e che pareva non dessero più segno di vita.

Sopra di loro moltissimi uccelli marini, dei marangoni neri e dei lestri antartici, che hanno artigli come gli uccelli rapaci e dei gaviotas, svolazzavano in gran numero, senza dimostrare paura alcuna, ora innalzandosi ed ora abbassandosi per strappare dal corpo del cetaceo qualche pezzo di lardo.

— Quei disgraziati devono essere morti e anche da lungo tempo, — disse il vecchio baleniere a José.

— Lo sospetto anch’io, — rispose questi con voce triste. Da dove verranno quei miseri e a quale nave avranno appartenuto? Riusciremo noi a saperlo?

— Forse chissà che non troviamo su di loro qualche documento.

— Che questa balena sia morta da molte settimane?

— Di certo, — rispose il vecchio. — Ha il dorso quasi privo della pelle e vedo dei lembi di lardo pendere dai suoi fianchi.

Gli uccelli marini e anche i pesci cani devono essersene nutriti abbondantemente e tu sai che, nè gli uni nè gli altri osano avvicinare questi cetacei se non dopo che sono morti e anche da qualche tempo.

— Non ci sarà sui manichi dei ramponi il nome della nave a cui appartenevano? — chiese José.

— No, lo troveremo invece sulle doghe.

— Che cosa sono queste doghe?

— Tavolette di sughero attaccate all’estremità delle lenze, su cui sono impresse, col ferro rovente, le cifre della nave e talvolta anche le iniziali del capitano. Ciò si usa onde nessuna altra nave s’impadronisca d’una balena uccisa da altro equipaggio ed in ciò, devo dirlo a loro onore, i balenieri sono leali.

— Sicchè noi sapremo almeno a quale nave appartenevano quei due marinai?

— Sì, se le lenze non si sono spezzate.

— E perchè quei due uomini si sono rifugiati sul dorso della balena? Ecco una cosa che non so spiegarmi, Pardo, — disse José.

— Io suppongo che la balena abbia sfondata la scialuppa che le dava caccia e che quei marinai, probabilmente i soli superstiti, si sieno aggrappati in tempo alle lenze.

— E la loro nave perchè non è andata in loro soccorso?

— Mio caro José, — disse il vecchio, — quando le balene vengono ferite, fuggono e non vi è nessuna nave, per quanto rapida, che possa tenere loro dietro.

Forse quella a cui apparteneva la scialuppa sta ora cercandola e non sarei sorpreso di vederla comparire da un momento all’altro, a menochè...

— Prosegui, Pardo, — disse il giovane.

— Non sia stata affondata da un colpo di testa del cetaceo. Di questi casi ne sono avvenuti. Ohè, ragazzi, forza ai remi. Giriamo il Capo e l’oceano è assai mosso. —

CAPITOLO II.

Un dramma marittimo.

La scialuppa aveva girato il capo meridionale di porto Stokes ed ora s’avanzava verso l’oceano, lottando faticosamente contro le onde che l’assalivano con violenza, non essendo più protetta dalle scogliere che fino allora avevano fatto argine, scemandone la furia.

Il Pacifico offriva uno spettacolo poco rassicurante, quantunque in quel momento nessuna raffica soffiasse dalla Terra del Fuoco. I cavalloni, trovando ostacolo nella barriera d’isole che si stendono lungo tutte le coste della Desolazione, rimbalzavano rabbiosamente, con detonazioni così violente che parevano prodotte da centinaia di pezzi d’artiglieria.

Si spezzavano, tornavano a formarsi risalendo le coste con impeto irrefrenabile, poi ridiscendevano tumultuosamente lasciando scoperti gli scogli e le spiaggie per lunghi tratti. Quindi riprendevano i loro formidabili assalti causando delle contro-ondate estremamente pericolose, anche per una scialuppa così grossa e così robusta come era quella montata dai minatori delle huaneras.

In mezzo a quelle masse liquide giocherellavano, dirigendosi tutti verso la balena, centinaia e centinaia di micropteri, uccellacci strani, grossi come oche, colle ali così brevi da non permettere loro di volare e che pure in acqua nuotano con incredibile rapidità, aiutandosi coi loro moncherini e coi piedi palmati e riuscendo così a percorrere perfino dieci miglia all’ora.

Si lasciavano cadere dalle rocce della costa a battaglioni e, venendo scaraventati dalla violenza delle onde, si spingevano al largo, lasciandosi dietro una vera scìa spumeggiante, come se fossero microscopici piroscafi. Avevano scorto il cetaceo e accorrevano a prendere parte al banchetto, essendo formidabili divoratori.

Anche i guanaes, ossia uccelli del guano, si dirigevano in bande numerose, schiamazzando a piena gola, verso l’enorme massa, gareggiando, con grande velocità, per giungere prima. Erano stormi di patillos, di marangoni, di sarcillos e di piqueros ed erano così numerosi che un colpo di trabuco avrebbe prodotto delle vere stragi.

— Vanno a contendersi il lardo della balena, — disse José. — Ne rimarrà però sempre in abbondanza anche per noi.

— Nondimeno affrettiamoci, — rispose il vecchio Pardo. — Ho veduto fra quei volatili anche degli avvoltoi neri e questi si attaccano più ai cadaveri umani che ai cetacei. Potrebbero guastare i visi dei due marinai e renderli irriconoscibili.

— Speri di riconoscere quei due disgraziati?

— Sono ben pochi i balenieri che non conosco, — rispose il vecchio, — avendo navigato su più di venti navi cilene, argentine ed anche inglesi delle Falkland.

Badate, giovanotti! Date dentro ai remi e attenti ai colpi di mare. Ancora dieci minuti e abborderemo la balena.

Tu, José, prepara l’ancorotto che passeremo ai fanoni onde poterla rimorchiare in porto; penseremo poi agli uomini.

Già non devono, pur troppo, aver più bisogno del nostro aiuto. —

La barca, spinta da quegli otto remi poderosamente manovrati, si accostò all’immenso cetaceo. Esso aveva gran parte della testa fuori dell’acqua e la bocca spalancata, tenuta così dall’incrociarsi accidentale dei fanoni, che sono quelle lunghe lamine d’osso, dentellate ad uno dei margini e variegate, che scendono diritte, formando una specie di siepe e che forniscono i così detti ossi di balena, che si adoperano nella fabbricazione degli ombrelli di lusso.

Quell’apertura entro cui si precipitavano le onde, muggendo fragorosamente, come se entrassero in una caverna marina, era così immensa da contenere senza fatica la barca e tutti gli uomini che la montavano e di più anche un’altra più piccola.

Vedendola, si sarebbe potuto credere che quella gola fosse stata unicamente creata per inghiottire tuttociò che si presentava; invece no, perchè le balene sono tutt’altro che delle formidabili mangiatrici. Si possono anzi chiamare povere pescatrici che si guadagnano faticosamente il vitto coi loro fanoni e colla loro lingua, contentandosi di una minuscola frittura, che i pesci cani ed i delfini sdegnerebbero.

Il vecchio baleniere assicurò nella mascella inferiore del cetaceo un grosso arpione, munito d’una solida catena, poi allontanò con una spinta la scialuppa per raggiungere il fianco destro della gigantesca massa e tentarne la scalata.

Da una fiocina pendeva una corda, una funicella abbastanza grossa per sorreggere il peso d’un uomo. Il baleniere ritirò dall’acqua la parte sommersa, sperando di trovarvi la tavoletta portante le iniziali del capitano ed il nome della nave.

— Si vede? — chiese José, che si era alzato.

— Non c’è più, — rispose il vecchio. — La corda è stata spezzata.

— Puoi salire sul dorso della balena?

— Spero di sì.

— Lascia a me questo onore, — disse José, scavalcando rapidamente i banchi. — Sono più giovane e anche più svelto. —

S’aggrappò alla funicella e, puntando i piedi sul fianco della balena che era irto di protuberanze, cominciò a salire senza scosse, perchè il rampone non si staccasse o il manico che è di legno, non si spezzasse.

I suoi compagni tenevano la barca accostata per essere più pronti a raccoglierlo, nel caso che cadesse.

Il giovane, forte e destro come era, in pochi momenti raggiunse l’asta e s’inerpicò sul dorso del cetaceo, avanzandosi verso i due cadaveri, che, come abbiamo detto, stavano coricati l’uno presso l’altro.

Erano due uomini sulla trentina, di forme erculee, che indossavano lunghi gabbani di tela cerata, calzoni di grosso panno azzurro e pesanti stivali di mare.

Ambedue avevano lunghe barbe rossiccie ed i lineamenti spaventosamente alterati da una lunga e probabilmente straziante agonia. Le loro gote erano incavate, i loro nasi già incancreniti, la fronte priva della pelle strappata dagli uccelli marini e le orbite vuote.

José era rimasto atterrito, vedendoli in quello stato miserando e si era fermato a qualche distanza osservandoli attentamente per cercare di riconoscerli. Quantunque fossero così malconci, gli pareva che quei volti non gli fossero del tutto ignoti.

— Sono morti? — chiese una voce dietro lui.

Era il vecchio baleniere il quale era riuscito, dopo non lieve fatica, a raggiungerlo.

— Sì, — rispose José, con voce tremante. — Devono essere morti di freddo e fors’anche di sete.

— Non li hai mai veduti?

— Guardali anche tu, Pardo. —

Il pescatore fece alcuni passi innanzi, poi un grido gli sfuggì dalle labbra.

— Ah! Poveretti!... Povera Mariquita! Che disgrazia! Che disgrazia!...

— Cos’hai, Pardo? — chiese José, spaventato.

— Non li hai riconosciuti?

— No... eppure... quello lì dalla barba rossa ed arruffata ha un viso che non mi pare nuovo.

— Sono i fratelli Darranos.

— Ne sei sicuro? — chiese José, con voce soffocata, strozzata.

— Hanno pescato tre anni di seguito con me.

— Allora la Rosita si è perduta!...

— Stritolata dalla balena... inghiottita... non so... Povero Alonso!,... Io sospettavo che una disgrazia fosse piombata sulla sua barca da pesca!...

— Si erano imbarcati con lui questi disgraziati?

— Li avevo arruolati io.

— E come si trovano qui soli? E gli altri? E Alonso? Che sieno tutti morti?

— Penserà il direttore delle huaneras a fare un po’ di luce su questo naufragio. Lui sa leggere e noi no. —

Il baleniere così dicendo si era curvato sul cadavere più vicino e gli aveva strappato dalla destra un fascio di carte, che teneva fra le dita raggrinzate.

— Che vi sia qualche cosa scritto lì sopra? — domandò José.

— Vedo delle parole.

— Scendiamo subito, amico Pardo.

— Adagio, prima caliamo questi disgraziati nella scialuppa. Daremo loro onorata sepoltura, invece di lasciarli in pasto alle procellarie e ai gabbiani.

— È inutile, se noi dobbiamo rimorchiare la balena alla spiaggia. Li leveremo più tardi.

— Vediamo prima se hanno altre carte. —

Il pescatore, quantunque provasse un profondo senso d’orrore a toccare quei cadaveri, frugò le loro tasche, assai ampie, che si aprivano dietro il dorso; ma non trovò che un coltello, una pipa, due borse da tabacco vuote, ed un pezzo di matita che pareva fosse stata rosicchiata.

Si mise tutto nella larga cintura di lana che gli stringeva la casacca, poi s’aggrappò alla fune, facendo segno a José di seguirlo.

I minatori, che erano rimasti nella scialuppa, li attendevano con impazienza ed anche con angoscia.

— Sono morti? — chiesero tutti, quando il vecchio e José furono nella scialuppa.

— E da parecchie settimane, — rispose il baleniere, il quale pareva che frenasse a stento le lagrime.

— Chi sono?

— Miei amici.

— Ma chi...? —

Il pescatore, invece di rispondere, fece cenno di riprendere i remi, indicando Porto Stokes.

I minatori, aiutati da José, allontanarono la scialuppa che le onde minacciavano di travolgere, scagliandola contro il capo della balena, assicurarono la catena all’anello di ferro della poppa e si misero ad arrancare poderosamente, rimorchiando l’enorme massa.

Il vecchio Pardo, seduto a poppa, cupo e triste, non aveva più pronunciato una parola. Solo, di quando in quando, si passava furtivamente la callosa sinistra sul volto rugoso, per asciugare probabilmente qualche lagrima.

— Povero vecchio, tu pensi a Mariquita, — gli disse José, dolcemente. — Forse la disgrazia non è avvenuta; noi non abbiamo ancora conosciuto il contenuto di quelle carte.

Può darsi che quella balena sia stata uccisa da Alonso e poi perduta, ma che la sua barca da pesca abbia raggiunto egualmente Punta Arenas.

In tal caso la disgrazia non sarebbe così grave come tu immagini.

— Non sono che speranze, — rispose il baleniere, con un sospiro. — Nessuno mi ha detto che la Rosita sia tornata dalla sua campagna di pesca.

— Dove era andata?

— Al Sud del Capo Horn, nell’Antartico.

— Può essere risalita lungo le coste orientali della Terra del Fuoco e rientrata nello stretto dal Capo dello Spirito Santo. Dimmi, vi è una corrente che dal Capo Horn sale verso il Chilì?

— Sì, — rispose il baleniere.

— Dunque può darsi che quel cetaceo sia stato ucciso presso una delle numerose isole della costa meridionale della Terra del Fuoco e che poi sia fuggito al nord, venendo a morire in questi paraggi.

— E tu ammetteresti che la Rosita l’avrebbe abbandonata, José? Oh no! Un baleniere non lascia la preda e la cerca fino a che non l’ha trovata.

— Una burrasca può aver costretto Alonso a doppiare il Capo Horn e tu sai che laggiù scoppiano di frequente e con una violenza terribile.

Suvvia, Pardo, non ti disperare ancora. —

Il vecchio scrollò tristamente il capo, poi disse con voce sorda:

— Il mio cuore mi dice che una disgrazia è toccata alla baleniera di Alonso Gutiérrez, e che Mariquita non rivedrà mai più il suo fidanzato.

Che schianto per quella povera fanciulla e anche pel signor López!

— Dimmi, Pardo, a quest’ora tutte le baleniere dovrebbero essere tornate ai loro posti, è vero?

— Sì, — rispose il vecchio, — e da qualche mese. In Giugno la pesca finisce e anche prima, per non esporre le navi al pericolo di venire bloccate dai ghiacci che in questa stagione scendono molto verso il nord.

— Quando partiremo per Punta Arenas?

— Il più presto possibile: questa sera stessa e anche prima, se otterremo il permesso dal signor Dalmanda.

— Non ce lo rifiuterà, trattandosi di una cosa così grave.

Ecco le scialuppe della Pillán che ci vengono in aiuto per rimorchiare la balena. Fra un quarto d’ora saremo a terra e sapremo che cosa contengono questi foglietti.

— Nulla di buono, purtroppo, José, — rispose il baleniere, con un sospiro. — Facciamo presto. —

Due scialuppe, montate da una dozzina d’uomini appartenenti alla nave che stava completando il suo carico di guano, erano uscite dal porto per prestare aiuto ai minatori, i quali faticavano immensamente a trascinare il cetaceo che le onde trastullavano, minacciando di spezzare la catena.

Con quel rinforzo l’entrata nel porto non fu così difficile come i minatori avevano dapprima temuto. Le tre scialuppe, manovrando abilmente, si misero al coperto dietro la barriera degli scoglietti i quali facevano argine all’irrompere dei cavalloni. Così, passando dietro la Pillán, la quale aveva abbassata la bandiera a mezz’asta in segno di lutto, si fermarono dinanzi al gruppo di capanne provvisorie erette dai minatori.

Tutti gli abitanti del porto si erano raccolti sulla spiaggia per ammirare il mostro marino, curiosi di sapere chi fossero i due disgraziati che si trovavano rannicchiati sul dorso gigantesco.

Mille domande s’incrociavano.

— Sono morti?

— Sono stati riconosciuti?

— Cileni o argentini?

— Avete trovato la tavoletta di sughero? —

Il vecchio Pardo aveva risposto queste sole parole:

— Avvertite il signor Dalmanda. —

Poi era balzato a terra, seguito da José, mentre i marinai della Pillán ed i minatori della scialuppa assicuravano con gomene e catene l’enorme balena, per impedire ai marosi di spingerla verso il fondo della baia o di ricondurla al largo.

— Che cosa dobbiamo fare di quei due cadaveri? — chiese un minatore, fermando il baleniere.

— Che nessuno per ora li tocchi, — rispose il vecchio.

— E della balena?

— Tornate alle huaneras e completate il carico della Pillán. Domani vi occuperete di questo mostro.

Vi sono uomini pratici fra voi?

— Sì, Pardo. Una ventina sono stati balenieri come voi.

— A domani. —

Il vecchio e José si diressero verso una casettina costruita in pietra, ad un solo piano, abitata dal direttore delle huaneras e, senza farsi annunciare, entrarono in una stanzetta, l’unica che serviva ad un tempo da ufficio, da stanza da pranzo e da camera da letto.

Il signor Dalmanda, che pareva non si fosse ancora accorto di nulla, s’alzò dietro il suo scrittoio ingombro di carte coperte di cifre, salutando con un gesto della mano i due sorveglianti.

Il direttore della miniera era un bell’uomo, sulla quarantina, alto, ben quadrato, col colorito assai bruno e gli occhi nerissimi ed intelligenti.

— Già tornato, Pardo? — chiese.

— Voi sapete, signor Dalmanda...

— Sono stato avvertito della vostra spedizione e quantunque mi prema assai terminare per questa sera il carico, l’ho approvata pienamente. Una balena vale molte migliaia di scudi e sarebbe stata una sciocchezza a perderla.

— È vero, signor Dalmanda, ma voi non sapete che cosa abbiamo trovato sul dorso del cetaceo, — disse Pardo.

— Due cadaveri, mi hanno detto.

— Che io ho riconosciuti, signore.

— Voi?...

— Facevano parte dell’equipaggio della Rosita.

— Di Alonso Gutiérrez?... Di quel bravo e disgraziato ufficiale della marina argentina?

— Sì, signore.

— Una disgrazia a lui! — esclamò il direttore con voce commossa. — Me ne rincrescerebbe assai per lui e per don López de Orellana.

— Tutto lo fa supporre, ma voi diluciderete meglio la cosa, perchè abbiamo trovato nella tasca di uno di quei due marinai dei documenti che vi sarà facile decifrare.

— Dei documenti! — esclamò il signor Dalmanda. — Date; date qua subito, Pardo.

Forse potremo sapere qualche cosa della sorte toccata alla Rosita. Oh! lo sospettavo! Questo ritardo mi inquietava.

— Voi dunque sapevate che non era tornato a Punta Arenas? — chiese il baleniere, stupito.

— Gutiérrez mi aveva promesso che, appena terminata la pesca, sarebbe venuto a caricare guano per alcuni piantatori dell’isola di Chiloé e, come avete veduto, non si è fatto più vivo.

— Ah! mio Dio! — esclamò Pardo, impallidendo.

Si slacciò rapidamente la fascia di lana rossa e levò il foglio che era ancora piegato in quattro.

Il signor Dalmanda lo spiegò, con una certa agitazione che gli faceva tremare le mani e vi gettò sopra uno sguardo.

— Questo è un passaporto intestato a Solano Darranos, rilasciato dalle autorità di Valdivia.

— Aspettate, signore, — disse José. — Vi sono delle parole scritte a matita e molte. —

Il direttore obbedì. La parte opposta del passaporto era coperta di parole scritte con una matita, assai irregolari, come se la mano che le aveva vergate fosse stata assai malferma, ma però abbastanza intelligibili. Le lettere erano grandi e rotonde, per lo più staccate l’una dall’altra, una vera calligrafia da marinaio le cui mani, abituate a tirare le grosse gomene, male si adattano a stringere una sottile asticciuola.

— Leggete, signore, leggete, — disse Pardo, con voce alterata.

Il signor Dalmanda indugiò alcuni momenti, non riuscendo sulle prime a ben comprendere quella calligrafia, poi lesse lentamente:

« 19 Giugno 1859.

« Nel momento di comparire dinanzi a Dio, giacchè ho perduta ogni speranza di venire salvato, faccio la seguente dichiarazione perchè non s’incolpi nessuno della mia morte, nè di quella di mio fratello Alfonso.

« Ci siamo salvati su questa balena aggrappandoci alle lenze, nel momento in cui la nostra scialuppa veniva sfondata da un colpo di coda che deve aver ucciso tutti i nostri compagni.

« Non sappiamo che cosa sia accaduto della Rosita, comandata dal capitano Alonso Gutiérrez, che avevamo lasciata disalberata presso la punta orientale dell’isola degli Stati, a quindici miglia dal Capo St John.

« Per ventiquattro ore abbiamo potuto scorgerla che andava alla deriva verso le coste della Terra del Fuoco, contro le quali sarà probabilmente naufragata.

« Vi erano ancora a bordo il capitano e cinque uomini.

« La balena, ferita, ci ha spinti all’ovest del Capo Horn, ed è morta in vista dell’isoletta di Hope.

« Le nostre sofferenze sono state atroci. Il grasso della balena ci ha prodotto continuamente vomiti ed il freddo, e soprattutto la sete ci hanno ridotti in uno stato miserando.

« Mio fratello è morto il 30 Giugno ed io sto per seguirlo. Che Dio abbia misericordia di noi.

«Solano Darranos».

Il signor Dalmanda, Pardo e José, dopo quella lettura, erano rimasti per alcuni momenti silenziosi, guardandosi l’un l’altro con angoscia. La dichiarazione del povero pescatore, scritta probabilmente poche ore prima di morire, non lasciava più alcun dubbio sulla sorte toccata alla Rosita ed al fidanzato di Mariquita.

Tutti tre erano pallidissimi e gli occhi del vecchio pescatore di balene erano umidi.

— Che cosa ne dite, signore? — chiese finalmente José, rompendo quel triste silenzio. — Che sia perduto il signor Gutiérrez?

— Questo documento lo conferma, — rispose il direttore. — Se era disalberata la Rosita ed andava alla deriva verso le coste della Terra del Fuoco, vuol dire che quella nave non si governava più e che non aveva alcuna possibilità di evitare le orribili scogliere di quella inospitale regione.

— Che cosa mi consigliereste di fare, signore? — chiese Pardo, con un singhiozzo.

— Di armare subito la vostra scialuppa e di recarvi senza indugio a Punta Arenas ad avvertire il padrino di Mariquita.

— E cercare di organizzare una spedizione di soccorso, — soggiunse José.

— E come? — chiese Pardo. — Non vi sono barche da pesca a Punta Arenas, capaci di spingersi fino al di là del Capo Horn, specialmente in questa stagione.

— Sì, ve n’è una, — rispose José.

— Quale?

— Quella di Piotre.

— La Quiqua? E tu credi che Piotre, che odia tanto Alonso, si metta in mare per andare a salvare il suo rivale! Oh, non ci pensare nemmeno, José.

Quell’uomo sarà ben felice di apprendere la notizia del naufragio e non si moverà per tutto l’oro del mondo, perchè vedrà rinascere la speranza di far sua un giorno Mariquita.

— È vero, — disse il signor Dalmanda. — Si odiano troppo quei due cugini.

— Allora tutto è perduto, — disse José, con scoraggiamento. — I selvaggi della Terra del Fuoco sono cattivi, anzi si dice che siano perfino cannibali e non risparmieranno i naufraghi.

— Si potrebbe andare a Valdivia e là noleggiare una nave, — disse Pardo.

— E perdereste un tempo troppo prezioso, — rispose il signor Dalmanda. — Vecchio mio, partite e fate il possibile per indurre il padre di Mariquita a ottenere appoggi dal governatore.

So bene che la stagione è assai inoltrata, che le burrasche fra poco renderanno la navigazione del Capo Horn pessima e anche pericolosissima per le navi di piccola portata, e tuttavia non dovete lasciare quel bravo Alonso nelle mani dei selvaggi o su qualche isola deserta, e mancante di tutto. Siete capaci di tornare soli a Punta Arenas, o volete alcuni uomini?

— La mia scialuppa è maneggiabile e porta velatura, — rispose il baleniere. — Fra me e José sapremo giungere, e presto, a Punta Arenas, tanto più che il vento è in questo momento favorevole.

— Sì, basteremo noi due, — disse il giovane sorvegliante.

— Io vi farò mettere da parte ciò che vi spetterà dalla vendita degli spermaceti e dei fanoni della balena.

— Grazie, signor Dalmanda, — disse Pardo.

— Prendete liberamente le provviste che vi possono essere necessarie, nel magazzino delle miniere. Io rispondo di tutto. —

Riconsegnò al vecchio baleniere il documento e li accompagnò fino alla porta, stringendo loro la mano ed augurando buon viaggio.

— Brav’uomo e di cuore, quel signor Dalmanda, — disse José.

— Sì, — rispose Pardo. — Andiamo a fare subito i nostri preparativi ed a liquidare i nostri conti, perchè noi non torneremo più qui. Il signor López non lascerà Alonso in una situazione così critica.

— E la nave dove trovarla?

— Non so, però ti dico che noi non ci fermeremo a Punta Arenas. Non voglio veder piangere Mariquita, dovessi girare la Terra del Fuoco colla mia scialuppa.

— Sarebbe tentare la morte. Intraprendere un simile viaggio in questa stagione e con una barca senza ponte e priva di comodità. Quale pazzia, Pardo.

— Sarà una pazzia, ma, se non troveremo alcun ordine, io partirò, José, te lo giuro. —

CAPITOLO III.

I canali dello Stretto di Magellano.

Un’ora dopo, la scialuppa lasciava porto Stokes, fra gli auguri e gli addii di tutti i minatori che si erano raccolti sulla spiaggia.

Il vecchio baleniere aveva fatto alzare l’albero e spiegare la randa ed i due fiocchi del bompresso, essendo la scialuppa troppo pesante per quattro remi per quanto robustamente manovrati. Inoltre, il viaggio era troppo lungo, trovandosi Punta Arenas assai lontana dall’isola della Desolazione e molto dentro lo Stretto di Magellano.

Il vento fortunatamente era favorevolissimo, soffiando costantemente dall’ovest, e permetteva quindi ai due sorveglianti di poter giungere facilmente nel canale di Cockburn e di risalire con pari facilità verso il nord-est, costeggiando l’isola Clarence. La scialuppa, appena uscita dal porto e girata la punta meridionale, si mise a seguire la costa tenendosi al riparo dalle numerose isolette che sorgono qua e là intorno alla Terra della Desolazione, formando dei veri canali.

Quelle isole, che sono in parte collegate fra di loro da alte scogliere, provocavano sul davanti delle ondate gigantesche che la scialuppa non avrebbe potuto affrontare impunemente; dietro di quelli invece regnava una certa calma, non potendo i cavalloni entrarvi che già infranti. Nondimeno anche in quei canali il mare era agitatissimo, specialmente là dove le scogliere e le isole lasciavano dei varchi.

Il vecchio baleniere e José manovravano con rara abilità, essendo stato anche quest’ultimo marinaio, prima di diventare sorvegliante delle huaneras. Il primo teneva la barra del timone; il secondo s’occupava della velatura dei fiocchi, pronto a ridurla quando dalle gole della Terra della Desolazione minacciavano di irrompere qualcuna di quelle terribili raffiche che tutti i naviganti di quelle regioni temono peggio di un vero uragano.

L’aspetto che offrivano tutte quelle isole, disseminate su quell’oceano sempre furioso, era tale da impressionare anche il vecchio baleniere, quantunque abituato a navigare in quei paraggi. Pareva che una formidabile scossa di terremoto avesse anticamente disgregato qualche immensa isola, disperdendone i frammenti in tutte le direzioni.

Era un attruppamento di rocce aperte e nerastre, tagliate a picco, alcune altissime ed inaccessibili; di scogli e di scoglietti che s’incrociavano in mille modi, che ora apparivano ed ora scomparivano sotto le folate di spuma avventate dai cavalloni, fra un rombo continuo ed assordante.

Nessuna pianta, nemmeno dei licheni, nemmeno dei miseri muschi, crescevano in quelle terre battute eternamente dagli uragani. I naviganti non avevano avuto torto a chiamarle terre desolate, perchè nessun essere umano vi sarebbe potuto vivere.

Era quello invece il regno dei volatili.

Tutte le spiaggie delle isole e le cime delle scogliere ne erano piene.

Torme immense di volatili stavano allineate sulle rupi, guardando stupidamente le onde e gridando a piena gola dietro alla scialuppa.

Si vedevano le urile, schierate su tre ranghi, occupate a dare dei concerti scordati; delle lunghe file di micropterus, grossi come oche, stravaganti volatili che hanno la testa grigia colle sopracciglie bianche così marcate che sembrano occhiali, l’addome giallastro, il becco aranciato, per ali dei moncherini, e che ingrassano talmente da non poter più volare; degli oenops aura che quando si vedono inseguiti, vomitano uno sterco così puzzolente da far fuggire qualsiasi cacciatore, anche se privo del naso; dei brutti milvago coi becchi così larghi che sembrano bocche e dei battaglioni di chloephage, specie d’oche di forma elegante, col corpo nero macchiato di punti bianchi, e con il becco cortissimo.

Il baccano che facevano quelle migliaia e migliaia di volatili era tale, che, in certi momenti coprivano perfino i muggiti formidabili delle onde.

La scialuppa, che aveva raggiunta una velocità di sei o sette miglia all’ora, tenendosi sempre dentro quella specie di canale, verso le quattro pomeridiane raggiungeva felicemente l’imboccatura dello Stretto di Cockburn, il quale è formato dalle coste meridionali dell’isola della Desolazione e da quelle occidentali di Clarence; passo assai largo e non molto facile a percorrersi, essendo ingombro di banchi e di scoglietti e sempre battuto dalle onde del Pacifico che vi entrano liberamente.

Il vecchio baleniere e José, manovrando con prudenza, vi si cacciarono dentro poggiando subito verso le spiaggie di Desolazione, per mettersi al riparo dei cavalloni che percorrevano lo stretto con velocità straordinaria, irrompendo dentro quel vasto bacino formato dalle isole sopraccennate, dalla costa Patagone, dall’isola Dawson e dalle alte e orribili sponde della Terra del Fuoco.

— Avremo da sudare, — disse José al baleniere, guardando attentamente le alte e brulle montagne delle isole e le profonde vallate. — Qui i williwaws si devono far sentire assai violenti.

— Ne riceveremo più di uno di quei tremendi soffi di vento, — rispose il baleniere. — Per nostra fortuna siamo assai bassi e con un colpo solo possiamo calare la randa.

Probabilmente ci investiranno stasera, poichè il vento accenna a girare al sud-ovest.

Non aver paura, José, io rispondo della mia scialuppa e domani, all’alba, noi saremo a Punta Arenas, a casa di don López.

— Non andremo da lui, Pardo. Lo manderemo a cercare, affinchè Mariquita apprenda la triste notizia da lui.

— Hai ragione, amico, — rispose il baleniere, sospirando. — Io non avrei il coraggio di raccontare ogni cosa a quella fanciulla. Oh! che colpo! che colpo per quella poveretta!...

— Glielo ritroveremo il suo Alonso, amico Pardo. Don López lo ama troppo quel bravo marinaio per abbandonarlo e poi è ricco e quando si posseggono molti quattrini tutte le imprese riescono facili.

— Non sarà facile questa, te lo dico io, José, — disse il vecchio. — È sempre la questione della cattiva stagione e della mancanza d’una solida nave capace di resistere alle bufere che imperversano nei paraggi dell’Horn.

Eppure ve ne sarebbe una... Ed anche un uomo audace, intrepido, valente marinaio, forse il solo capace di condurre a buon termine una simile impresa.

— La Quiqua e Piotre?

— Sì, José, ma pur troppo non dobbiamo fare assegnamento nè sull’una nè sull’altro.

— Chissà!

— Che cosa speri?

— Se Mariquita lo pregasse?

— Hum! rivolgersi all’uomo che ha respinto! Eppoi lui non acconsentirebbe mai, — disse il baleniere. — Lo conosco troppo bene quell’uomo.

— Potrebbe arrendersi alle lagrime della fanciulla che ha tanto amata.

— E che probabilmente ora odia con tutte le sue forze. Bada alla scotta, José. Entriamo in un canale pericoloso che le williwaws spazzano di frequente. —

La scialuppa cominciava a faticare assai, essendo le acque dello Stretto di Cockburn assai agitate, in causa dei precedenti colpi di vento.

L’isola di Clarence era stata superata ed il canale s’allargava considerevolmente, formando un immenso estuario chiuso da ogni parte da aspre ed altissime spiaggie rocciose, per lo più tagliate a picco, e da montagne d’aspetto orribile e selvaggio, le cui cime erano coperte di neve.

Al nord giganteggiava il Burney, un picco enorme che sorge isolato all’estremità di King William, sulla costa patagone e che spinge la sua cima a mille e novecento metri; verso l’est invece spiccava il capo Tamar, roccia imponente, che cade a piombo sul mare; all’ovest le orride montagne della Terra di Desolazione.

Alla base di quei giganti si scorgevano cupe foreste di faggi, di mirti e di felci le quali salivano gradatamente verso gli altipiani superiori, ed immensi strati di licheni e di muschi che parevano grondanti d’acqua.

Nessun canotto, nessuna scialuppa solcava le acque tormentate di quella profonda baia. Dovunque uccelli invece, che svolazzavano in bande sempre più numerose e che gremivano gl’isolotti, le scogliere e le spiaggie e non mostravano di preoccuparsi affatto della presenza dei due naviganti.

Alle otto di sera la scialuppa passava dinanzi all’ancoraggio di Playa Parda e s’inoltrava nello stretto di Magellano il quale si prolunga per sette miglia e in certi punti è largo solamente tre, per internarsi un’ora dopo nel Long Reach, altra porzione di canale che ha una lunghezza di trenta miglia.

La notte era diventata oscurissima, essendo il cielo ancora coperto di nuvoloni; pure la scialuppa continuava impavida la sua corsa, lottando sempre con le onde che si frangevano con furore contro le rupi della costa patagone da un lato e contro quelle della Terra del Fuoco dall’altro.

Il vento aveva raddoppiato di violenza, costringendo José a prendere terzaruoli sulla randa e ad una continua vigilanza per non lasciarsi sorprendere dalle raffiche che talvolta piombavano all’improvviso dalle vallate della Terra del Fuoco.

Il vecchio baleniere faticava assai a mantenere la scialuppa sulla buona direzione ed a evitare i numerosi scoglietti che sono disseminati nello stretto.

I colpi di mare si succedevano con frequenza inquietante e qualcuno più violento sbalzava la scialuppa ora verso l’una ed ora verso l’altra costa, minacciando di fracassarla.

Tuttavia verso le undici navigavano nell’Crooked Reach, così chiamato per la sua forma storta, un canale assai difficile anche questo.

Sulla loro destra distinguevano confusamente El Morrión, enorme scoglio che si scorge a grande distanza e, sulla sinistra il Quod, altro scoglio che rassomiglia ad un castello feudale diroccato da qualche tremenda esplosione.

Il mare anche in quel luogo era pessimo e metteva a dura prova l’abilità del vecchio baleniere e la pazienza di José, il quale non poteva riposarsi un solo momento, essendo costretto ad allentare od a stringere continuamente le scotte della randa e quelle dei due piccoli fiocchi.

Le onde, non trovando sufficiente sfogo, si scagliavano con inaudita violenza contro le due coste, rimbalzando a prodigiosa altezza. Era un vero miracolo se la scialuppa non veniva rovesciata o frantumata.

— Ehi, Pardo, — disse José, il quale cominciava ad inquietarsi. — Che ci sia pericolo che il nostro viaggio finisca qui? Mi pare che il mare, invece di calmarsi, diventi sempre più irato e che la nostra scialuppa non sia più capace di tener testa a questi dannati colpi.

— Non ti dico che la nostra situazione sia molto allegra, tuttavia se possiamo imboccare l’English Reach ed evitare l’isola Carlo e quella dei Monmouth, potremo giungere a destinazione. Se poi non potremo più resistere, cercheremo intanto un rifugio nella baia di Fortescue, la quale non è molto lontana.

— Preferirei quella della Fame.

— Vedremo, José. Io spero di tirare innanzi senza fermarmi in nessun luogo. Vedi l’isola Carlo III?

— La sento.

— Come sarebbe a dire?

— Non odi questi rombi sulla nostra destra?

— Sì, sono le onde che vi si frangono contro, — rispose Pardo, dando un colpo al timone.

— Il peggio sarà quando noi avremo passato il capo Froward. Specialmente là, fra i canali delle isole della Terra del Fuoco che i williwaws si fanno sentire. Bada che il fanale non si spenga o che non venga portato via dalle onde.

— L’ho legato con un doppio gherlino, — disse José.

— E sii pronto a lasciar cadere la vela.

— Non dubitare, amico. —

La scialuppa, sempre vivamente sballonzolata da quelle onde che irrompevano con furia attraverso al canale, passò a babordo dell’isola Carlo III, fuggendo lungo la penisola di Brunswick, superò facilmente anche l’isola dei Monmouth, rifugio preferito d’una moltitudine di gabbiani i quali coprono alla lettera le sue rupi e alle due del mattino girava il capo Froward, che forma l’estremità più avanzata del continente americano e che ha un’altezza di ben ottocento metri.

Lo stretto cominciava a diventare tortuoso e quindi anche più pericoloso.

A destra ed a sinistra si scorgevano confusamente numerosi isolotti, i quali formavano una serie di canaletti, entro cui i cavalloni si dibattevano con furore spaventoso.

Era quello il passaggio più difficile, temuto da tutti i naviganti, perchè appunto lì si scatenano improvvisamente quelle raffiche formidabili che schiantano d’un colpo solo le più robuste alberature delle navi, se gli equipaggi non fanno cadere a tempo le vele.

Quei soffi poderosi sollevano le acque dello stretto ad altezze straordinarie e le scagliano verso la costa con tale violenza, da farle risalire sulle spiaggie per varie centinaia di metri. Guai alle navi che si trovano ancorate dentro quei seni! Vengono trascinate contro le rupi e sfracellate.

Fortunatamente pei due sorveglianti, in quel momento uno strappo si era manifestato fra le nubi e la luna aveva cominciato a far capolino, illuminando le isolette, le scogliere ed il Sarmiento, imponente montagna, sempre coperta di neve, che spinge la sua cima a 2128 metri.

Le raffiche si facevano sentire ad intervalli di pochi minuti l’una dall’altra, sollevando delle vere cortine d’acqua che subito si polverizzavano. Si annunciavano con mille sibili, che si cangiavano ben presto in ruggiti formidabili e irrompevano tutte dalle selvagge vallate della Terra del Fuoco.

La scialuppa non riusciva a mantenere la sua rotta che con grandi fatiche. Balzava sulle creste, come se fosse un semplice turacciolo, si precipitava violentemente negli abissi dai quali pareva che non dovesse più uscire, poi presa dai venti che avevano talvolta un moto circolare, girava su sè stessa come se si trovasse nel mezzo d’un vortice.

Anche il baleniere era diventato pallidissimo, temendo di non poter più resistere alla furia dei venti e delle onde: pure non aveva ancora alcuna intenzione di cercare un rifugio. Sapeva di non essere ormai molto lontano da Punta Arenas e voleva raggiungerla prima che l’alba spuntasse.

D’altra parte, non aveva perduta la sua fiducia sulla robustezza della sua scialuppa, che passava per una delle migliori di tutto il litorale. [...]

Fatta ridurre ancora la vela di poppa a minime proporzioni e fatto abbattere un fiocco, si diresse verso il Capo S. Isidoro, tenendo la prua verso il monte Tarn, e procurando di mantenersi in mezzo al canale per non urtare contro quella moltitudine d’isolotti che si staccavano dalla Terra del Fuoco.

Fu una lotta però lunga e faticosissima, durante la quale più volte la scialuppa corse il pericolo di perdere l’alberello e anche di venire scaraventata sull’una o sull’altra delle due coste.

Soltanto verso le cinque del mattino potè raggiungere il Porto della Fame, insenatura abbastanza larga per accogliere delle navi anche di grossa portata e abitata a quel tempo da pochi pescatori.

— Laggiù vi è Piotre, — disse il baleniere a José. — Mi parve d’aver veduto la sua barca da pesca dietro quell’isolotto. Quello è tornato e forse con un buon carico, ma l’altro no. —

Mandò un sospiro, e drizzò la scialuppa verso oriente. I colpi di vento erano cessati, ma le onde erano sempre pericolose.

Punta Arenas era ormai vicinissima ed ai primi albori si distinguevano le rupi che circondano quella colonia cilena perduta all’estremità del continente americano.

Pardo fece sciogliere le legature della vela di poppa, per prendere maggior vento ed aumentare la velocità e alle sette del mattino, nel momento in cui gli abitanti cominciavano a uscire dalle case, giungeva dinanzi alla piccola gettata, presso il fortino di legno su cui ondeggiava maestosamente la bandiera cilena.

CAPITOLO IV.

Il Signor López.

Punta Arenas è il capoluogo dell’immenso territorio magellanico, s’innalza su un piccolo poggio circondato da fitti boschi di faggi antartici ed è bagnata da un minuscolo fiumicello che fornisce un’acqua eccellente ai suoi abitanti: il Río de las Minas. È una cittaduzza tutta costruita in legno, con case di bell’aspetto che danno a quel piccolo centro un non so che di grazioso e di civettuolo, con una chiesa che lancia ben alto il suo campanile pure di legno ed un fortino armato di alcuni cannoncini, i quali hanno dovuto tuonare più volte contro le bande dei patagoni.

Prima del 1843 era stata costruita là dove sorgeva anticamente la Ciudad Real de S. Felipe, nel celebre Porto della Fame. Ribellatosi il presidio dietro istigazione del suo comandante, un luogotenente d’artiglieria, il quale aveva ucciso il governatore, veniva abbandonata per ricostruirla un anno dopo nel luogo ove attualmente si trova.

Punta Arenas è una colonia penitenziaria, abitata per la maggior parte da guasos cileni, uomini di bassa statura, quasi tutti condannati, che di giorno possono lavorare liberamente nelle segherie e di notte vengono chiusi nel cuartel, sotto la sorveglianza del presidio, che si compone d’una cinquantina di soldati agli ordini d’un capitano.

È una città che potrà avere un bell’avvenire ma che finora ha fatto pochi progressi dalla sua fondazione, non ostante gli sforzi dal governo cileno. Ha segherie importanti, dei depositi di carbone e di viveri per le navi che passano ancora lo stretto, ed un certo traffico colle tribù patagone, le quali forniscono gli abitanti di selvaggina, di pesci e di cavalli. Possiede anche due piccole dipendenze, Freshwater bay e S. Jago bay, alle quali è allacciata da una via litoranea.

Il vecchio baleniere e José, legata la scialuppa e, armatisi dei loro fucili, balzarono a terra, dirigendosi verso la città, la quale, come abbiamo detto, non sorge proprio sulla spiaggia. Le sue cinquanta o sessanta case sono invece scaglionate sul pendio d’una collinetta.

Quantunque i cileni non abbiano l’abitudine di alzarsi troppo presto, parecchi abitanti cominciavano a uscire e anche qualche squadra di galeotti, scortata da soldati, scendeva verso la spiaggia per recarsi alle segherie.

Per lo più gli uomini, che i due sorveglianti incontravano, erano guasos cioè i gauchos del Chilì, che formano la maggioranza della popolazione di Punta Arenas, uomini saldi e robusti, dai lineamenti fieri, la pelle assai bruna, derivando essi da un incrocio di spagnuoli e d’indiani. Indossavano pittoreschi costumi: ponchos variopinti di pelo di guanaco e di vigogna, giacca ricca di bottoni di metallo, gambali di lana nera e scarpe fornite di speroni d’argento con rotelle enormi, del diametro di quindici centimetri.

Non mancavano anche gli zambo, meticci, derivati da negri e da indiani, di forme massiccie, di statura superiore alla media, con carnagione assai bruna e capigliature abbondanti crespute.

Pardo e José, entrati in città, si fermarono dinanzi ad una casetta di legno sulla cui porta stava scritto: taberna española.

— Entriamo e facciamo prima di tutto una pequeño almuerzo1, — disse il baleniere. — Tu avrai certamente fame dopo una notte così cattiva e così faticosa. Intanto manderemo qualcuno ad avvertire il signor López del mio ritorno.

— Non vai a trovarlo in casa sua? — chiese José.

— Non voglio che Mariquita assista al nostro colloquio.

— Posso rimanere con te?

— Hai premura di tornartene a S. Jago?

— I miei amici li vedrò più tardi, se ne avrò il tempo, e poi tu sai che parenti non ne ho e che la mia casetta è sempre deserta. Desidero anzi di rimanere qui e conoscere il signor López e se sarà possibile anche la bella Mariquita.

— Non hai mai veduto nè l’uno, nè l’altra?

— No, Pardo.

— Te li presenterò io che sono di casa. —

Entrarono nella taverna, la sola che allora esistesse a Punta Arenas e che era tenuta da un peruviano, il quale vi faceva fortuna. Era una bella saletta, tenuta con cura minuziosa, con dei tavolini coperti di candide tovaglie, lusso piuttosto raro a Punta Arenas.

Il proprietario, vedendo entrare il baleniere, fece un gesto di stupore.

— Quando siete ritornato, Pardo? — chiese. — È un bel po’ che non vi si vede a Punta Arenas. È terminato il lavoro alle huaneras?

— Sono arrivato stamane, signor Endenas.

— Con questo tempaccio...

— Gli uomini della mia fibra non hanno paura dei williwaws. Ditemi, il signor López è sempre qui?

— L’ho veduto ieri sera.

— E Mariquita?

— È sempre la più bella fanciulla di Punta Arenas.

— E la Rosita di Alonso Gutiérrez è arrivata? Non ancora, è vero?

— No, Pardo e qui tutti sono inquieti assai e si comincia a temere che qualche disgrazia sia toccata a quel bravo marinaio. La Quiqua di Piotre, che era partita quasi contemporaneamente, è tornata alla Baia della Fame da sei settimane, mentre la barca di Alonso non si è fatta ancora vedere. Che cosa ne dite di questo ritardo, voi che siete un vecchio baleniere?

— Non sono più tranquillo degli altri, — rispose Pardo. — Volete farmi il favore di mandare qualcuno dal signor López per avvertirlo di venire a trovarmi qui? Ho un affare da comunicargli.

— Che riguarda Alonso Gutiérrez?

— Può essere, — rispose il baleniere, evasivamente. — Serviteci intanto qualcosa e sopratutto della caña e della chicha. La notte è stata cattiva e abbiamo fame.

— Non domando che due minuti. —

Il baleniere e José si sedettero ad un tavolino situato nell’angolo più oscuro e trangugiarono d’un fiato un bicchiere di caña recato da un giovane peone. Intanto un altro garzone aveva recato una zuppiera colma d’un liquido di colore poco incoraggiante e che pure esalava un profumo appetitoso.

Era la chulipa, l’intingolo peruviano per eccellenza, una vera olla podrida che fa il paio col puchero dei cileni, composto di rane, di cipolle, di carote, di tuberi d’ogni specie, nuotanti in un brodaccio oscuro che gli europei non assaggiano senza diffidenza; ed un piatto colmo di faminero, che sono certi funghi estremamente coriacei che nè forchette nè coltelli possono intaccare e che tuttavia sono assai apprezzati dai peruviani e dai cileni, quantunque mettano a dura prova la solidità dei loro denti.

Il baleniere e José si erano messi a divorare con un appetito da veri marinai, inaffiando la zuppa ed i funghi con ciotole colme di chicha.

Parevano tuttavia ambedue assai preoccupati, specialmente il primo, la cui fronte sempre più si oscurava.

— Che stia per giungere il signor López? — chiese José, quand’ebbe finito di mangiare. — Sono impaziente di vedere quale effetto produrrà su di lui la lettura del documento.

— Sarà un colpo di fulmine per lui, — rispose Pardo con un sospiro.

— Mi hanno detto che è un uomo energico.

— Un vecchio che vale noi due insieme.

— Che venga anche lui, se riusciamo ad organizzare la spedizione di soccorso?

— Come supporre che il signor López, che è stato uno di più infaticabili esploratori delle terre magellaniche, rimanga a casa sua mentre gli altri vanno ad affrontare la morte sulle coste selvagge della Terra del Fuoco? È vecchio, questo è vero, ma ha ancora il sangue caldo nelle vene e del coraggio da vendere.

— Mi hanno detto che è un brav’uomo e che il nostro paese gli deve tanto.

— Uno scienziato ed un viaggiatore, che per vent’anni ha percorso tutta la Pampa patagone; che ha visitato tutte le isole dello stretto e che ha fatto perfino delle esplorazioni sulla Terra del Fuoco, rischiando venti volte di venire divorato da quei selvaggi.

— E perchè si è stabilito qui, in questa misera cittaduzza?

— Perchè ama le terre magellaniche, che ha studiato con passione, e poi perchè qui ha piantato le sue segherie che gli rendono assai.

— È vero che sia ricco?

— Sì, mio caro José, e Mariquita raccoglierà una bella fortuna un giorno, giacchè l’ha adottata come figlia.

— Non è sua figlia? — esclamò José con sorpresa. — Tutti, almeno a S. Jago, la credevano tale.

— Non a Punta Arenas, — rispose il baleniere. — Ed infatti, anche vedendola un solo momento si comprenderebbe subito che nelle sue vene non deve scorrere puro sangue d’uomo bianco. È una splendida meticcia, che ha ereditato molto da sua madre che era una delle più nobili signore cilene, e che ha anche buona parte di sangue indiano.

— Mariquita una meticcia?

— Figlia di Elisa Bravo e del Capo araucano Nahuelquin.

— Quale storia mi narri tu, Pardo!

— Una storia vera, mio caro José, per quanto ti possa sembrare straordinaria, e tutti i nostri compatriotti del basso Chilì la conoscono.

Sua madre era l’unica superstite d’un terribile naufragio avvenuto nel 1844 sulle coste dell’Araucania. La nave che montava era stata gettata alla costa da un uragano. Sopraggiunti gli araucani, i naufraghi vennero fatti prigionieri e poi massacrati tutti, eccettuato la Bravo.

Si erano ubbriacati col carico di liquori trovato nella stiva e, diventati furibondi avevano fatto un macello di quei disgraziati che l’oceano aveva spinto sulle loro coste.

— E la signora Bravo? — chiese José.

— Fu venduta ai Pehuen-chè per cento giumenti, condotta sul versante opposto delle Ande e sposata a forza al capo Nahuelquin, della toldería di Huitraillan, a cui diede tre figli ed una figlia.2

— E questa figlia è Mariquita?

— Sì, José.

— E come finì nelle mani del signor López?

— La ebbe da un capo Pehuen-chè, al prezzo di cinque fucili. Non aveva allora che cinque anni ed era d’imbarazzo a quel selvaggio, il quale l’aveva avuta come parte del bottino di guerra.

— E la madre di Mariquita vive ancora?

— Sembra che sia stata uccisa, assieme ai suoi figli, in un assalto dato da una tribù nemica, perchè per quante ricerche il signor López facesse, non potè averne più notizia.

Ah! Eccolo! —

La porta della taverna si era aperta ed un uomo era entrato.

Era un vecchio di sessanta o sessantacinque anni, ancora vegeto che camminava dritto come un giovanotto. Aveva la barba bianca e molto lunga, i capelli invece, per uno strano contrasto, appena brizzolati, e gli occhi brillavano dietro gli occhiali ancora vivissimi.

Anche il suo viso non era molto rugoso, non ostante l’età e le molte fatiche sopportate durante le lunghe esplorazioni fatte nelle desolate terre magellaniche; solamente la fronte, molto ampia, era solcata da profondi segni.

Come tutti gli abitanti di Punta Arenas, portava sul capo un ampio feltro e indosso un pesante poncho di finissima lana di vigogna, a colori smaglianti, che doveva aver pagato assai caro, e uose di grossa lana che gli salivano fino sopra il ginocchio.

Scorgendo il vecchio baleniere gli si era accostato con una certa vivacità, colla destra tesa, non senza manifestare una profonda sorpresa.

— Tu, mio vecchio Pardo! — esclamò. — Non speravo di rivederti prima della fine della settimana. Come sarà contenta Mariquita di salutarti!

— Sono giunto da un’ora, assieme al mio amico José, un bravo giovane che mi ha aiutato ad attraversare lo stretto, signor López.

— Gli amici tuoi, sono anche amici miei, — disse il vecchio signore, stringendo cordialmente la mano al sorvegliante. — Ora mi dirai perchè mi hai fatto chiamare, Pardo.

— Ho una grave notizia da comunicarvi, signor López; ma prima però vorrei farvi una domanda.

— Parla, — rispose il vecchio, mettendosi a sedere.

— Che cosa ne pensate del ritardo della Rosita? —

Il signor López lo guardò fisso per alcuni momenti, mentre il suo viso a poco a poco si scoloriva.

— Leggo nei tuoi occhi una brutta notizia, — disse poi, con voce lenta. — M’inganno io? Parla, Pardo. —

Il baleniere, invece di rispondere, estrasse il documento e glielo porse, dicendo:

— Leggete. —

Il signor López si era impadronito vivamente della carta, scorrendola rapidamente collo sguardo ed impallidendo sempre più. Grosse stille di sudore freddo gl’imperlavano la fronte e le rughe s’incavavano maggiormente.

— Perduto! Alonso perduto! — esclamò finalmente con voce tremante. — Oh! la mia povera Mariquita! Lo sentiva che una disgrazia doveva aver colpito il suo fidanzato! —

Il signor López si era lasciato cadere sulla sedia, accasciato da quel colpo improvviso, nascondendosi il volto fra le mani.

— Non disperiamo, signor López, — disse il baleniere. — Noi non abbiamo ancora le prove che Alonso sia morto, nè che la Rosita sia naufragata e quando l’energia non viene meno, si può riparare anche ai colpi più terribili.

— Se è caduto nelle mani dei selvaggi, è perduto, — gemette il vecchio.

— Non sono forse così cattivi come si crede. Vi sono anzi delle tribù che rispettano gli uomini bianchi e può darsi che noi lo ritroviamo ancora vivo.

E poi, chissà, può essere stato spinto verso l’isola degli Stati e là selvaggi non ve ne sono.

— Non si troverebbe in condizioni migliori, mio vecchio Pardo. Il clima di quelle terre è orribile durante l’inverno e non potrebbe resistere a lungo alle bufere di neve e alla fame.

— Vediamo, signor López, — disse il baleniere. — Quando è salpata la Rosita?

— Verso la fine di novembre.

— Quanti erano a bordo?

— Dodici marinai e due mastri balenieri.

— Erano bene approvvigionati?

— Avevano viveri per otto mesi.

— E siamo già in luglio, — disse Pardo, come parlando fra sè. — Anche se sono riusciti a salvarsi su qualche isola dovrebbero essere alle prese colla fame. Maledizione!

— Amico Pardo, — disse il vecchio, che pareva avesse riacquistata, tutto d’un tratto, l’antica energia. — Credi possibile organizzare una spedizione di soccorso? Possiedo abbastanza denaro per armare una nave e sono pronto a sacrificare ogni mia ricchezza pur di strappare Alonso alla morte e far felice Mariquita.

— La stagione, signor López, — rispose il baleniere, — è tutt’altro che propizia per intraprendere una crociera sulle coste della Terra del Fuoco.

Le tempeste scoppiano frequenti e con tale furia da spaventare anche le navi di grosso tonnellaggio ed i ghiacci a quest’ora hanno già cominciata la loro emigrazione verso il nord. Pericoli ne dovremo affrontare e moltissimi su quelle spiagge battute senza posa da ondate formidabili; tuttavia io sono del vostro parere.

Vi è una sola difficoltà e, certamente, grave.

— Quale?

— Di trovare la nave.

— A Valdivia e nei porti del Chilì ve ne sono in abbondanza.

— Sarebbe un mese perduto e non dobbiamo dimenticare che Alonso a quest’ora deve essere senza viveri o quasi, anche ammettendo che nella pesca della balena abbia perduto degli uomini e che i superstiti si siano messi a razione.

— E li lasceremo noi perire senza nulla tentare per salvarli? — chiese il signor López con voce triste. — Se Alonso morisse, Mariquita non gli sopravviverebbe. —

Il baleniere era rimasto silenzioso, guardando il fondo della sua ciotola ancora piena di chicha, come se sperasse di trovare là dentro un’idea.

— Ascoltatemi, — disse ad un tratto. — Vi è un uomo, audace marinaio quanto e forse più di Alonso, che conosce le coste della Terra del Fuoco a menadito, e anche l’oceano Antartico, e che possiede la miglior nave baleniera che si possa trovare in tutti i punti delle terre magellaniche... ma, accetterà di mettersi a nostra disposizione? Ecco la grave questione, signor López.

— So di chi vuoi parlare... Pronuncia il suo nome.

— Di Piotre.

— Piotre... — disse il vecchio viaggiatore, timidamente.

— Sì, il cugino ed il rivale di Alonso, — rispose Pardo. — Lui solo potrebbe compiere un simile miracolo e riuscire a trovare la Rosita.

— Non acconsentirebbe mai ad esporre la propria vita per salvare quella di Alonso e dargli quella felicità che lui ha perduta.

— Eppure... — disse il baleniere guardando fisso il signor López.

— Intendo...

— Se la vostra figlioccia si recasse da lui?

— Mariquita?...

— Forse cederebbe, signor López.

— Mia figlioccia non oserebbe...

— Ella ama Alonso e si tratta di salvarlo.

— E se rifiutasse?

— Chi? Piotre?

— Sì.

— Allora io non risponderei più della vita del signor Alonso, nè dei suoi compagni. Una nave sprovvista di viveri, forse arenata su qualche costa deserta o su qualche isola spazzata dagli uragani, non torna più al suo porto di partenza. —

Il signor López si era alzato, in preda ad una viva agitazione. Fece tre o quattro giri intorno alla sala, colla testa china e gli occhi semi-chiusi, poi, fermandosi improvvisamente dinanzi a Pardo, gli disse bruscamente:

— Va a dire a Mariquita che venga qui. Il destino di Alonso Gutiérrez sta nelle sue mani.

Io intanto farò avvertire il governatore di ciò che è avvenuto della Rosita e chiederò il suo appoggio, quantunque ben poco possa fare. —

Pardo vuotò d’un fiato la sua ciotola di chicha, fece cenno a José di rimanere e uscì, dicendo:

— Speriamo. —

Salì la via principale che metteva verso la cima della collinetta, fiancheggiata da casette di legno e da orticelli tenuti con gran cura e che nella buona stagione producono cavoli, patate e cipolle e si fermò all’estremità del viale, dinanzi ad un’abitazione più vasta delle altre, a due piani, con persiane verdi e poggiuoli di legno sui quali si vedevano parecchi vasi, dove vegetavano tristamente alcune fucsie magellaniche a bottoni rossi corallini.

Era la più graziosa di quante se ne vedevano in tutta la cittaduzza e anche la più alta, dopo quella del governatore.

Pardo, vedendo la porta socchiusa, la spinse ed entrò, togliendosi il berretto di pelle di guanaco. Si capiva subito che le persone che abitavano quella casa erano abituate ad un certo lusso, affatto sconosciuto ai poveri guasos magellanici.

Pardo si era trovato in un salottino graziosissimo, colle pareti di doppie tavole di faggio, accuratamente incatramate affinchè il vento esterno non potesse passare fra le fessure e adorne di bellissime pelliccie di guanachi e di vigogne e col pavimentò coperto da grosse stuoie per combattere l’umidità.

Una piccola stufa di maiolica russava allegramente in un angolo spandendo all’interno un dolce tepore; in un altro angolo vi era un armadio ripieno di libri; nel mezzo una tavola di noce ad intarsi di madreperla con intorno delle comode sedie di pelle di Cordova e dall’altra parte, appesa alla parete, una bella pendola dorata che faceva udire il suo monotono eppur piacevole tic-tac, un oggetto di gran lusso in Punta Arenas, specialmente a quei tempi.

Accanto ad una finestra, seduta su una comoda poltrona a braccioli, ornata di grosse borchie dorate, stava una giovane, vestita di panno verde, colla vita stretta da una larga fascia di seta a smaglianti colori, occupata a lavorare un pizzo di seta nera.

Era Mariquita, la Stella dell’Araucania.

Note

↑ Leggiera colazione.

↑ Storico.

CAPITOLO V.

La Stella dell’Araucania.

Mariquita, la figlia della cilena naufragata sulle coste di Valdivia e del capo araucano Nahuelquin, era una giovane di diciassette anni e d’una bellezza meravigliosa; era alta, snella senza essere magra, colla pelle vellutata e leggermente abbronzata, con occhi neri e grandi sormontati da sopracciglie ben arcuate e perfettamente delineate. Il sangue della madre più che quello del padre si era trasfuso in lei, perchè i lineamenti bellissimi delle donne d’origine spagnuola si erano mantenuti in tutta la loro purezza. Solamente, i suoi capelli invece di essere lisci, erano un po’ cresputi ma egualmente belli, abbondanti, e le scendevano in due grosse treccie, adorne di nastri, fino sotto la cintura. Anche gli occhi avevano ereditato lo splendore strano, selvaggio che si osserva in quelli dei bellicosi e fierissimi araucani.

Vedendo entrare Pardo, la giovane si era alzata di scatto, mandando una esclamazione di gioia.

Ella aveva sempre nutrito una profonda affezione pel vecchio baleniere che l’aveva vista crescere, che l’aveva condotta tante volte nella sua scialuppa ad ammirare le selvagge bellezze del canale, che tante volte l’aveva fatta danzare sulle sue ginocchia e che l’aveva addormentata cantandole vecchie canzoni marinaresche.

— Tu, Pardo! — disse, movendogli incontro. — Quanto sono felice di rivederti!... Credevo che non tornassi più dalle huaneras della Terra della Desolazione. —

Il baleniere strinse caldamente fra le sue ruvide dita la piccola mano di Mariquita, senza rispondere una sillaba.

Il suo viso invece, diventato oscurissimo, tradiva troppo le sue preoccupazioni e la sua tristezza perchè sfuggisse agli sguardi della giovane.

— Pardo, — disse Mariquita, con ansietà. — Che cos’hai? Mi rechi qualche brutta nuova? Hai veduto mio padre?

— Sì, — rispose finalmente il baleniere, — anzi è lui che mi manda... ha da parlarvi... non so... forse di cose serie...

— Che cosa può essere accaduto? È uscito mezz’ora fa, a me pareva lieto e non mi ha detto nulla... Papà Pardo, leggo nei tuoi sguardi una specie di smarrimento...

— Non è nulla, signora...

— Papà Pardo, tu hai da dirmi qualche cosa e non osi. Non hai più fiducia nella tua piccola Mariquita! È successo qualche grave disgrazia alle huaneras?

— No, a noi no... agli altri... Eh! Buon Dio!... Non so più quello che mi dico.

— Riordina le tue idee, papà Pardo e narra tutto alla tua Mariquita. Tu non devi aver segreti per me.

Che cosa vuole da me mio padre?

Si è forse fatto male scendendo in città? Parla, parla!

— No, tutt’altro, anzi vi aspetta nella taverna del peruviano, come volete che si sia fatto male... —

La giovane s’avvicinò al pescatore prendendogli le mani e guardandolo fisso, poi gli disse con voce che tremava:

— Che cos’hai? Cos’è accaduto? Tu sei commosso e nei tuoi occhi io vedo una lagrima. —

Il baleniere non aveva osato rispondere, stupito di essersi tradito involontariamente.

— Sono stato uno stupido, — pensava, — tuttavia prima o dopo, da me o da suo padre doveva venire a saperlo. Narrando tutto eviterò un nuovo dolore a quel buon signor López.

— Parla, papà Pardo! — gridò Mariquita, scuotendolo.

— Io non doveva far altro che condurvi nella taverna del peruviano dove vostro padre ed un mio amico vi aspettano, — rispose il pescatore che s’imbrogliava sempre più.

— Per quale motivo?

— È stato trovato un documento... due morti si sono scoperti sul dorso d’una balena... Mariquita, perdonatemi se vi recherò un gran dolore, ma voi dovete essere forte e non spaventarvi.

— In nome di Dio, parla! Spiegati, papà Pardo.

— Non è morto... anzi... abbiamo delle prove che è ancora vivo... forse potremo salvarlo...

— Chi? chi?

— Alonso...

— Alonso! — gridò la giovane, retrocedendo vivamente e lasciandosi cadere di peso sulla poltrona. — Alonso!... Ah!... —

Un singhiozzo era sfuggito dalle labbra di Mariquita, un singhiozzo rauco, soffocato.

— Signora, — disse il baleniere, che non sapeva più che pesci prendere. — Non vi ho detto che sia morto... anzi... uno svernamento sulle coste della Terra del Fuoco non significa nulla... qui o lassù è tutt’uno... fa freddo egualmente e l’estate torna sempre. —

Mariquita si era alzata di scatto, cogli occhi umidi, il volto trasfigurato da un dolore intenso, pure pareva calma.

— Narrami tutto... tutto! — esclamò.

— Voleva raccontarvelo vostro padre.

— Non posso attendere... fa lo stesso... parla, papà Pardo, te ne scongiuro. —

Il baleniere, messo colle spalle al muro, bene o male, impaperandosi ad ogni momento, le narrò alla meglio quanto avevano appreso dalle carte trovate nelle mani di uno dei due disgraziati marinai della Rosita, nascondendole con somma cura il tremendo pericolo che minacciava Alonso ed i suoi compagni di sventura, ossia di morire di fame sulle desolate spiaggie della Terra del Fuoco.

Mariquita lo aveva ascoltato in silenzio, soffocando di quando in quando un singhiozzo. Quando il pescatore le ebbe detto che un solo uomo avrebbe potuto andare in cerca dei naufraghi e della Rosita, trasalì vivamente, poi impallidì...

— Piotre! — esclama. — Il rivale di Alonso!... Io ho respinto la sua mano e credo che non mi abbia mai perdonato di aver dato il mio cuore a suo cugino.

— Eppure, Mariquita, lui solo possiede una barca capace di affrontare, in simile stagione, i ghiacci dell’Antartico, come lui solo è uomo tanto audace da dirigere una simile spedizione. Non potete scegliere.

— Odia Alonso, lo so, e profondamente.

— Forse dinanzi a voi non resisterebbe, perchè io so che vi ama ancora e appassionatamente. La sorte di Alonso sta nelle sue mani.

— Mio Dio! — mormorò Mariquita, prendendosi il capo fra le mani.

— Pensate che ogni momento di ritardo può essere fatale al vostro fidanzato e anche pei suoi salvatori. Già l’oceano si copre di ghiacci al sud e le tremende bufere invernali presto spazzeranno queste regioni. —

Mariquita si era bruscamente alzata: una viva fiamma brillava nei suoi occhi nerissimi e sul suo viso si leggeva una suprema volontà.

— Sia, — diss’ella. — Dovesse costarmi la felicità. Alonso non morrà.

— Che cosa volete fare, Mariquita? — chiese Pardo, atterrito dal pallore che copriva le gote della giovane.

— Prepara due cavalli e vieni a raggiungermi alla taverna del peruviano.

— Andremo al Porto della Fame?

— Sì, — rispose la giovane con energia, — andrò da Piotre.

— E...

— Taci: vedremo. —

Prese da una sedia una pesante manta adorna di pizzo nero, se la gettò sulle spalle, avviluppandosi strettamente il corpo e uscì a rapidi passi, come se avesse preso una decisione irrevocabile.

Attraversò la cittaduzza senza nemmeno dare uno sguardo alle persone che la salutavano, tanto era preoccupata, e cinque minuti dopo entrava nella taverna del peruviano, dove il signor López, in preda a mortali angoscie, e José l’attendevano.

— So tutto, — diss’ella avanzandosi verso il vecchio esploratore ed abbracciandolo affettuosamente. — Papà Pardo, costretto da me, mi ha raccontato ogni cosa.

— Mia povera Mariquita! — esclamò il signor López.

— Noi lo salveremo, padre mio.

— E come?

— Andrò da Piotre.

— Sei decisa?

— A tutto, pur di strappare alla morte colui che doveva diventare un giorno mio marito e tuo figlio. —

Nel pronunciare quelle parole la sua voce aveva tremato e due lagrime le avevano velato i begli occhi. Reagì tuttavia prontamente, riprendendo la sua calma ed aggiungendo:

— Se Piotre cederà alle mie preghiere, andrò anch’io assieme a lui.

— Tu, Mariquita!

— Sì, padre mio.

— Esporti ai terribili uragani della Terra del Fuoco!...

— Sfiderò i ghiacci e le tempeste: ho il sangue di due razze, egualmente valorose, nelle mie vene e sono la figlioccia d’un uomo che ha affrontato cento volte la morte nella pampa argentina e nelle terre magellaniche. —

Il vecchio ebbe un lampo d’orgoglio negli occhi:

— Sì, — disse, — tu sei veramente figlia di razze forti e non andrai sola a sfidare i pericoli che minacciano i naviganti delle regioni meridionali.

— Verrai anche tu?

— Sì, Mariquita.

— Sei vecchio, padre, e le tue lunghe esplorazioni hanno indebolito la tua forte fibra.

— Sono sempre l’esploratore che ha passato metà della sua esistenza fra le lancie e le bolas degli araucani e dei patagoni, — rispose il signor López.

— Sia, padre mio: vicina a te avrò maggior coraggio e guarderò senza paura la morte se verrà ad insidiarci: addio, parto subito.

— Vai da Piotre?

— Il cavallo mi aspetta ed il Porto della Fame non è lontano.

— Chi ti condurrà?

— Papà Pardo.

— Tornerai presto?

— Prima di questa sera sarò a casa; Porto della Fame non è lontano ed i tuoi cavalli sono buoni corridori.

— E se Piotre non vi fosse? Io so che, quando non pesca, va a caccia di guanachi nella pampa.

— Non tornerò senza averlo veduto.

— Noi intanto prepareremo tutto ciò che sarà necessario alla spedizione e arruolerò altri uomini.

— Fra i quali spero che ci sarò anch’io, signor López, — disse José.

— Sarete il primo.

— Addio, caro padre, — disse Mariquita. — Spero di recarti una buona notizia stasera.

— E se Piotre rifiutasse? — chiese il vecchio esploratore.

— Non rifiuterà, — rispose la giovane, la cui voce, nel pronunciare quelle parole, aveva tremato.

— Mariquita! — esclamò il signor López, con angoscia. — Io leggo nei tuoi sguardi una disperata risoluzione. Tu vai ad infrangere la tua futura felicità! Tu ti prepari a compiere un terribile sacrificio e a distruggere il tuo più bel sogno.

— Taci, taci, — rispose la fanciulla, soffocando un singhiozzo. — Io devo salvare Alonso.

— Pensa bene a quello che stai per fare, mia povera Mariquita.

— Sono decisa. —

Si avvolse novamente nella manta, nascondendosi parte del viso e uscì rapidamente, senza aggiungere parola.

Dal tremito della manta, era facile indovinare che dei singhiozzi dovevano sollevare il petto della povera giovane.

Non vedendo ancora Pardo, risalì la via, rasentando la casetta e gli orticelli e giunse alla sua abitazione, nel momento in cui il baleniere usciva dalla tettoia, conducendo per la briglia due cavalli di razza patagone, animali di poca apparenza eppure d’una robustezza e resistenza eccezionale, che possono percorrere perfino trenta leghe in una sola giornata.

Il baleniere, sapendo che il territorio non era ancora sicuro, aveva appeso alle selle due trabucos e nelle fonde aveva messe delle pistole.

— Partiamo? — chiese.

— Sì, Pardo, — rispose la giovane.

L’aiutò a salire in sella e scesero al trotto il versante opposto della collina cosparso di orticelli e di segherie, gran parte delle quali appartenevano al signor López.

Mariquita cavalcava come un’araucana, essendo abituata, fino da bambina, a correre la pampa patagone; anche il vecchio baleniere che nella sua gioventù era stato guaso non si teneva male sulla larga e durissima sella e malgrado l’età si comportava bene, non ostante il galoppo piuttosto irregolare della sua cavalcatura.

Alla base della collina piegarono verso l’ovest, prendendo uno stretto sentiero che correva parallelamente alla spiaggia a una distanza di un paio di miglia e forse più.

Soffiava un vento freddissimo che scuoteva fortemente le piante disseminate sulla pampa ed il cielo era grigio come se volesse minacciare qualche nevicata. Sull’imponente mole del Sarmiento, la cui massa spiccava nettamente verso occidente, doveva già cadere la neve e in abbondanza, perchè le sue cime si coprivano rapidamente.

La grossa manta ed il pesante cappotto di mare riparavano a sufficienza Mariquita ed il baleniere.

Il paese si era fatto deserto a un tratto. Non vi sono fattorie intorno a Punta Arenas poichè correrebbero il pericolo di venire sorprese dagli irrequieti patagoni che sono quasi sempre in armi.

Non si vedevano che pianure erbose, coperte per la maggior parte di muschio, imbevute d’acqua, e grosse macchie di faggi, piante superbe che hanno dei tronchi della circonferenza di tre metri, un’altezza di oltre trenta ed il fogliame foltissimo d’un bel verde pallido. Inoltre, ammassi di sterpi spinosi che circondavano gli stagni, molto abbondanti in quei luoghi e ricchi d’incrostazioni saline, candide come la neve.

In lontananza invece, dentro terra, si vedevano gruppi di cedri rossi, di boyghe, alberi ritenuti sacri dagli araucani, di quillais che forniscono un legno rosso durissimo e di quinchamalin le cui radici sono ottime per risanare rapidamente le ferite. Brutto paese però, saturo di umidità e d’acqua, intersecato in tutti i sensi da rii e da bacini, d’aspetto selvaggio e triste ad un tempo, popolato solamente da miriadi di uccelli e da vizcacha, specie di cani di prateria somiglianti a quelli che s’incontrano nelle pianure dell’America settentrionale e che, al pari di quelli, vivono dentro tane in compagnia di serpenti e di gufi.

I due cavalli che galoppavano rapidamente, superarono ben presto quella regione umidissima e, inoltrandosi sotto folti boschi di pini, di luma e di arbusti d’huingán, colle cui bacche gli araucani fanno un vino nauseante, trovarono un terreno più sodo e più atto ai loro zoccoli.

Pardo per precauzione aveva levato ed armato il trabuco e apriva bene gli occhi, non essendo rare in quell’epoca le imboscate dei fieri patagoni. Mariquita invece, che si manteneva silenziosa, immersa nei suoi pensieri, sembrava che non si fosse nemmeno accorta che alla sua sella vi erano delle armi.

— Guardate anche voi señorita, — disse il baleniere. — Si fa presto a scagliare una bola perdida e voi sapete quanto sono destri quei maledetti patagoni nel lancio di quella grossa pietra.

— I patagoni hanno imparato a temere i cileni, — si limitò a rispondere Mariquita. — Non sono gli araucani.

— È meglio non fidarsi della loro tranquillità, più apparente che reale, — borbottò papà Pardo. — Qui le toldos1 non devono mancare. —

Il vecchio non s’ingannava. I due cavalli erano appena usciti da quei macchioni, quando nella pianura erbosa apparvero alcune abitazioni patagoni, disseminate capricciosamente intorno agli stagni.

Erano piccoli accampamenti formati da tende di pelle di guanaco, quadrate, lunghe quattro metri su due di altezza, sostenute da pali incrociati e che si montano e si smontano in pochi minuti, luride e puzzolenti quanto si può immaginare, essendo la pulizia del tutto ignota ai loro abitanti.

Vedendo passare quei due cavalli, alcuni patagoni erano usciti tenendo in mano delle lunghe lancie e le bolas, che sono pezzi di pietra un po’ acuminati, avvolti in un lembo di pelle e appesi ad una corda lunga un metro, che quegli arditi corridori lanciano con una destrezza ammirabile, fracassando la testa del nemico anche ad una distanza di cinquanta passi.

Erano tutti di statura altissima, con teste assai grosse, i capelli lunghi e ruvidi, forme erculee, con gambe corte e corpo invece lunghissimo e la pelle rosso-bronzina. Benchè il freddo fosse intenso, non avevano per riparo che dei mantelli di guanaco abbelliti da ricami rossi, ai piedi dei ruvidi calzari di pelle, ed in testa una semplice striscia di cuoio stretta attorno alla nuca.

Dovevano essere degl’indiani mansos, ossia sottomessi, perchè non si allontanarono dalle loro tende, nè accennarono a far uso delle loro armi, limitandosi a seguire collo sguardo i due cavalli finchè furono scomparsi dentro un’altra boscaglia. Pardo non aveva abbandonato il trabuco e si era anzi più volte voltato indietro, temendo di essere seguito da quei pericolosi giganti.

Verso il mezzodì, ossia cinque ore dopo la loro partenza da Punta Arenas, Mariquita e papà Pardo giungevano sulle rive dello stretto, il quale in quel luogo forma una vasta curva.

Porto della Fame era in vista.

Note

↑ Tende patagoni.

CAPITOLO VI.

Una caccia ai condor.

Porto della Fame, chiamato anche Porto Carestia, situato quasi a metà dello stretto, deve il suo triste nome agli orrori che travagliarono i primi coloni spagnuoli giunti sulle terre magellaniche.

Padrona la Spagna di quasi tutta l’America del Sud e avida di nuove colonie, intuendo la grande importanza che avrebbe dovuto un giorno assumere quel passaggio, che metteva in comunicazione l’Atlantico col Pacifico, nel 1581, ossia sessantun anni dopo la sua scoperta, incaricò Sarmiento di andar a fondare su quelle desolate spiaggie una città che avrebbe dovuto chiamarsi la Ciudad Real de San Felipe.

Uomo audace ed esperto marinaio, ma non molto previdente, Sarmiento subito salpa e dopo una lunga navigazione getta l’àncora in quella baia, sbarcando parecchie centinaia di coloni, fra cui moltissime donne.

Tutto pareva arridere agli spagnuoli.

La Ciudad de S. Felipe sorse come per incanto ed un’altra se ne costruì un po’ più lontano, Nombre de Jesús, per tenere maggiormente in freno i bellicosi patagoni e per avere le chiavi dello stretto. Quand’ecco che un brutto giorno i viveri cominciano a mancare. Le navi erano vuote, vuoti i magazzini e nessuno aveva pensato a coltivare il suolo. Sarmiento, spaventato, s’imbarca per andare cercare soccorsi a Rio Janeiro, dove sperava trovare un vascello carico di viveri spedito dal governo spagnuolo; invece una orribile tempesta lo sorprende e lo obbliga a cercare rifugio a Pernambuco, dove giunge colla nave sconquassata.

Riattatala, riprende il mare, ma un destino contrario lo perseguita e lo fa naufragare. Qualunque altro si sarebbe scoraggiato dinanzi a tanta ostinata avversità; Sarmiento, che pensava a quei disgraziati lasciati sulle desolate sponde dello stretto, alle prese colla fame e fors’anche cogl’indiani, non si scoraggiò.

Arma una nuova nave e riprende arditamente il mare, sperando che la sua perseveranza avrebbe finito collo stancare il destino. Era invece scritto che non dovesse più mai rivedere i suoi coloni, nè le città che aveva fondate.

Una nave inglese lo assalta e dopo un lungo combattimento lo vince e Walter Raleigh lo conduce prigioniero a Londra, dove rifiuta ostinatamente di far conoscere in quale orribile situazione si trovavano i suoi compatriotti, temendo la conquista del canale da parte dei suoi nemici.

Intanto la fame era piombata sulla disgraziata città e anche sull’altra. Vinti dall’inedia e tribolati dai continui assalti degl’indiani, i coloni morivano a dozzine e dozzine, seminando le coste dei loro cadaveri.

I coloni di Nombre de Jesús si erano riversati su S. Felipe ed il governatore li aveva ricacciati, non avendo più viveri.

Pure quei disgraziati per due inverni resistettero tenacemente, pescando e cacciando e scemando continuamente di numero, finchè gli ultimi superstiti, in numero di un centinaio, imbarcatisi su due scialuppe, lasciarono la città maledetta cercando uno scampo fuori del canale.

Alcuni, fortunati, vennero raccolti da Cavendish, corsaro inglese; altri morirono miseramente su quelle spiaggie e le città, non più popolate, caddero in rovina finchè scomparvero del tutto e ad eternare quell’orribile disastro rimase il nome di Porto della Fame, che tutt’ora conserva.

· · · · · · · · · · ·

Della riedificata Ciudad Real de S. Felipe, abbandonata anche dal governo cileno dopo la ribellione militare del 1843, non erano rimaste che una dozzina di casette di legno, abitate per la maggior parte da balenieri, aggruppate intorno ad una un po’ più vasta, di proprietà di Piotre.

Papà Pardo e Mariquita si erano diretti verso questa, colla certezza di trovarvi il baleniere. Era tornato di certo, perchè in mezzo alla baia si vedeva una grossa barca da pesca che il vecchio marinaio aveva subito riconosciuta.

— È la Quiqua di Piotre, — aveva risposto alla giovane che gliela aveva additata. — Mi pareva già d’averla vista la scorsa notte, quando passavo dinanzi a questa costa.

— Lo troveremo nella sua casa? — chiese la giovane, la cui voce tremava.

— Lo sapremo subito. —

Un uomo che lavorava in un orticello, vedendo la giovane ed il vecchio baleniere, era uscito dallo steccato per osservarli.

— Dov’è il signor Piotre? — gli chiese Pardo. — Abbiamo bisogno di lui.

— Il padrone è alla caccia del condor, — rispose il colono. — Quando non dà addosso alla balena se la prende coi guanachi o coi grossi volatili. —

Mariquita fece un gesto di stizza, pure in fondo al suo cuore non se ne rammaricò. Quella circostanza che le accordava alcune ore di tregua, non le rincresceva.

— Quando tornerà? — chiese Pardo.

— Chi può saperlo? Se volete trovarlo non vi sarà difficile.

Guardate lassù su quel monte: è il Tarn. Non vedete un recinto?

— Sì, lo vedo.

— È là che aspetta i condor. In un’ora e forse meno potete raggiungerlo. —

Pardo guardò Mariquita.

— Andiamo, — disse questa, con voce risoluta. — Prima o dopo, il nostro incontro deve avvenire. —

Salutarono colla mano il colono e volsero le spalle al gruppetto di casupole, avviandosi verso il Tarn, un cono colossale i cui fianchi erano coperti di fitti boschi di faggi antartici. Mariquita e Pardo avevano guardata attentamente la cresta indicata dal peone.

Era una specie di piattaforma, contornata da rocce brulle e prive di vegetazione, coi fianchi che parevano tagliati quasi a picco e che sorgeva isolata sul fianco meridionale del Tarn. Quantunque fosse lontana quattro o cinque miglia, si scorgeva benissimo nel mezzo una specie di recinto formato da pali ed in alto alcuni grossi punti neri che descrivevano degli ampii giri ora abbassandosi ed ora alzandosi.

— Andremo a guastargli la caccia, — disse Pardo. — Ecco lassù i condor che volteggiano e che pare abbiano un gran desiderio di calare.

Non vi accoglierà troppo bene Piotre; se è un gran baleniere, è anche un appassionato cacciatore.

Se mandassimo qualcuno ad avvertirlo del vostro arrivo, Mariquita?

— Forse non verrebbe, — rispose la giovane. — Piotre nutre verso di me un profondo rancore, lo so.

— Non ne dubito, — disse il vecchio pescatore. — Non vi ha più perdonato d’aver respinto la sua mano.

Deve avervi amata assai quell’uomo, per essere diventato così triste e così selvaggio. Mi hanno detto che passa delle intere settimane senza mai parlare con nessuno, nemmeno coi suoi marinai.

— Taci, papà Pardo, — disse Mariquita, con voce soffocata. — Vedremo come mi accoglierà.

— È diventato un orso e poi... eh, avrete da faticare a deciderlo. Bah! Non disperiamo. —

Cominciavano a salire i primi pendìi del Tarn, cosparsi di pini araucani altissimi, che producono delle frutta simili alle nostre castagne, di punya e di faggi, ed ingombri di cespugli entro i quali si udivano latrare lamentosamente i cani di prateria.

Dinanzi a loro numerosi volatili s’alzavano, fuggendo disordinatamente in tutte le direzioni. Erano bei casariti, specie di tordi che fanno dei nidi in forma di cupolette con entrate labirintiche; erano pernici di campo, tanagre striate colle belle penne azzurre ed aranciate; colombe zenaide, un po’ più grosse delle nostrane e dei guid-guid, volatili che abbaiano come i cani.

Di quando in quando dai cespugli fittissimi balzava fuori rapidissimo qualche guanaco, animale agilissimo, col collo lungo e flessibile, la testa piccola e le gambe sottilissime, selvaggina molto ricercata dai patagoni i quali apprezzano molto la delicatezza delle sue carni; oppure volava fuori, correndo poi all’impazzata sulle sue lunghe gambe, qualche ñandú, lo struzzo delle terre magellaniche che è molto più piccolo di quello africano e non ha penne così ricche e così belle.

Dopo d’aver attraversata una boscaglia assai folta che saliva faticosamente lungo i fianchi del cono, i due cavalli si fermarono dinanzi ad una rupe dove stavano legati al tronco d’un faggio altri tre mustani di statura altissima.

— Questi devono essere i cavalli di Piotre e dei suoi peoni, — disse Pardo. — Dobbiamo scendere anche noi.

La cima non è che a duecento metri sopra la nostra testa. —

Mariquita, sapendosi così vicina a Piotre, ebbe un brivido.

Il baleniere l’aiutò a scendere dalla sella, legò i due cavalli vicino agli altri e si mise a salire il pendio precedendo la giovane.

In alto si scorgeva un recinto formato da pali collocati a breve distanza l’uno dall’altro e collegati fra di loro da certe specie di liane e da rami flessibili.

Doveva essere la trappola dei condor.

I giganteschi volatili non erano ancora scesi. Si vedevano volteggiare ad una grande altezza, colle ampie ali tese, ma pareva che non volessero allontanarsi da quella cima sulla quale qualche cosa doveva attirarli irresistibilmente.

Pardo e Mariquita, superate le ultime rupi che diventavano sempre più difficili a scalarsi, giunsero finalmente sul margine di quel minuscolo altipiano.

Stavano per avviarsi verso il recinto, quando una voce ruvida e quasi minacciosa, che pareva uscisse da un crepaccio aperto in una rupe, gridò:

— Chi viene a disturbare la mia caccia? Volete spaventare i condor?

— Piotre! — esclamò Mariquita, impallidendo e serrandosi attorno al capo la manta.

Un uomo era uscito da quella spaccatura, tenendo in mano un lazo di pelle intrecciata che terminava in un anello di rame.

Poteva avere trent’anni. Era di statura imponente, con un petto da patagone, spalle ampie, membra muscolose che dimostravano una forza più che straordinaria.

Si comprendeva subito che era di razza bianca, quantunque la sua pelle fosse abbronzata. Per una singolare stranezza, aveva i capelli biondi che portava lunghi, sciolti disordinatamente sulle spalle e gli occhi color dell’acciaio che avevano un certo lampo selvaggio e che tradivano un non so che di ruvidezza, ma anche di tristezza.

Bell’uomo però, con una testa superba, una fronte spaziosa, ma che rughe precoci avevano già solcato, con un naso ben diritto e con labbra sottili, indizio d’una ferrea volontà e d’una grande energia.

Vestiva un bizzarro costume che aveva del guaso cileno e del gaucho argentino. Camicia di lana variopinta con ricami di seta e bottoni d’argento, stretta da un’alta fascia di stoffa rossa, calzoni alla zuava, di stoffa a righe, sbuffanti e merlettati all’estremità, i chiripá degli argentini; stivali lunghi, grossi, con speroni d’argento. Sul capo invece un sombrero dalle larghe tese, adorno d’un cordoncino d’oro, con fiocchetti.

Vedendo Pardo e sopratutto quella giovane donna che si teneva il viso semi nascosto dalla manta, la fronte di quell’uomo si era aggrottata, poi un rapido pallore si era diffuso sul suo volto.

— Vecchio Pardo, — disse con voce men dura, — chi è la giovane che conducete? Che cosa volete voi? Non vedete che attendo i condor? Se vi... —

Si era improvvisamente interrotto, facendo un passo indietro, mentre il suo volto aveva assunto un’espressione quasi feroce.

Mariquita aveva lasciata cadere la manta, dicendogli con voce dolce e che tremava.

— Sono io, Piotre. Perdonate di essere venuta a trovarvi quassù sulla montagna, invece di attendervi nella vostra casa. Non credevate certo di vedermi qui.

— No, señorita, — disse il baleniere, con accento aspro, nel quale si sentiva vibrare una profonda amarezza. — La Stella dell’Araucania per me era morta.

Che cosa siete venuta a far qui, dall’uomo a cui voi avete spezzato l’esistenza?...

— Mi serbate sempre rancore, è vero, Piotre? —

L’uomo di mare non rispose. I suoi lineamenti continuavano ad alterarsi, mentre la sua fronte si corrugava burrascosamente. Pareva che un terribile uragano imperversasse nell’anima di quell’uomo.

— Avete avuto ragione di odiarmi, — rispose Mariquita, con voce sempre più tremante. — L’uomo non perdona più alla donna che ha respinto la sua mano e che ha impegnato il suo cuore con un altro. Voi non perdonerete mai, nemmeno a me: lo leggo nei vostri occhi. Che colpa ne avevo io, Piotre? Se foste giunto prima... chissà, non avrei rifiutato di diventare un giorno vostra... moglie.

— Perchè evocate questi ricordi che il tempo ormai ha travolti? — disse il baleniere, con voce sorda. — Ormai sono morti per me e la ferita che ha sanguinato per tanto tempo, il mare l’ha rimarginata. —

Ma non era così, perchè, mentre pronunciava quelle parole, un tremito agitava le sue labbra e nei suoi occhi si spegneva la cupa fiamma.

— Come volete, — disse Mariquita, con un sospiro. — Non parliamo più del passato. —

Piotre si era messo a passeggiare per la piattaforma colla fronte sempre corrugata e i pugni chiusi, senza guardare la fanciulla. Ad un tratto si fermò dinanzi a lei, dicendole:

— Non mi avete ancora spiegato il motivo della vostra venuta, señorita.

— Ho da parlarvi da solo.

— Non è questo il luogo, — rispose Piotre, ruvidamente. — E poi, guardate, i condor cominciano ad inquietarsi e voi mi farete perdere in questo momento una buona occasione per procurarmene qualcuno.

Riprenderemo più tardi questo discorso, a casa mia. Ora ho altro da fare. —

Era ritornato ruvido e la commozione che poco prima aveva alterato il suo viso, pareva che fosse improvvisamente scomparsa. Anche il suo sguardo era ridiventato duro e tetro.

Con un brusco cenno le indicò la spaccatura che pareva mettesse dentro qualche caverna, dicendole:

— Là dentro, señorita. I condor stanno per calare. —

Poi, posando una mano sulla spalla del vecchio pescatore, aggiunse con una certa dolcezza:

— Anche tu, papà Pardo, vedrai che bella caccia! —

Mariquita aveva obbedito senza replicare parola ed i due balenieri l’avevano subito seguita.

Quella spaccatura metteva in una piccola caverna semicircolare, appena capace di contenere una dozzina di persone.

Sdraiati al suolo vi erano due peoni, due servi di Piotre, i quali dovevano aiutarlo nella caccia.

Ad un cenno del padrone spiegarono un bellissimo poncho, invitando Mariquita a sedersi; poi ripresero il loro posto, masticando silenziosamente la loro coca.

Piotre si era sdraiato presso la fenditura per sorvegliare le mosse dei condor, tenendosi quasi nascosto sotto un largo pezzo di pelle.

Pareva che non si preoccupasse che dei volteggi fulminei dei giganteschi uccellacci, eppure non era vero, perchè di quando in quando piegava la testa e lanciava uno sguardo furtivo dentro la piccola caverna, cercando gli occhi di Mariquita. Allora un fremito agitava tutto il suo corpo e la sua pelle si faceva d’una tinta più scura, come se un’ondata di sangue gli salisse sul viso. No: il mare non doveva aver chiusa la ferita del suo cuore e forse in quel momento sanguinava più che mai. Un anno non doveva essere stato sufficiente a rimarginarla e ne era solamente trascorso uno dalla sera in cui la fanciulla aveva respinto la sua mano.

Mariquita, seduta nell’angolo più scuro della caverna, non lo perdeva d’occhio e spiava ogni suo più piccolo movimento. Sentiva gli sguardi del baleniere; involontariamente trasaliva e la sua faccia si contraeva come sotto un improvviso spasimo.

Intanto i condor, non vedendo più nessuno, cominciavano ad abbassarsi verso il piccolo altipiano, restringendo sempre più i loro giri.

Il recinto esercitava su di loro un fascino irresistibile e come ben si può comprendere, non erano già i pali che li attiravano, bensì il cadavere d’un montone che prima era stato spinto lassù e poi scannato, perchè servisse d’esca a quei voraci volatili.

I condor che hanno una vista acutissima e che fiutano le carogne a delle distanze incredibili, l’avevano già scorto e si preparavano a scendere per saziarsi delle sue carni.

Quei giganteschi volatili amano poco le bassure e anche le montagne poco elevate, dove hanno tutto da temere da parte degli uomini. Ordinariamente si tengono sulle gigantesche catene andine, da dove spiano le prede, non scendendo quasi mai al di sotto della linea delle nevi.

Quando il freddo fa fuggire i guanachi, allora osano calare anche nelle pianure per cacciare altri animali, perchè quantunque si nutrano di preferenza di carogne al pari degli avvoltoi e degli urubu, che sono gli spazzaturai delle città sud-americane, si gettano anche contro gli esseri viventi che non possono opporre lunga resistenza.

Specialmente i montoni e le pecore forniscono loro le vittime; pure talvolta anche i vitelli ed i giovani cavalli cadono sotto i rostri di quegli audaci predoni.

Si riuniscono in buon numero, circondano i montoni, poi s’avanzano sbattendo vivamente le loro immense ali e gridando a piena gola. Quando i disgraziati animali, tremanti, spaventati, si trovano ammassati gli uni addosso agli altri, formando un gruppo compatto, i condor s’innalzano e poi piombano su quella massa vivente che non può opporre alcuna difesa, facendo delle stragi orribili.

I danni che cagionano agli hacienderos del Perù, del Chilì e della pampa argentina sono gravissimi; ogni anno parecchie migliaia di bestie vengono divorate.

I condor che stavano per scendere sul recinto erano una mezza dozzina e tutti giganteschi. Splendidi volatili, quando si vedono solcare lo spazio colle immense ali tese, pieni di forza e di fierezza, passando sopra le vette nevose delle Ande; quale differenza invece quando si possono vedere da vicino appollaiati sulla punta di qualche rupe! Tutta la loro bellezza scompare, perchè non hanno nulla della nobiltà delle aquile, non essendo che degli avvoltoi e anche dei più brutti, col collo nudo e rugoso che fa ribrezzo a vederlo e che non ha nulla da invidiare a quello degli arghilah indiani, i mangiatori di carogne per eccellenza.

I sei condor continuavano a restringere i loro giri ed abbassarsi sempre però lentamente e con prudenza, essendo molto diffidenti. Non osavano ancora, sospettando qualche tranello, ma la vista di quel montone morto che prometteva un’abbondante scorpacciata, li attirava sempre.

Ad un tratto il più ardito, o il più affamato, scese come un fulmine, appollaiandosi sulla cima d’una roccia che s’alzava a pochi metri dal recinto.

Era un uccellaccio che misurava dal capo alla coda quasi un metro e mezzo, colle ali di tre e una grossezza tale da superare tutti i volatili conosciuti.

La testa, in proporzione al corpo, era piuttosto piccola, traforata da due occhietti grigi forniti di ciglia del più bizzarro aspetto, armata d’un becco robusto, arcuato all’estremità della mandibola superiore, nerastro alla base e giallo nel resto della sua lunghezza, ed adorna sul cranio d’una specie di cresta floscia attraversata da solchi profondi, che ricadeva attraverso il rostro.

Il collo era senza penne, di tinta rossastra, di apparenza spiacevole, e che sembrava fatto appositamente per frugare tra le carogne, circondato presso le spalle da una collana di peluria finissima, d’una bianchezza abbagliante, che contrastava vivamente colle penne azzurro cupe che coprivano tutto il resto del corpo.

Quel gigante dell’aria rimase immobile alcuni minuti, girando il capo in tutte le direzioni, per accertarsi che non vi erano nemici, poi con una volata passò sopra la cinta piombando sul montone e squarciandolo coi lunghi artigli ricurvi e robustissimi. Gli altri, incoraggiati, calavano a loro volta, imitandone la manovra.

Piotre, non scorgendoli più, si era alzato, dicendo ai suoi peoni:

— Preparate i randelli. Fra poco saranno tanto pieni da non poter più innalzarsi. —

Quindi, senza guardare in viso la giovane araucana, le disse:

— Se volete assistere, Mariquita, ad una caccia emozionante, lasciate quell’angolo e accostatevi a me.

Vedrete meglio, e anche voi, vecchio Pardo. —

La giovane s’alzò senza rispondere, avvicinandosi alla spaccatura, quantunque colle preoccupazioni che aveva, quella caccia non la interessasse affatto.

I sei condor, aggruppati intorno al montone, s’impinzavano di carne al punto di correre il pericolo di scoppiare.

Era il momento atteso dai cacciatori per dare addosso a quegli ingordi predoni.

Essendo quegli uccellacci d’una voracità prodigiosa, quando trovano cibo in abbondanza si riempiono talmente il corpo, da non essere quasi più capaci di riprendere subito il volo, se prima non fanno una corsa per prendere lo slancio.

I cileni e anche i peruviani hanno perciò adottato quei recinti per dare la caccia ai condor. Mancando a questi lo spazio sufficiente per la corsa, in causa della strettezza dei pali, si trovano nell’impossibilità di spiccare il volo e diventano preda facile dei cacciatori che li finiscono a colpi di bastone, quando non preferiscono conservarli per venderli ai mercanti di fiere.

Piotre, giudicandoli abbastanza pieni per non poter più fuggire, si era slanciato verso la porta del recinto impugnando una specie di mazza piombata, seguito dai suoi due peoni.

I volatili, sorpresi da quell’improvvisa apparizione e d’altronde troppo pesanti per servirsi delle ali, erano rimasti stupidamente accovacciati sul carcame del montone.

Non cominciarono a difendersi se non quando i primi colpi di mazza grandinarono sui loro corpi. Allora si rizzarono battendo furiosamente le ali e tentando di afferrare coi robusti becchi i bastoni e anche di gettarsi addosso ai cacciatori, ma erano vani sforzi.

Piotre, che, come abbiamo detto, era dotato di una forza erculea, picchiava tanto forte da fracassare d’un colpo ali e testa e anche i suoi due peoni battevano sodo.

Bastarono cinque minuti per far stramazzare sulla carogna del montone quei sei giganteschi uccellacci.

Allora Piotre, strappando al più grosso un mazzo di penne lunghissime d’una splendida tinta turchino cupo, si accostò a Mariquita che aveva assistito al massacro, tenendosi ritta all’entrata del recinto e glielo porse, dicendole con un misto di ruvidezza e di nobiltà:

— A voi, señorita: le più belle spettano alla donna. —

Quindi, volgendole bruscamente le spalle, aggiunse:

— Torniamo a casa: qui non ho più nulla da fare. —

Cinque minuti dopo, mentre i peoni trascinavano i condor nella caverna, Piotre, Mariquita e papà Pardo salivano sui loro cavalli, galoppando verso Porto Carestia.

CAPITOLO VII.

Il giuramento di Mariquita.

La vita di Piotre Gutiérrez, cugino di Alonso, il fidanzato di Mariquita, era stata una delle più burrascose e delle più travagliate.

Antico ufficiale della marina da guerra argentina, dove era considerato come uno fra i più colti, i più audaci e più brillanti marinai della flotta, appena ventiduenne era stato coinvolto in uno di quei pronunciamientos militari che sono così frequenti nelle irrequiete repubbliche sud-americane.

Fatto prigioniero, assieme a suo cugino Alonso, che era anch’egli ufficiale della marina, era stato degradato e condannato dapprima alla fucilazione, poi graziato e relegato in uno dei tanti fortini disseminati sulla frontiera patagone per tenere in freno le bellicose tribù della Pampa.

Uomo audacissimo e assetato di libertà, non vi era rimasto molto. Approfittando d’un assalto dei selvaggi delle praterie, con un coraggio straordinario, armato d’una sola sciabola, si era di notte scagliato fra gli assedianti, aprendosi una via sanguinosa e rifugiandosi, quasi incolume, nei deserti della Patagonia, fra i quali aveva errato due lunghi anni, vivendo come un Robinson.

Un bel giorno, dopo marce immense, dopo essere sfuggito mille volte alle insidie dei patagoni, era riuscito a raggiungere lo stretto di Magellano e quindi Punta Arenas, dove per un caso stranissimo aveva trovato Alonso che più fortunato di lui era riuscito ad imbarcarsi su una nave inglese e a lasciare l’Argentina, prima che il consiglio di guerra avesse potuto pronunciarsi sulla sua sorte.

Col soccorso di amici e di parenti, i due cugini, ambedue valenti marinai, avevano acquistato una piccola nave baleniera, dedicandosi alla pesca di quei mostruosi cetacei, che in quel tempo erano ancora numerosi presso le coste della Terra del Fuoco e nell’oceano Antartico, facendo una rapida fortuna.

Una donna doveva aprire fra i due balenieri un baratro profondo e un’onda d’odio intenso: Mariquita.

Gli occhi ardenti della giovane araucana, avevano ferito i loro cuori, accendendo nei loro petti una passione d’uguale violenza.

Piotre aveva però avuto il torto di giungere troppo tardi, perchè ormai Mariquita aveva impegnata la sua mano con Alonso, più gentile, più cavalleresco e più giovane del cugino ed aveva respinto quella offertagli dall’esiliato.

Da quel giorno i due cugini si erano separati, armando ciascuno una nave per proprio conto.

Piotre, col cuore sanguinante, per non assistere alla felicità del rivale, aveva abbandonato Punta Arenas ritirandosi a Porto Carestia, e non vi aveva fatto mai ritorno.

Si era dedicato tutto alla pesca delle balene, intraprendendo lunghi e pericolosissimi viaggi nell’oceano Antartico, sperando forse di dimenticare, fra gli uragani ed i ghiacci, la fanciulla che aveva tanto ardentemente amato e che aveva sognato di fare un giorno sua sposa.

Da quel tempo il suo carattere, dapprima gentile e cavalleresco, aveva subito un brusco cambiamento. Il brillante ufficiale d’una volta, che tutti gli abitanti di Buenos Aires avevano ammirato, era diventato un ruvido marinaio, un vero orso marino.

Era diventato cupo, triste, taciturno, ma la passione non doveva essersi spenta, nè doveva essere morto l’odio che aveva nutrito verso suo cugino; anzi!

Già due volte la sua baleniera, approfittando di notti oscure e nebbiose, aveva cercato di abbordare e di tagliare in due quella del fortunato rivale che il caso gli aveva fatto incontrare in mezzo all’oceano Antartico; ed un’altra volta era stato veduto aggirarsi all’entrata dello stretto di Magellano, armato di fucile e seguito da alcuni de’ suoi marinai, aspettando probabilmente un’occasione propizia per incontrare Alonso di ritorno dalla sua campagna di pesca e sopprimerlo con una palla nel cuore.

Un lungo anno era così trascorso, quando, come abbiamo veduto, Mariquita, che aveva creduto di non rivedere mai più, gli era improvvisamente comparsa davanti per reclamare il suo aiuto per salvare il disgraziato Alonso, pericolante sulle desolate spiaggie della Terra del Fuoco.

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Quando, dopo una corsa di due ore, giunsero a Porto Carestia, senza aver scambiata una sola parola durante il percorso, suonavano le quattro pomeridiane al piccolo campanile di legno sovrastante la casa del pescatore di balene.

Piotre era subito sceso da cavallo per aiutare Mariquita, poi l’aveva introdotta nella sua sala terrena, dicendole con voce brusca:

— Qui possiamo parlare senza venire disturbati, señorita. —

Pardo, comprendendo che sarebbe stato dì troppo, era rimasto fuori, a guardia dei cavalli.

Si capiva anche a prima vista che quella casa doveva essere quella d’un uomo di mare. Tutta la saletta a pianterreno, nella quale erano entrati, era ingombra d’attrezzi marinareschi disposti con un certo ordine e anche con un certo gusto.

Le pareti erano coperte di trofei formati da ramponi incrociati con certe lance, terminanti in una punta rotonda e larga, da scagliarsi sotto la coda dei cetacei per troncare loro le ultime vertebre, di reti disposte a festoni, di scuri, di coltellacci e di armi da fuoco di diverse specie.

In terra invece vi erano bellissime pelli di guanachi e di foche australi, poi nel mezzo una vecchia tavola di noce ingombra di carte geografiche delle regioni australi e negli angoli degli ampii scaffali pieni di libri polverosi e di uccelli marini imbalsamati che perdevano a poco a poco le loro penne.

Piotre, appena entrato, aveva offerto a Mariquita un vecchio seggiolone che un tempo doveva essere stato coperto di cuoio rosso, ma ormai aveva perduto la tinta primitiva, facendole cenno di sedersi; poi le si era messo dinanzi, appoggiato alla tavola.

Era diventato di nuovo tetro e le sue dita tormentavano le carte geografiche, lacerandone, senza che se ne accorgesse, gli angoli.

Vedendo che Mariquita rimaneva silenziosa, le disse:

— Orsù, señorita. M’immagino che non sarete venuta qui per vedermi solamente. —

Vi era una tale ironia in quelle parole, che la povera giovane per un momento ebbe l’idea di alzarsi e di andarsene. Fu però un lampo. Fece appello a tutto il suo coraggio e gli disse, quasi balbettando:

— Sono venuta a fare appello alla vostra generosità, Piotre. —

Un sorriso pieno d’amarezza, sfiorò le labbra dell’uomo di mare.

— Si tratta di salvare qualcuno che gli uragani hanno spinto sulle spiaggie della Terra del Fuoco e che, senza un pronto soccorso, morirebbe di fame e di freddo su quelle spiaggie.

— Qualcuno è naufragato? — chiese Piotre, aggrottando la fronte. — Chi è?

— Vostro cugino, — rispose Mariquita, con voce appena intelligibile.

Piotre aveva fatto un soprassalto:

— Lui! — esclamò, coi denti stretti. — È ritornato?

— No, anzi è perduto, se nessuno va.

— A salvarlo?...

— Sì, Piotre.

— Andateci; chi ve lo impedisce? — disse il baleniere, con ironia.

— Gli uragani del capo Horn hanno disalberata la sua nave, e pare che si sia perduto sulle coste orientali della Terra del Fuoco.

— Ah! — fece Piotre, mentre un lampo di gioia selvaggia gli balenava negli occhi.

— E nessuno, a Punta Arenas, possiede una barca capace di affrontare i ghiacci e le bufere dell’oceano, — proseguì Mariquita.

— Ci vadano colle scialuppe, — rispose Piotre, con accento quasi brutale.

— Ma voi ne possedete una. —

Il baleniere aveva alzato il capo, guardando Mariquita con stupore.

— Si è pensato alla mia Quiqua!... — esclamò!

— Ed a voi, che siete l’unico uomo capace di guidare una spedizione così pericolosa.

— E chi ha pensato a me?

— Io.

— Voi! Evvia, señorita, scherzate?

— No, Piotre, in nome di Dio, non scherzo. —

Una terribile espressione di collera s’era diffusa sul viso dell’uomo di mare.

— Io andare a salvare Alonso! — gridò. — Io strappare alla morte colui che ha fatto la mia infelicità! che mi ha spezzato il cuore e distrutto il più bel sogno della mia vita!... Oh no, Mariquita, no: vi siete ingannata!

— Non siete generoso?

— Lo ero un giorno; ora non lo sono più!... almeno per voi e per mio cugino. —

La giovane si era accostata vivamente all’ex ufficiale, mettendogli le mani sulle spalle.

— Voi mi amate ancora, — gli disse, mentre le lagrime, non più frenate, gli scendevano sulle gote.

Piotre non rispose: ma sentendo quelle piccole mani posate sulle sue robuste spalle aveva provato un fremito.

— Ditemelo!

— Che v’importa? — chiese Piotre, con voce amara. — Ormai non potreste più essere mia.

— E se io vi rendessi la felicità? Se io realizzassi il vostro sogno? Se io infine diventassi un giorno vostra moglie?... —

Una rapida commozione alterò per qualche istante il volto di Piotre.

— Mia! — mormorò con voce sorda. — Eh, no, non vi crederei.

— Se ve lo giurassi sulla mia salute eterna? Su mia madre che riposa laggiù, nella selvaggia pampa araucana?... Salvate Alonso, ed io... diverrò vostra moglie.

— Ma voi piangete.

— Che importa a voi se io piango...

— È un sacrificio quello che fate... un sacrificio immenso che vi spezza il cuore, Mariquita, — disse il baleniere la cui voce a poco a poco si raddolciva. — Non rimpiangerete un giorno ciò che voi ora siete venuta a propormi? Pensateci.

— Mai, purchè Alonso sia strappato alla morte.

— E diverrete mia moglie?

— Ve lo prometto, — disse la povera giovane.

— Solo a questo patto io lancerò la mia baleniera sulle coste della Terra del Fuoco. Badate, Mariquita, di non ingannarmi, perchè, vivaddio, non vi rimarranno abbastanza lagrime per piangere!... Giuratemelo!

— Vi giuro di diventare vostra moglie.

— La vostra mano.

— Eccola, Piotre.

— Basta così e l’inferno inghiotta chi mancherà alla promessa, — disse il marinaio con voce minacciosa. — In quanto a lui, avrò la sua vita se oserà ancora guardarvi in viso. Venite!

— Dove volete condurmi?

— Sulla mia Quiqua. Noi scenderemo il canale insieme.

— Ho il mio cavallo.

— Lo rimanderete a Punta Arenas.

— E poi vi è il mio padrino che m’aspetta ansiosamente.

— Lo sa lui che siete venuta qui? — chiese l’ex ufficiale.

— Sì.

— E che la vostra mano non apparterrebbe più a mio cugino, se io avessi accettato la vostra proposta?

— No, e desidero che per ora non lo sappia, — disse Mariquita.

— Non lo saprà che dalle vostre labbra, — rispose Piotre.

— Lasciatemi partire. Voi non avete forse equipaggio sufficiente per una simile spedizione e dovrò arruolare altri uomini.

— Non ne ho che sei e me ne occorrono almeno altrettanti.

— Ve li troverò a Punta Arenas. Quando sarete pronto?

— Domani mi troverò davanti alla cittadella. Otto o dieci ore mi bastano per completare le mie provviste ed armare la nave.

— Verrà anche il mio padrino con voi. —

Piotre corrugò la fronte, come se la cosa gli piacesse poco, poi disse subito:

— Io non posso negare nulla alla mia futura moglie. Se il signor López vorrà affrontare gli uragani del Capo Horn, non glielo impedirò, anzi gli farò allestire una cabina presso la vostra. —

Le stese la mano.

— Per la vita e per la morte, — disse.

— Sì, — rispose Mariquita, con voce appena distinta.

— Dio vi è testimone.

— Sarò vostra moglie. —

Uscirono dalla casetta.

Papà Pardo stava a pochi passi, tenendo i cavalli per le briglie, pronto a ripartire. Vedendo uscire la giovane e Piotre, colla destra dell’uno in quella dell’altra, mandò un gran respiro, immaginandosi che tutto fosse stato combinato.

— Volete che due dei miei uomini vi scortino? — chiese il baleniere al vecchio.

— È inutile, signor Piotre, — rispose il pescatore. — Non vi sono più patagoni bravos in questi dintorni. —

L’ex ufficiale aiutò Mariquita a salire a cavallo, avvolgendola nel manto, per meglio ripararla dall’aria pungente.

— A domani, — le disse, guardandola fissa.

— Sì, a domani, Piotre, — rispose ella.

Ad un grido di papà Pardo i due cavalli partirono, attraversando Porto Carestia e slanciandosi fra le alte erbe della pampa.

— Tutto concluso, signora? — chiese Pardo, quando si trovarono lontani dalle ultime case.

— Sì, — rispose la disgraziata giovane, con voce soffocata.

— Andrà a salvare Alonso?

— Me lo ha giurato.

— Come avete potuto fare a deciderlo, mentre tutti sanno che odia mortalmente il vostro fidanzato?

— Non lo so nemmeno io.

— E quando partiremo?

— Domani, papà Pardo.

— Allora Alonso è salvo! — esclamò il vecchio.

— Sì, salvo, ma io sarò perduta per sempre per lui, — mormorò Mariquita con un sordo singhiozzo.

Poi si calò sul viso la manta per non mostrare a quel bravo e fedele marinaio le lagrime che non riusciva più a frenare.

Il ritorno a Punta Arenas si compì felicemente, malgrado la vicinanza dei patagoni. Suonavano le otto quando Mariquita e papà Pardo entravano nell’abitazione del signor López, il quale li aspettava in preda ad una viva ansietà, assieme a José.

La giovane, entrando, si era sbarazzata della manta, gettandola con moto nervoso su una sedia. Aveva gli occhi rossi di pianto ed era così pallida da temere che da un momento all’altro dovesse svenire. Nondimeno, vedendo il signor López, che amava come fosse veramente suo padre, atteggiò le labbra ad un sorriso, non volendo che potesse nemmeno lontanamente sospettare il terribile sacrificio che aveva compiuto per salvare l’uomo che amava tanto e che ormai poteva considerare come perduto per lei.

— E dunque, Mariquita? — chiese il vecchio, aiutandola a sedere.

— Alonso sarà salvato, — rispose con uno sforzo. — Domani noi partiremo sulla Quiqua di Piotre.

— Ah! Lo sapevo che Piotre non si sarebbe rifiutato e che era generoso! — esclamò il signor López.

— Sì, generoso, — mormorò Mariquita, con un triste sorriso. — Molto generoso, padre mio.

— Brav’uomo, — disse papà Pardo. — No, l’odio non poteva durare a lungo nel suo cuore leale.

— Vieni, figlia mia, — disse il signor López, tutto lieto. — Noi festeggeremo questa sera la nostra prossima partenza per le regioni del sud. Mariquita, tu sarai felice, perchè il tuo fidanzato tornerà vivo, ne sono sicuro.

— Sì, felice, — rispose la giovane, con profonda tristezza e nascondendo gli occhi per non far vedere due lagrime che le scendevano furtive dai begli occhi. — Sì, padre, noi saremo felici. —

CAPITOLO VIII.

Lo Stretto di Magellano.

Come Piotre aveva promesso, la mattina dopo la Quiqua si ancorava dinanzi a Punta Arenas, per imbarcare la giovane, il signor López, e completare l’equipaggio.

Durante la notte aveva disceso il canale, approfittando del vento favorevole e dell’alta marea, e allo spuntare del giorno era entrato nel porto assieme ai suoi sei uomini, scelti fra i più valenti marinai nella minuscola popolazione di Porto Carestia.

Gli abitanti di Punta Arenas, le donne non escluse, si erano radunati all’estremità della gettata per assistere alla partenza di Mariquita e del signor López, che godevano la simpatia e la stima di tutti.

Il governatore, che era stato informato di tutto e che aveva messo i magazzini della colonia a disposizione del vecchio viaggiatore, era accorso anch’egli per salutare Piotre, il quale, ritto sulla prora della sua baleniera, dava gli ultimi ordini ai suoi uomini, con quel tono di comando ruvido che è abituale agli uomini di mare.

Mariquita, a fianco del signor López, ambedue ben coperti di pesanti pelliccie e seguiti da papà Pardo, da José e da quattro robusti giovani che avevano accettato con entusiasmo di far parte dell’audace spedizione, s’avanzavano verso la spiaggia, ricevendo, con un mesto sorriso, gli auguri della popolazione.

La giovane era pallidissima ed appariva assai abbattuta. Doveva aver pianto lungamente durante la notte, che forse doveva essere l’ultima che passava nella sua tiepida casetta.

Nondimeno s’avanzava con una certa fierezza e rispondeva dolcemente ai saluti di quei buoni coloni e di quelle brave donne.

Il vecchio viaggiatore invece pareva che fosse ringiovanito di vent’anni. Camminava dritto come un giovinotto, aveva gli occhi scintillanti di gioia e distribuiva a destra ed a sinistra strette vigorose.

L’ora della partenza era suonata a bordo e Piotre, fatto gettare un pontile mobile sulla spiaggia, aspettava, dando segni d’impazienza.

Quando Mariquita, per la prima, salì sulla Quiqua, l’ex esiliato le strinse la mano, guardandola contemporaneamente ben fissa negli occhi, come se avesse voluto indovinare i pensieri di lei; poi aiutò a salire il signor López, dicendogli con ruvida cortesia:

— Sono contento di vedervi sulla mia barca, signore. —

Poi distolse prontamente gli sguardi dall’una e dall’altro, gettando il comando:

— Levate la gomena! Su il pontile! —

Papà Pardo ed i suoi compagni avevano eseguito prontamente l’ordine e la baleniera, non più trattenuta alla riva, aveva cominciato a scostarsi.

Dalla spiaggia gli abitanti agitavano i berretti, gridando:

— Buon viaggio, signora Mariquita! Buon viaggio, signor López! Che la fortuna vi sia propizia! —

La giovane rispondeva agitando il fazzoletto, mentre il suo padrino si sbracciava salutando tutti.

La Quiqua s’allontanava. Le sue due vele, ricevendo il vento in pieno, la spingevano al largo con notevole velocità, e cozzando gagliardamente piccoli banchi di ghiaccio che le onde avevano staccato dalla Terra del Fuoco, li travolgevano tra mille scricchiolii.

Era una bella barca quella di Piotre, la migliore e anche la più grossa di quante se ne trovavano in tutto lo stretto di Magellano; ed aveva fatto già numerosi viaggi nell’oceano Antartico con una fortuna invidiabile, perchè mai era ritornata con dei guasti, nè mai si era lasciata prendere dai ghiacci.

Si poteva chiamare anzi una vera nave baleniera avendo tutto l’occorrente per la pesca di grossi cetacei, ossia scialuppe adatte, ramponi, lancie, lenze ed essendo anche, per la resistenza, non da meno di quelle ardite veliere.

Malgrado le sue forme tozze e pesanti e la larghezza e rotondità dei suoi fianchi, in meno di mezz’ora si era tanto allontanata dalla spiaggia, da scorgere a malapena le piccole case della cittadella. Solamente il campanile di legno della chiesetta ed il fortino si vedevano ancora nettamente spiccare sul fondo verdastro della collina.

Mariquita pareva che non si fosse nemmeno accorta di quella distanza. Appoggiata al bordo della nave continuava a guardare verso Punta Arenas, tenendo gli occhi fissi sulla sua casetta che, essendo più alta di tutte, si distingueva ancora.

Il signor López le stava a fianco, guardando anch’egli verso la spiaggia che s’abbassava sempre più, scomparendo sotto le onde che correvano ad infrangersi verso le rocce. Anche il vecchio, ora che vedeva sparire la borgata, sembrava un po’ commosso.

— Guardi la nostra casa, è vero, Mariquita? — domandò ad un tratto.

— Sì, — rispose la giovane con un sospiro.

— La rivedremo un giorno e allora non saremo più in due soli ad abitarla; vi sarà con noi anche il tuo Alonso. —

Mariquita si passò una mano sulla fronte, come se avesse voluto cacciare un triste pensiero, e mormorò:

— Sì, saremo in tre.

— Noi lo troveremo quel bravo giovane, ora che Piotre è con noi. Sai che è un bravo marinaio? Era uno dei più valenti ufficiali della flotta argentina e se la politica non l’avesse rovinato mandandolo nella pampa, a quest’ora sarebbe per lo meno capitano di vascello con Alonso. —

Mariquita fece col capo un cenno affermativo, senza però aprire le labbra.

— La stagione è molto avanzata e fuori dal canale troveremo banchi di ghiaccio e anche bufere tremende, tuttavia noi riusciremo a giungere egualmente alle coste meridionali della Terra del Fuoco. La nave è solida, bene equipaggiata e bene provveduta di viveri e Dio ci proteggerà.

Povero Alonso! Quale felicità per lui, quando tu gli dirai: Eccomi, sono venuta a salvarti per non lasciarti mai più. —

Un fremito, che scosse la giovane in tutte le membra, fu la risposta.

Il vecchio se n’era accorto.

— Che cos’hai, Mariquita? — le chiese. — Si direbbe che tu, invece di essere lieta, sei triste.

— Non è nulla, padre mio, — rispose la giovane. — È il freddo che mi penetra nelle ossa.

— Vuoi ritirarti nella tua cabina?

— No, padre.

— Tu hai qualche pensiero che ti turba. Disperi forse della riuscita della nostra spedizione?

— Anzi, spero molto.

— O che giungiamo troppo tardi per salvarlo?

— No, Piotre ci condurrà laggiù a tempo, — rispose Mariquita con voce quasi triste. — È un bravo marinaio.

— Sospiri il momento del tuo incontro con Alonso?

— Oh! Molto, padre mio, molto.

— Tutto andrà bene, Mariquita. Fra un mese e forse anche prima tu lo vedrai.

— Se i ghiacci non ci fermeranno.

— Vi passeremo in mezzo, — disse papà Pardo, che si era avvicinato. Le nostre braccia sono solide e a bordo non mancano nè le seghe da ghiaccio, nè i picconi.

— Tu devi esserti trovato molte volte fra le montagne di ghiaccio, è vero, vecchio mio?

— Sì, signor López, moltissime volte e, come vedete, sono sempre tornato vivo a Punta Arenas. Ho passato anche due inverni sulle isole del continente antartico e sono sempre riuscito a riportare a casa la mia pelle, un po’ guasta forse, ma ancora solida.

— Che la Rosita di Alonso sia stata presa anch’essa dai ghiacci? In questa stagione gli ice-bergs dell’oceano Antartico salgono in gran numero verso l’Atlantico ed il Pacifico.

— Eh, signore, certi inverni ne ho veduti moltissimi nei paraggi del capo Horn e intorno alle coste meridionali della Terra del Fuoco e anche ai due sbocchi del canale di Magellano. Anzi vedrete che ne incontreremo di certo nei pressi del capo di S. Isidoro e che forse metteranno a dura prova l’abilità del signor Piotre. Mi hanno raccontato stamane che una scialuppa ha corso il pericolo di venire bloccata. È segno che quest’anno l’inverno sarà eccezionalmente rigido.

— Che terribile situazione per la Rosita, ammesso che sia arenata su qualche costa!

— Può aver trovato qualche baia, signor López, — disse il vecchio baleniere. — Anche supponendo che sia andata alla deriva verso l’isola degli Stati, su quella terra i buoni porti non mancano e vi si può svernare senza troppi pericoli. Tutto il pericolo sta nella... —

Il signor López gli fece un rapido cenno, avendo compreso che egli stava per alludere alla fame che minacciava l’equipaggio della baleniera, cosa che Mariquita ancora ignorava e che desiderava non conoscesse.

Ma la giovane, immersa nei suoi tristi pensieri, non aveva prestato orecchio alle parole di papà Pardo, nè si era accorta del cenno fatto dal padrino.

— Dicevate, dunque, vecchio mio? — chiese il signor López.

— Oh! Dicevo che anche le navi gettate alla costa, non corrono sempre il pericolo di essere sfasciate dalle onde, se la fortuna le ha spinte entro qualche baia; e possono passare un inverno senza aver paura dei ghiacci, i quali ordinariamente non si accumulano in troppa quantità sulle coste della Terra del Fuoco.

Se la Rosita fosse stata trascinata verso le isole australi, allora la cosa sarebbe ben diversa. Ho svernato due volte laggiù, un anno all’isola del Re Giorgio e un altro a quella degli Elefanti, e vi posso dire qualche cosa sui freddi e sugli spaventevoli uragani che regnano in quelle orribili regioni.

— Ti avevano forse lasciato colà a cacciare le foche?

So che talvolta i balenieri lasciano su quelle isole degli uomini del loro equipaggio, che vanno poi a riprendere l’estate seguente, al cominciare della campagna di pesca.

— Sì, signor López.

— Devi aver sofferto molto?

— Non svernerei più laggiù, nemmeno se mi dessero triplice paga. Eh! Ve lo dicevo io, signor López? Guardate che i ghiacci sono già entrati nello stretto ed in buon numero.

Deve aver soffiato forte vento dal sud-ovest, per averli cacciati fino qui. Bah! la Quiqua è robusta e Piotre è un uomo che li conosce e che non darà mai indietro.

E poi sarà cosa momentanea; quando saremo fuori di qui, il mare sarà, se non del tutto sgombro, almeno in gran parte.

— Quanto credi che impiegheremo a giungere nei paraggi del capo Horn?

— Fra venti giorni noi toccheremo le coste meridionali della Terra del Fuoco, se non accadranno malanni. Voi sapete che l’uomo propone e Dio dispone e non si sa mai, specialmente sul mare, quello che può accadere. Andiamo a vedere se è ingombro il passo angusto di Second-Narrows. Specialmente là la Quiqua dovrà lavorare di sperone. —

Mentre il signor López e papà Pardo si dirigevano verso prora, Mariquita a poco a poco si era scostata dal suo posto per cercare Piotre, che la tolda di poppa gl’impediva di scorgere.

L’ex esiliato stava seduto presso il timone, su una cassa, colla testa appoggiata ad una mano, cupo e silenzioso.

Delle profonde rughe gli solcavano l’ampia fronte e tradivano qualche terribile tempesta che imperversava nel suo cervello e nel suo cuore. Anche il suo volto di quando in quando assumeva un’espressione selvaggia, quasi feroce.

Eppure quell’uomo avrebbe dovuto essere lieto, ora che la fanciulla, che doveva aver amato con vero furore, gli aveva giurato di appartenergli e di dimenticare il fidanzato.

L’equipaggio non s’era fatto nessun caso dell’alterazione del volto del suo comandante. Era già abituato a vederlo sempre cupo e rinchiuso in un silenzio che aveva qualche cosa di feroce.

Ma Mariquita, che da un anno non l’aveva più incontrato, era rimasta profondamente impressionata nel vederlo così, e non aveva saputo frenare un gesto di terrore.

— Quanto è cambiato quell’uomo! — mormorò. — Mi fa paura!... —

Si era fermata a tre passi da lui, senza che Piotre mostrasse di essersi accorto della sua presenza. Nell’alzare però gli occhi per guardare il mare, finalmente la scorse.

Subito le rughe scomparvero, la fronte si spianò, i suoi lineamenti ripresero l’abituale espressione e qualche cosa, che somigliava ad un sorriso, increspò le sue labbra.

— Voi! — disse, alzandosi lentamente, mentre il lampo torvo che illuminava i suoi occhi d’acciaio a poco a poco si spegneva.

Stette un momento immobile, poi, facendo un passo innanzi, riprese con una certa amarezza che suonava come un rimprovero:

— Credevo che voi aveste dimenticato che su questa nave vi era un uomo che un giorno diverrà vostro sposo.

— Perchè dite questo, Piotre? — chiese Mariquita con timidezza.

— Siamo a dieci miglia da Punta Arenas ed è già trascorsa un’ora e non avete ancora trovata una parola per me.

— Perdonatemi, ero presso al mio padrino... mi parlava dei pericoli del viaggio.

— Non è il signor López quello che dovrà essere vostro marito, — interruppe l’ex esiliato brutalmente.

— Piotre...

— Il vento soffia dal sud-ovest, — disse l’ex esiliato, guardando il canale e facendo colla destra un largo cenno. — Troveremo il passo di Narrows molto ingombro, e avremo da lavorare. Avete paura dei ghiacci voi?

— No, Piotre.

— Dovrete abituarvi a vederli senza paura, perchè quando sarete mia non vi lascerò a terra.

— Mi condurrete alla pesca delle balene e delle foche con voi?

— Sì... la terra per voi potrebbe diventare pericolosa.

— Un sospetto ingiusto...

— Eh! Qualcuno potrebbe riaccendere la fiamma, che non sarà mai interamente estinta nel vostro cuore.

— Piotre, vi pentireste di essere partito e d’aver accettata la mia mano?

— Ho l’abitudine di mantenere le mie promesse e di non pentirmi mai delle mie decisioni, — rispose l’ex esiliato. — E poi non siamo ancora giunti alle Isole del capo Horn e di qui ad allora chissà quante cose potrebbero accadere.

— Non comprendo le vostre parole, ma mi pare che nascondano una minaccia tenebrosa.

— Una minaccia? Ed a chi?

— Contro Alonso, contro vostro cugino.

— Ormai non lo temo più, siete mia, me lo avete giurato, e lui non vi strapperà a me, siatene certa. —

Si rivolse bruscamente verso il mare, fissando i ghiacci galleggianti che ondulavano, urtandosi l’un l’altro e che s’accumulavano dentro il canale.

— Ecco le prime avanguardie che precedono gli ice-bergs, — disse. — L’inverno sarà rigido quest’anno e avremo molto da fare per raggiungere le spiaggie meridionali della Terra del Fuoco.

Ma la posta vale la fatica e anche i pericoli che io dovrò affrontare.

Volete scendere nella vostra cabina, Mariquita? Le donne impacciano la manovra.

— Non siete gentile, Piotre, — disse la giovane con ira mal repressa.

— Che cosa volete? Sono diventato un orso di mare, — rispose l’ex esiliato con accento un po’ ironico. — Mi prenderete quale sono, e se potrete, mi cambierete.

Olà! marinai; alle scotte! Il vento cambia ed i ghiacci ci prendono di traverso. —

Stava per volgerle le spalle e dirigersi verso prora, quando Mariquita gli chiuse il passo, dicendogli:

— Volete che torniamo, Piotre?

— E dove, signora? — chiese il lupo di mare, fermandosi.

— A Punta Arenas. —

Egli la guardò fissa: v’era nei suoi occhi un lampo di vago terrore.

— A Punta Arenas! — esclamò con un tono di voce in cui si sentiva una lontana commozione. — A che fare?

— A rigettare l’àncora.

— Vorreste rinunciare alla spedizione?

— Sì e riprendermi la promessa fattavi, — rispose Mariquita con voce risoluta.

— E’ troppo tardi e poi, chi salverebbe Alonso? Mi hanno raccontato tutto e vi assicuro che se noi non andremo in suo soccorso, morrà di stenti sulle desolate spiaggie della Terra del Fuoco.

— Che importa a voi di lui?

— Di lui no, ma di voi molto e non ho alcun desiderio di rompere il vostro giuramento. Quando io mi metto in mare non ritorno più, signora, fino a che non ho raggiunto il mio scopo. Quando la mia missione sarà finita tornerò; prima non lo sperate.

— E se io vi ordinassi di ricondurmi a terra?

— Rifiuterei.

— Se ve ne pregassi? —

L’ex esiliato esitò un momento a rispondere, poi disse con tono reciso:

— No! Ora è troppo tardi e poi si direbbe che io ho avuto paura degli uragani dell’oceano Antartico, mentre Piotre Tanine non li ha mai temuti.

Lasciatemi, Mariquita: ho da guidare la mia nave e mi preme che non venga fracassata, nè che si areni sulle secche di Walker. Più tardi, se vorrete, riprenderemo questo colloquio, quantunque io non veda la necessità di prolungarlo. Avete giurato e tutto deve finire lì! —

E senza aggiungere altro passò oltre, dirigendosi verso prora, per meglio osservare lo stretto passo di Narrows.

Cosa piuttosto insolita e che annunciava un inverno eccezionalmente freddo, quella parte dello Stretto di Magellano, che è la più angusta e anche la più pericolosa, era ingombra di banchi di ghiaccio i quali si erano accumulati in numero straordinario intorno all’isola Elisabetta e sulle scogliere di Santa Marta.

Non erano tali da opporre una seria resistenza alla baleniera di Piotre, nave d’una robustezza eccezionale e fornita anche d’un solido sperone. Il pericolo, se ve n’era uno, doveva trovarsi più innanzi, all’uscita del canale o nei profondi golfi di Possession e di Lomas, dove degli ice-bergs potevano essere già entrati, ostruendone i passaggi.

— Che cosa ne dite, signor Piotre? — chiese il vecchio viaggiatore, vedendo il baleniere guardare attentamente verso l’est ed aggrottare più volte la fronte.

— Che noi passeremo, signor López, — rispose questi, con voce secca.

— E se più innanzi trovassimo i passi chiusi?

— Li riapriremo.

— Siete ben sicuro della vostra nave?

— La vedrete alla prova. —

Diede ai suoi uomini alcuni comandi, poi tornò verso poppa con passo lento e pesante, senza guardare in viso nessuno e andò a mettersi accanto al timoniere, tenendo gli occhi fissi sulla bussola.

Le due rive del canale si restringevano sempre più e andavano anche gradatamente abbassandosi. Erano sempre fiancheggiate da isolotti intorno ai quali si erano fermati dei grossi banchi di ghiaccio; tuttavia conservavano una vegetazione rigogliosa che i primi freddi non erano ancora riusciti a spogliare. Qua e là si vedevano sempre superbe macchie di faggi antartici, di drimys winteri somiglianti all’alloro, con grandi foglie d’un grigio argenteo e la cui corteccia ha qualità aromatiche ed antiscorbutiche, poi macchie di conifere rosse e d’arbusti di metrosideros dalle foglie punteggiate e coperte ancora di fiori bianchi che producevano un bell’effetto sul verde.

Numerosissimi uccelli passavano continuamente attraverso lo stretto, fermandosi ora sulle scogliere a guardar passare la nave o calando in mezzo ai banchi di ghiaccio che se ne andavano lentamente alla deriva, e non erano tutti uccelli veramente acquatici.

Infatti fra le bande degli alcatraces e dei micropterus volanti ossia non ancora abbastanza ingrassati per non potersi più servire delle loro brevi ali, si vedevano grandi masse di uccelli lasciare le rive della Terra del Fuoco per passare su quelle più promettenti del continente americano.

Erano per lo più dei bei verdoni, dei pappagalli fuegiani dalle penne variopinte, dei rallus porporini dai colori vivissimi e con una placca sulla fronte che sembra una turchese, oche australi assai grasse e stornelli militari dal petto rosso.

Alcuni calavano sui pennoni della Quiqua senza dimostrare alcun timore per la vicinanza degli uomini; i più scendevano fra le scogliere a cercare fra le alghe, che sono abbondantissime nello stretto di Magellano, i piccoli crostacei sebastes dalle scagliette fiammeggianti.

La Quiqua, abilmente guidata da Piotre, aveva già cominciato ad aprirsi il passo fra quei lastroni di ghiaccio che ingombravano il Second Narrows e non opponevano troppa resistenza alla salda prora della baleniera. Non erano che frammenti staccati dagli ice-bergs e che i venti dell’est avevano cacciati nello stretto, dove non dovevano tardare a sciogliersi.

La nave s’avanzava nondimeno con prudenza, per non urtare contro qualche scogliera nascosta sotto quei ghiacci.

Piotre non ignorava la presenza della scogliera di Walker, una delle più pericolose del canale, che era stata già funesta a molte navi, non escluse quelle dello scopritore portoghese, perciò s’avanzava adagio, tenendo chiusa buona parte della velatura.

— Audace, ma anche prudente, — disse papà Pardo al signor López, il quale osservava Piotre. — Con quest’uomo noi andremo ben lontano.

— Lo credo anch’io, — rispose il vecchio esploratore. — E poi tutti parlano con entusiasmo della perizia di questo baleniere. Guarda come manovra tranquillo e con quanta sicurezza; eppure stiamo attraversando la parte più difficile del canale.

— È vero, signor López. Questo stretto, specialmente d’inverno, offre gravi pericoli per le navi che non lo conoscono. Fortunatamente per noi regna calma sulle montagne della Terra del Fuoco e la Quiqua non verrà presa di traverso dai williwaws.

Se riusciamo a passare anche i banchi di Tribune e di Triton, non avremo più nulla da temere; al di là il canale si allarga. Eh! L’ho detto troppo presto.

— Che cos’hai, papà Pardo?

— Mi pare che i ghiacci abbiano chiuso il passo verso il Capo Negro. Anche il signor Piotre se n’è accorto e la sua fronte si è oscurata.

Comincia male la spedizione. Finirà almeno bene?... —

CAPITOLO IX.

In mezzo ai ghiacci.

La scoperta dello stretto di Magellano rimonta, come è noto, al 1520.

Buona parte dell’America del Sud e anche del Nord era stata già non solo scoperta, ma anche conquistata dagli arditi avventurieri spagnuoli, tuttavia si ignorava che esistesse una comunicazione fra l’oceano Atlantico ed il Pacifico. Cosa singolare, gli spagnuoli, gli inglesi, i francesi e gli italiani, invece di cercare quel passaggio verso il mare del sud, si erano sempre ostinati a cercarlo al nord, dove si diceva esistesse un canale chiamato d’Anian che serviva di passaggio a navigli dai pennoni d’oro e dalle prore d’argento.

La supposizione che potesse esistere anche al sud dell’America, un canale che permettesse di passare dall’Atlantico al Pacifico, la fece pel primo Ferdinando Magellano, avventuriere portoghese, il cui genio non era stato giustamente apprezzato dalla sua patria.

Questo audace marinaio dopo aver passata la sua gioventù a guerreggiare nelle Indie Orientali ed in Malesia, concepì il disegno di andare a esplorare i mari del Sud e di spingersi sempre verso occidente per tornare in Europa dalla parte opposta. Progetto grandioso e arditissimo, specialmente in quell’epoca in cui ancora si dubitava se il globo fosse veramente rotondo e si ignorava ancora più dove si spingessero le onde del Pacifico e quali terre bagnasse.

Gettata l’idea, Magellano cercò tosto di metterla in esecuzione. Disgustato di non trovare appoggi nel Portogallo, rinnegò la patria, che non comprendeva la grandezza del suo disegno e andò ad offrire i suoi servigi a Carlo V il quale gli affidò cinque piccole caravelle: la Trinità, il San Giacomo, il Sant’Antonio, la Concezione e la Vittoria, dopo d’avergli fatto fare il giuramento di fedeltà nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria.

Fino dal principio la spedizione minacciò di finire male, in causa de’ sospetti della popolazione di Siviglia, che non aveva creduto alla sincerità del suo giuramento e che aveva scambiato gli stemmi della sua famiglia per quelli del Portogallo.

Una sommossa popolare minacciò di bruciare i suoi legni prima che scendessero il Guadalquivir, e Magellano si vide costretto a difenderli a colpi di spada.

Un altro si sarebbe certamente scoraggiato; invece il futuro grande navigatore, fermo nella sua idea, fidente nel suo genio, non abbandonò l’impresa e prese il mare, quantunque sapesse ormai di condurre con sè degli equipaggi di fedeltà molto dubbia, che lo consideravano sempre come uno straniero pronto a tradirli per fare gl’interessi della sua patria.

Favorito dai venti, si spinge risolutamente verso il sud. Si fornisce di viveri alle Canarie, raggiunge le coste del Brasile, che esplora per lungo tratto e, piegando verso l’ovest sotto il 49°-50° di latitudine australe, va a gettar l’àncora in una profonda baia per svernare, e là dopo due mesi vede i primi patagoni, che in quell’epoca dovevano avere delle stature superiori alle attuali, perchè i più alti uomini della flotta non giungevano che alla cintola di quei giganti.

In quella baia, il grande navigatore per un pelo non perdette la vita, in causa d’un complotto ordito dai capitani delle navi. Scopertolo a tempo, il fiero marinaio ne fece squartare uno, pugnalare un’altro, ed abbandonare un terzo assieme ad un prete suo complice, sulla terra dei patagoni.

Il 21 ottobre, dopo uno svernamento di cinque mesi, Magellano che intuiva d’essere in vicinanza del passaggio, giunge dinanzi ad uno stretto che chiamò poi delle Undicimila Vergini e che è il principio del canale che deve unire le acque dell’oceano Pacifico e dell’Atlantico.

Vi si addentra arditamente, malgrado i pericoli che offre quello stretto ed i colpi di vento che scendono dalle alte e nevose montagne della Terra del Fuoco, e manda innanzi ad esplorarlo il Sant’Antonio e la Concezione.

Una terribile tempesta sorprende le caravelle mettendole in grave pericolo per trentasei ore; la perizia ed il sangue freddo del valente capitano le salva. Passando di baia in baia, di canale in canale, le quattro navi s’avvicinano all’oceano Pacifico e durante una notte oscura il Sant’Antonio, che era comandato dal pilota Gómez, nemico accerrimo del Portogallo, abbandona la flotta e fugge per recare primo in Spagna la notizia della grande scoperta e farsene un vanto. Supponendolo naufragato, dopo lunghe ricerche infruttuose, Magellano raggiunse l’estremità dello stretto ed il 27 Novembre del 1520 le sue tre navi, essendosi la S. Giacomo fracassata sulle coste della Patagonia, solcano le acque dell’oceano Pacifico.

Il grande navigatore non doveva però, rivedere la Spagna, nè tutte tre le navi superstiti tornare in Europa.

In un conflitto avuto cogl’indigeni di Sandwich veniva barbaramente trucidato con un colpo di lancia e una sola caravella riusciva a compiere il giro del mondo, la S. Maria, condotta da Cano e montata dallo istoriografo italiano Pigafetta.

La grande scoperta non ebbe un effetto immediato, anzi ci vollero ben tre anni prima che la Spagna pensasse ad occuparsene e con poca fortuna. Infatti mandatevi sette navi al comando di García de Loaysa, venivano assalite da una così furiosa tempesta che tre sole riuscivano a salvarsi, raggiungendo due i porti del Messico e l’ultima le Filippine.

Solo molto più tardi furono stabilite delle colonie per assicurare alla Spagna il possesso dello stretto, reputato di sì grande importanza e che poi fu a poco a poco abbandonato in causa delle difficoltà che vi incontravano le navi, le quali anche oggidì preferiscono allungare il viaggio e passare al sud del capo Horn.

· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

La Quiqua cominciava a provare per tempo i pericoli che offre lo stretto magellanico durante la stagione invernale.

Aveva appena superate con fortuna le scogliere di Santa Marta, quando si trovò improvvisamente dinanzi ad un enorme banco di ghiaccio che s’avanzava fra il Capo Negro e le secche di Triton e di Tribune, ingombrando quasi tutto il canale.

La marea che montava, lo spingeva innanzi con una notevole velocità, facendolo lentamente girare su sè stesso e accostandolo talvolta ora verso l’una ed ora verso l’altra riva dello stretto. La sua massa poi era tale da costituire un gravissimo pericolo, anche per la salda prora della Quiqua.

Piotre, appena accortosi della presenza di quell’ostacolo, aveva abbandonato la barra del timone spingendosi fino al barile che è sulla crocetta dell’albero maestro e serve d’osservatorio ai balenieri per meglio spiare le mosse dei grandi cetacei, allorquando stanno per tornare a galla.

Quando, dopo alcuni minuti d’osservazione, discese, sembrava assai preoccupato.

Il signor López lo raggiunse nel momento in cui stava per tornare verso poppa a riprendere la barra del timone.

— Potremo passare, senza compromettere la vostra nave? — gli chiese.

Piotre lo guardò per qualche istante in silenzio, tenendo le braccia incrociate, poi disse con voce lenta e con un certo orgoglio:

— Vi è del pericolo, però la mia Quiqua è solida e la guido io, signore.

— Abbiamo i banchi del Triton e della Tribune a tribordo. Se il ghiaccio vi urta manderà la baleniera in secco.

— Vi è un passaggio ch’io conosco, signor López. Ma non ci lasceremo toccare.

— Che cosa ne dite di questa avanzata di ghiacci dentro il canale?

— Che all’uscita incontreremo delle vere barriere, signore.

— Indicano un inverno rigidissimo.

— Lo credo.

— Che ne sarà d’Alonso? Che freddo che regnerà al sud! —

Piotre aggrottò la fronte e alzò invisibilmente le spalle, senza pronunciare parola.

Lasciò un’altra volta la barra e si diresse verso prora, guardando attentamente il banco dall’alto del castello.

Quel masso era veramente gigantesco, perchè doveva avere un mezzo miglio e anche più di superficie ed un’altezza di una quindicina di metri. S’avanzava attraverso lo stretto, spingendo innanzi a sè una quantità enorme di ghiacciuoli i quali ne raddoppiavano il volume.

Era l’avanguardia dei colossali ice-bergs antartici, che durante l’inverno si ammassano talvolta in numero strabocchevole presso l’entrata dello stretto e lungo la Terra del Fuoco, rendendo la navigazione pericolosissima, anche per le navi che fanno il giro del capo Horn. Piotre lo supponeva.

Spinto dal vento, che faceva presa sui margini frastagliati, e anche dalle onde che venivano dall’oceano, il banco correva con notevole velocità, cappeggiando pesantemente e crepitando.

I suoi bordi massicci sfracellavano i ghiacciuoli, con un baccano assordante, sminuzzandoli, polverizzandoli, aprendosi così il passo fra quella moltitudine d’ostacoli.

Essendo in quel luogo il canale assai stretto e non avendo quel banco una direzione costante, la Quiqua poteva venire spinta verso la costa e fracassata.

L’ex ufficiale era però troppo valente marinaio per non evitare quel primo pericolo. Con alcuni comandi brevi e recisi fece contrabbracciare le vele a tribordo, poi, collocatosi al timone, diresse la sua baleniera verso il capo Negro, in modo da passare fra il ghiaccione e la costa, prima che il passo potesse venire chiuso.

Sotto la sua mano di ferro, la baleniera sembrava che fosse diventata maneggiabile come un piccolo canotto.

Un leggiero colpo di barra, e subito deviava rimettendosi subito al vento.

Freddo, tranquillo, impassibile, Piotre manovrava come mai nessun altro uomo di mare avrebbe potuto fare. Nessuna cosa sfuggiva ai suoi sguardi d’aquila.

Quando una vela accennava a sbattere perdendo il filo del vento, con un cenno l’additava ai suoi uomini, lanciando poscia un comando gutturale; quando dovevano allentare o stringere una scotta, con un grido indicava la manovra. Se il banco di ghiaccio minacciava di urtare la sua nave, con un rapidissimo colpo di timone lo evitava.

Aveva gli occhi dappertutto, sulla velatura e sul mare; sulla montagna di ghiaccio, sulle due coste e sui bassi fondi.

— Che marinaio! — disse papà Pardo al signor López, il quale contemplava non senza un po’ d’apprensione l’enorme ghiaccio che pareva volesse precipitarsi sulla nave e ridurla in bricciole. — Vi assicuro che con tale uomo noi andremo molto al sud.

— Sì, è un bravo comandante, — rispose il padrino di Mariquita. — Robustezza di mano, colpo d’occhio e sangue freddo. Vale Alonso.

— Se non di più, — disse papà Pardo. — Tutti coloro che hanno navigato con Piotre hanno raccontato meraviglie della sua audacia e della sua valentìa.

Eh! se avesse veramente voluto, non so se la Rosita sarebbe andata fino sulle coste della Terra del Fuoco e se Alonso sarebbe ancora vivo.

Si capisce che voleva solamente spaventarlo o minacciarlo.

— Che storia è questa, Pardo?

— Non sapete che Piotre due o tre volte ha tentato di abbordare e di tagliare in due la nave del suo rivale?

— Sì, me lo hanno raccontato e perciò io sono assai sorpreso che Piotre, dopo d’aver tentato di sopprimere il suo rivale, abbia ora accettato di andare a salvarlo.

— Non avrà saputo resistere alle preghiere di vostra figlia. Piotre è un orso, un semi selvaggio, di temperamento cupo e taciturno, eppure in fondo non deve essere cattivo.

E poi mi hanno detto che prima di ricevere quel rifiuto di Mariquita, non era così.

— Lo so, — rispose il signor López. — Egli era il più brillante ed il più baldo ufficiale della flotta argentina e anche il più ammirato dalle belle di Buenos Aires. Peccato che sia diventato ora così ruvido e così cupo.

Forse rimpiange quei tempi lontani.

— È stata Mariquita, signor López.

— Credi che l’ami ancora?

— Sempre.

— Ciò m’inquieta assai.

— E perchè signor López?

— Ho paura che egli si sia arreso alle preghiere di Mariquita con uno scopo segreto.

— Quale?

— Di approfittare di qualche fortunata occasione per far sparire il suo rivale, prima che torni a Punta Arenas.

— Questo sospetto è nato anche nel mio cuore, signor López, — disse il vecchio baleniere. — Ci saremo anche noi quando ritroveremo il signor Alonso, supposto che sia ancora vivo e non lo lasceremo un solo istante.

Se Piotre vorrà tentare qualche tradimento, troverà sulla sua strada anche me e giuro che il mio coltello non rimarrà inoperoso nella sua guaina.

— Ha i suoi marinai che gli sono devoti e che saranno sempre pronti a difenderlo.

— E noi abbiamo i nostri che sono devoti a voi ed a Mariquita.

— Non azzardiamo giudizi prima del tempo, papà Pardo. E poi credo che Piotre sia leale.

— Lo vedremo, signore. Ecco il momento terribile. Se Piotre se la caverà, sarà bravo davvero: siamo presi come fra due morse. —

La Quiqua, evitate le secche del Triton e della Tribune, si era cacciata arditamente fra il banco di ghiaccio e la Terra del Fuoco, dentro una specie di canale che in certi luoghi misurava una larghezza di appena venti metri.

Piotre pareva che avesse concentrata tutta la sua anima nella ribolla del timone. Guai se avesse esitato un solo momento!

Il banco, che continuava la sua marcia irregolare, poteva schiacciare la baleniera contro la costa, che in quel luogo era fronteggiata da miriadi di scoglietti aguzzi e resistenti ad ogni urto.

A bordo regnava una viva trepidazione: soltanto gli uomini di Piotre conservavano una impassibilità assoluta, tanta era la fiducia che avevano quei vecchi balenieri nel loro comandante che da quattro anni li guidava fra i ghiacci dell’oceano Antartico. Mariquita a poco a poco si era accostata all’ex ufficiale, guardandolo fisso, mentre invece pareva che quegli non si fosse nemmeno accorto della fanciulla. Cogli occhi socchiusi, la fronte un po’ aggrottata, il corpo poderoso curvo innanzi, le potenti braccia tese sulla ribolla, e le labbra semi-aperte, pronte a lanciare un comando, guidava impavido la sua nave.

Con una rapida bordata evitò le secche nel momento in cui il banco di ghiaccio stava per toccarle e chiudere il passo, poi deviando bruscamente verso la costa della Terra del Fuoco, filò rapidissimo lungo il canale, passando, con un’ultima e più ammirabile manovra, l’ostacolo.

Al di là non vi erano che frantumi di ghiaccio e lo stretto si allargava assai.

Ad una grande distanza invece, verso l’uscita delle due profonde baie di Possession e di Lomas e verso il capo Dungeness, si vedevano scintillare altri ghiacci di dimensioni enormi, dei veri ice-bergs, ossia delle montagne galleggianti.

Piotre, terminata quell’audace manovra, aveva ripreso il suo posto sulla cassa di poppa, lasciando che la Quiqua s’avanzasse lentamente verso il capo S. Isidoro.

Non aveva scambiata una parola con nessuno; pure i suoi sguardi si erano subito fissati su Mariquita, la quale ora passeggiava fra l’albero di trinchetto e quello maestro, chiacchierando con papà Pardo.

La seguiva attentamente in tutte le sue mosse, corrugando di quando in quando la fronte, come se un grave pensiero lo tormentasse e facendo talora come un gesto di stizza. Ogni tanto s’alzava per dare uno sguardo al canale; ma poi riprendeva subito il suo posto tornando a guardare la giovane araucana con maggior intensità.

Ogni volta che vedeva Mariquita accostarsi verso la poppa, un rapido fremito passava sul suo viso abbronzato ed un lampo strano accendeva i suoi sguardi, un lampo che non aveva nulla nè di feroce nè di selvaggio. Ed allora un profondo sospiro, appena frenato, gli sfuggiva dalle labbra.

Mariquita pareva che non facesse attenzione all’uomo di mare e continuava a passeggiare a fianco di papà Pardo, soffermandosi di quando in quando ad ammirare le orribili coste della Terra del Fuoco che s’ergevano ad altezze spaventose, senza una pianta che ne rallegrasse la vista, oppure i fulminei volteggi degli uccelli marini od i ghiaccioli che continuavano ad inoltrarsi, attraverso il canale, con mille scricchiolìi.

Ogni volta che era costretta a voltarsi, non poteva tuttavia fare a meno di gettare uno sguardo furtivo sul baleniere, di cui sentiva gli occhi entrarle fino in fondo al cuore, come fossero punte di stiletto.

A mezzogiorno la Quiqua, che era passata dalla riva opposta, molto meno pericolosa, si fermava al di là del capo San Isidoro per lasciar passare un’altro banco di ghiaccio che si era cacciato nel canale e che non si poteva affrontare senza correre il pericolo di venire bloccati o malamente urtati.

Il tempo che fino dal mattino si era mostrato minaccioso, cominciava ora a guastarsi e non era prudente continuare il viaggio colle furiose raffiche che cominciavano a soffiare dalle nevose vette della Terra del Fuoco. Per di più il vento tendeva a girare al sud-est, ed il canale non permetteva ancora di poter fare delle bordate.

Piotre, dopo d’aver fatto sondare il fondo e gettare le àncore, per resistere alle onde ed ai venti, fece suonare la campana del pasto, invitando il signor López e Mariquita a scendere nel piccolo quadro di poppa; ma non li seguì e si scusò dicendo di aver troppe preoccupazioni e di non poter lasciare la tolda mentre la nave poteva correre qualche pericolo.

Era forse un pretesto, perchè in quella piccola baia la baleniera poteva attendere tranquilla che anche quel ghiaccione passasse e che le raffiche cessassero.

La costa che si stendeva a cinquanta o sessanta metri dal veliero, formava in quel luogo un semi-cerchio, ben riparato dai williwaws da alte scogliere che ne fermavano, almeno in parte, la foga. Era una terra bassa, tutta cosparsa di metrosideros, piante marine che pendono dalle rocce come le rhizophore dei tropici, di muschi grondanti d’umidità e di bolax glebaria, stravaganti vegetali che formano delle masse emisferiche, compatte e durissime, color verde giallastro, con rami e foglie contorte, e che trasudano una specie di gomma aromatica.

Non pareva popolata che di volatili i quali vi erano radunati in così enormi quantità da oscurare talvolta la luce solare, quando i loro stormi s’alzavano.

Ve n’erano di tutte le specie e pareva che vivessero in buona armonia.

Tutte le rupi erano coperte di micropterus che cicalavano a piena gola, pettegolando come vecchie comari, allineati come tanti soldati; sopra di essi volteggiavano senza posa immense schiere di avoltoi dalla testa scarlatta; di cheucau, volatili che somigliano agli uccelli lira, ma colla coda corta e le zampe grossissime e che lanciavano senza posa i loro guid-guid monotoni; dei chloephage antartici che somigliano alle oche, con forme più eleganti, il becco cortissimo e le penne nero-scure, e di urile le quali strette su tre file, in ranghi serrati, lanciavano grida rauche e scordate da lacerare gli orecchi.

Quanti ve n’erano? Certamente dei milioni e milioni che vivevano del tutto indisturbati, quantunque molti di loro avrebbero potuto fornire carni eccellenti e piume non meno apprezzate di quelle dei volatili nordici.

— Che spettacolo! — esclamò il signor López, il quale, appena terminato il pranzo era risalito in coperta assieme a Mariquita. — Non ne ho mai veduti tanti agglomerati in così breve spazio.

— Ed io ne ho veduti anche di più, — disse papà Pardo che gli si era accostato. — Le isole australi ne sono così piene che si può camminare sopra i volatili senza nemmeno riuscire ad aprirsi il passo.

— Quante ricchezze perdute!

— La maggior parte di quegli uccelli ha la carne pessima, signor López, che puzza orribilmente di rancido e di pesce. Ve ne sono di quelli che meritano lo spiedo, questo è vero, come le oche, che sono anzi squisitissime.

— Io parlo delle loro penne, vecchio Pardo, — rispose il signor López. — Non sai che i popoli dell’Artico Boreale guadagnano dei bei milioni con la caccia dei loro uccelli marini, che sono poco dissimili da questi?

— Dei milioni! Eh via, signor López! — disse il baleniere.

— Si arricchiscono più cacciando i volatili che le balene.

— Ecco una cosa che duro fatica a credere; ma se fosse vera, bisogna dire che i nostri compatriotti non sanno di avere a portata di mano delle ricchezze che potrebbero raccogliere con poca fatica, giacchè questi volatili si lasciano uccidere colla miglior buona grazia del mondo, senza quasi protestare.

— E invece essi li trascurano. Se gl’isolani dell’Europa settentrionale venissero qui, che stragi immense farebbero e quali ricchezze raccoglierebbero!

Per dartene un’idea, ti basti sapere che nelle sole isole Faroe, quegli abitanti non uccidono mai meno di trentamila gabbiani e ottantamila ottarie ogni anno.

— Per le penne?

— Sì, caro Pardo.

— E che cosa ne fanno?

— Le mandano in Inghilterra ed in Francia per adornarne i cappelli delle signore.

— Ah! Non ne aveva idea!

— Anche in altre regioni fanno delle ecatombi mostruose, ricavandone somme ingenti. In Siberia per esempio, nel solo distretto di Obdorsk, non si ricavano meno di settemila chilogrammi di penne all’anno.

I massacri maggiori si fanno sempre nelle Faroe, anzi si può dire che vi siano occupati quasi tutti gli abitanti, e nota che quelle isole sono così dirupate da rendere le caccie estremamente difficili. E ogni anno un gran numero di cacciatori vi lasciano la vita, fracassandosi nelle gole e precipitando sulle rocce marine.

— Non li cacciano coi fucili dunque?

— No, Pardo, vanno a sorprenderli nei loro nidi e per far ciò sono costretti a calarsi nei precipizi e giù dalle rupi per mezzo di corde, o tentare delle scalate che nè io, nè tu oseremmo fare, anche avendo quarant’anni di meno.

— Sicchè ne ammazzano molti, — disse il baleniere.

— Tanti che si dovette fare una legge per mettere un freno alla temerità di quegli isolani, considerando i morti in tali caccie come suicidi volontarii, e quindi negando loro la sepoltura in terra santa.

— Qui non vi sarebbe bisogno di rischiare la pelle per prenderne a migliaia e migliaia con un semplice bastone. To! che è che li spaventa? —

Tutti quei milioni di volatili, come se avessero ricevuto un comando, si erano alzati formando una nuvolaglia così compatta da intercettare quasi completamente la luce ed ottenebrare improvvisamente la baia. I micropteri invece, che non potevano volare, si erano precipitati nel canale a battaglioni, nuotando con tale rapidità coi loro piedi palmati da sconvolgere l’acqua e da raggiungere la riva opposta in soli pochi minuti.

— Che vi siano dei patagoni in questi dintorni? — chiese Mariquita.

— Non vi pare di udire delle grida lontane, signor López? — chiese il baleniere.

— Sì, vecchio Pardo.

— Forse gl’indigeni cacciano. Purchè non lascino la selvaggina per prendersela con noi! È bensì vero che non hanno canotti come i peruviani, pure siamo tanto vicini da poter ricevere qualche bolas.

— Ed il canale è stato ora ingombrato da un altro ghiaccione, — disse José, accostandosi. — Per il momento siamo bloccati. —

Allarmato dall’improvvisa fuga dei volatili, anche Piotre aveva lasciato la poppa, dove stava osservando delle carte del canale, e si era accostato al gruppo, fermandosi dietro Mariquita.

Le grida udite poco prima da papà Pardo diventavano sempre più distinte. Coloro che le mandavano non si potevano ancora scorgere, perchè al di là delle rocce che limitavano la spiaggia si estendeva una foresta formata da quelle strane piante erbacee chiamate panque, le cui foglie sono così gigantesche da avere una circonferenza di ben otto metri e talvolta anche di più.

Oltre quelle grida, si udivano di quando in quando dei nitriti ed il galoppo pesante di numerosi cavalli.

— Sono patagoni a caccia, — disse Piotre volgendosi verso il signor López che lo interrogava collo sguardo.

— Non se la prenderanno con noi dopo? — domandò papà Pardo. — Non sarebbe la prima nave che assalirebbero.

— Abbiamo armi a sufficienza per calmarli, — rispose il baleniere, alzando le spalle.

In quel momento fra le roccie si videro sbucare sette od otto animali, i quali attraversarono la spiaggia con rapidità fulminea, balzando come se fossero di gomma.

Era una piccola banda di guanachi, bestie agilissime che rassomigliano un po’ agli asini, quantunque siano più piccoli e abbiano il collo più lungo, la testa assai piccola e le gambe secche e sottili come quelle dei cervi. Ed è una selvaggina che abbonda in tutte le pianure della Patagonia e che è assai ricercata per la squisitezza delle sue carni.

La truppa stava già per scomparire, quando si videro delle palle legate da corde attraversare lo spazio e piombare in mezzo ai fuggiaschi con sibili acuti.

Tre guanachi scartarono bruscamente mandando dei bramiti dolorosi, poi stramazzarono al suolo agitando disperatamente le gambe che parevano fossero state legate.

— Hanno lanciato le yachiko, — disse il signor López. — Che colpo d’occhio hanno i cacciatori patagoni!... —

Le yachiko sono le bolas da caccia degli abitanti delle terre magellaniche, i quali anche oggidì le preferiscono ai fucili.

Consistono in tre palle di pietra o di metallo, legate insieme da correggie di pelle intrecciate, che i patagoni lanciano con inarrivabile destrezza e che vengono esclusivamente usate per la caccia dei guanachi.

Di rado uccidono; si avvolgono invece così bene intorno alle gambe della selvaggina da arrestarla di colpo e farla cadere tramortita.

I guanachi erano appena caduti, quando si videro comparire i cacciatori.

Erano una quindicina di patagoni, di statura gigantesca, montati su alti cavalli della pampa, d’aspetto fiero ed imponente, coi volti dipinti bizzarramente, parte in rosso e parte in nero, con qualche striscia bianca intorno agli occhi e le braccia tatuate in azzurro.

Vedendo la baleniera avevano fermato quasi di colpo i loro cavalli, facendoli piegare fino a terra con una strappata poderosa ed istintivamente avevano staccata dalla sella la bola da guerra, quella grossa pietra terminante a punta, sospesa ad una funicella, di cui si servono per fracassare il cranio ai nemici.

Sembravano uomini d’un’altra età, tanto erano giganteschi. Alcuni misuravano perfino due metri d’altezza e sembravano ancora più alti, poichè avendo quei selvaggi il corpo assai lungo in proporzione alle gambe, veduti a cavallo appariscono veramente dei colossi. E poi che spalle, che sviluppo di torace e che testa massiccia, resa ancora più mostruosa dai lunghi e folti capelli sciolti sulle spalle!

Anche gli ampii mantelli di pelle di guanaco, tinti internamente di rosso e col pelo all’infuori, concorrevano ad ingrossarli smisuratamente.

— Sono spaventevoli, specialmente con quelle pitture, — disse Mariquita.

— E non è da stupirsi se i primi navigatori che giunsero qui ne rimasero atterriti, — aggiunse il signor López.

— E dire che dall’altra parte del canale, sulla Terra del Fuoco, gli uomini invece sono così piccoli, — disse papà Pardo. — Qui due metri o poco meno e laggiù appena un metro e mezzo, quando ci arrivano.

La cosa è molto strana, signor López, ne dovete... —

La voce di Piotre gl’interruppe la frase.

— Aprite l’armeria, — aveva gridato il baleniere. — Quegli uomini non sono soli. —

CAPITOLO X.

L’assalto dei patagoni.

Dalla parte della foresta s’avanzavano altri cavalieri, i quali dovevano formare il grosso della tribù. Erano una quarantina, tutti di statura altissima, armati di lance, di fucili, di bolas e quello che più inquietava dipinti di bianco fino al collo e fino ai polsi, mentre le dita invece erano nere. Era la pittura di guerra e Piotre l’aveva subito riconosciuta al pari del signor López, il quale era vissuto a lungo fra quei bellicosi selvaggi.

Non erano tutti guerrieri. Fra loro si vedevano anche alcune donne, pezzi di granatiere di forme sviluppatissime, alte quasi quanto gli uomini, colla pelle un po’ più chiara ed i capelli lunghissimi e grossolani raccolti in treccie e adorni di perle azzurre e di ciondoli d’argento. Cavalcavano arditamente, spingendo i cavalli a galoppo sfrenato attraverso le rocce e le bolax, facendo sventolare i loro manti di pelle di guanaco trattenuti al collo da grossi spilloni d’argento in forma di disco, e le fascie bianche, le kotchi, che portavano attorno al capo.

Al pari degli uomini avevano le gambe chiuse dentro botas de potro di pelle di guanaco col pelo al di fuori, che davano ai loro piedi delle forme mostruose; ma invece di avere il corpo nudo sotto il mantello, indossavano dei camici di cotone che scendevano loro fino sotto le ginocchia.

— Che cosa vengono a fare qui tutti questi selvaggi? — chiese papà Pardo, un po’ inquieto. — Si prendano i loro guanachi e se ne vadano al loro accampamento. —

Pareva invece che i patagoni la pensassero diversamente. Si erano raggruppati sulla spiaggia, proprio di fronte alla baleniera e discutevano animatamente, indicandosi l’un l’altro la nave, con certi gesti non troppo rassicuranti e mostrandosi i banchi di ghiaccio che continuavano ad inoltrarsi lentamente nel canale, impedendo, almeno pel momento, la navigazione.

Una parola specialmente veniva da tutti ripetuta con una certa insistenza: gilwum.

— Sapete che cosa significa? — domandò il signor López, volgendosi verso Piotre.

— No, — rispose il baleniere. — Non conosco la lingua dei patagoni.

Gilwum vuol dire fucili.

— E che cosa volete concludere?

— Che non vedendoci in mano delle armi da fuoco, crederanno forse che noi non ne possediamo e questo potrebbe spingerli a tentare qualche cosa contro di noi.

— S’ingannano: la mia armeria è ben fornita di carabine e anche di trabucos, — rispose il baleniere. — Leveremo presto loro la voglia di darci delle noie.

— Mostrate dunque loro che noi siamo bene armati, — disse il signor López. — Quegli uomini non hanno buone intenzioni, ve lo dico io. Guardate, preparano le bole perdide e spingono i loro cavalli in acqua per accostarsi a buona portata.

— Facciano pure, — disse Piotre, facendo ai suoi marinai un cenno.

I patagoni avevano terminato di discutere e si erano disposti su due file, mettendo in prima linea quei pochi che possedevano dei fucili, armi antichissime che dovevano produrre più baccano che danno, poi avevano cominciato a scendere la spiaggia, tastando colle lancie la profondità dell’acqua.

Le donne invece s’erano affrettate a ritirarsi, nascondendosi dietro le masse erbose delle bolax e facendo coricare i loro cavalli.

— Che tentino un assalto? — chiese papà Pardo, mettendosi rapidamente dinanzi a Mariquita, per ripararla dalle bolas.

Il signor López era salito sulla murata, gridando verso il capo della banda, riconoscibile pel diadema di penne che gli ornava la testa:

Votrei!1

Il patagone, che era già entrato in acqua, aizzando il cavallo coi talloni, si era fermato, guardando con un certo stupore il vecchio avventuriere, che parlava la sua lingua.

Quella sorpresa durò appena pochi secondi. Il gigante, invece di rispondere aveva staccato rapidamente la bola perdida, forse con l’intenzione di fracassare il cranio a colui che lo chiamava «caro amico»; ma non osò alzarla.

Gli uomini di Piotre erano saliti allora in coperta, portando parecchie carabine e dei tromboni che distribuirono agli altri marinai.

Vedendo quelle armi, il capo aveva fatto un improvviso voltafaccia, riguadagnando prontamente la riva.

— Ve lo dicevo io? — disse il signor López. — Ora che ci vedono armati sono diventati prudenti.

Le armi da fuoco non garbano a quei giganti. —

I patagoni ad un cenno del loro capo avevano rotte le loro file, riappendendo le bolas alle selle, ed avevano risalita la spiaggia facendo mostra della massima tranquillità.

Andarono a raccogliere i tre guanachi, poi raggiunsero le loro donne e scomparvero lentamente in mezzo ai boschi, senza nemmeno voltarsi.

— I trabucos li hanno fermati, senza sparare un granello di polvere, — disse papà Pardo. — Non c’è però da fidarsi di quella gente e non sarei sorpreso se li vedessimo ritornare in maggior numero.

Che cosa ne dite, signor López?

— Che sono capaci di darci dei seri grattacapi, vecchio mio. Sono coraggiosi quei giganti e non amano affatto gli uomini di razza bianca, siano essi cileni o argentini.

— Potremo almeno andarcene da qui? — chiese Mariquita, guardando Piotre.

Il baleniere che stava appoggiato alla murata, tenendo gli sguardi fissi sul canale, dove sfilavano in quel momento altri banchi di ghiaccio, alzò il capo, dicendo con voce brusca:

— No, señorita.

— Avete paura di quei ghiacci? — insistè la giovane con una leggiera punta d’ironia che non sfuggì a Piotre.

— Io! — esclamò questi. — Mi vedrete più tardi, quando dovremo aprirci il passo fra gli ice-bergs che chiudono la baia di Possession.

Piotre e la sua Quiqua non hanno mai tremato, señorita. —

Il baleniere aveva pronunciato quelle parole con accento quasi sdegnoso, senza guardarla in viso.

— Allora perchè indugiate? —

Il baleniere alzò la destra indicando le montagne della Terra del Fuoco che scomparivano rapidamente in mezzo ad una fitta nebbia biancastra.

— È di là che viene il pericolo, — disse, — e non ho alcun desiderio, per farvi piacere, di fracassare la mia nave che amo più di tutti.

— Anche di... — fece Mariquita, impallidendo.

Il baleniere gli aveva troncata la frase con un rapido gesto che aveva qualche cosa di minaccioso, poi, curvandosi verso di lei, le disse con voce sorda:

— Non siete ancora mia, señorita, e la mia missione non è ancora compiuta. —

Poi si allontanò, con quel passo pesante che è abituale agli uomini di mare, riprendendo il suo posto sulla cassa, che si trovava accanto al timone, dietro l’abitacolo.

Il baleniere non s’ingannava. Il pericolo non proveniva dai ghiacci, che la salda prora della Quiqua poteva benissimo infrangere, non avendo la consistenza di quelli che si erano avanzati prima, bensì dalla nebbia che scendeva sul canale con rapidità straordinaria, cacciata innanzi dalle furiose folate dei williwaws.

Già i monti della Terra del Fuoco erano scomparsi e quelle masse di vapori turbinavano ora sopra il capo di San Isidoro, e s’avanzavano sempre.

Fra qualche ora il canale doveva diventare assolutamente impraticabile, in causa delle immense scogliere e dei banchi che nessun sguardo di marinaio avrebbe potuto più distinguere.

— Siamo presi, — disse papà Pardo, che se n’era accorto. — Saremo costretti a passare la notte all’ancoraggio, ballando disperatamente.

Fra poco le acque si alzeranno, e guai a noi se le catene non terranno fermo. —

Il vento cominciava ad ingolfarsi anche dentro la baia, travolgendo nella sua foga irresistibile miriadi di uccelli marini, i quali trovandosi impotenti a lottare con tanta furia, venivano malamente sbattuti contro le spiaggie e addosso alle piante.

Erano raffiche tremende che si seguivano le une alle altre, ad intervalli di pochi minuti, cacciandosi innanzi la nebbia che turbinava in tutti i sensi. Talvolta si faceva un po’ di calma; ma subito dopo le urla ed i ruggiti ricominciavano con maggior forza e la bufera di vento si scatenava con violenza raddoppiata.

Le acque dello stretto, poche ore prima così calme, erano diventate burrascose, e grosse ondate irrompevano nella baia, infrangendosi poi con mille fragori contro le spiaggie e contro la Quiqua, la quale subiva dei trabalzi disordinati.

Piotre, temendo che la baleniera potesse venire spinta addosso alla costa, aveva fatto gettare una terza àncora, quella di speranza, che era la più grossa, e chiudere tutte le vele perchè l’alberatura non offrisse presa al vento. Conosceva troppo bene la violenza dei williwaws per lasciarsi cogliere impreparato.

Eppure non erano quei colpi di vento che lo preocupavano e nemmeno la nebbia, bensì la vicinanza della spiaggia che sapeva infestata dai patagoni. Ed infatti teneva gli sguardi ostinatamente fissi sulla spiaggia, come se da quella parte presentisse qualche grave pericolo.

Quasi tutti avevano sgombrata la coperta, rifugiandosi nel quadro e nella camera di prora. Rimanevano soltanto gli uomini di guardia e lui, il quale sfidava impavido le trombe d’acqua che il vento scagliava sul ponte, senza nemmeno prendersi la briga di evitarle.

Aveva abbandonato il suo posto e camminava, con passo regolare, fra i due alberi, colla pipa semi-spenta fra le labbra, e le mani incrocicchiate sul poderoso petto, insensibile alle raffiche ed al freddo che tutto d’un tratto era diventato intenso.

Nemmeno le violentissime scosse che subiva la baleniera, sotto gli assalti quasi improvvisi dell’onde, lo scotevano o lo squilibravano. Pareva che i suoi piedi si radicassero, per modo di dire, nel legno della tolda.

La notte era calata, una notte oscurissima, che la nebbia ormai foltissima rendeva doppiamente cupa, e Piotre non aveva ancora interrotta la sua passeggiata.

Non era nemmeno disceso nel quadro all’ora della cena, contentandosi di sgretolare un paio di biscotti e di inaffiarli con un buon bicchiere di vecchio vino di Spagna.

Papà Pardo era salito tre volte in coperta, invitandolo a prendere un po’ di riposo; Piotre aveva risposto con un semplice scrollare del capo ed una breve frase:

— Il marinaio all’ora del pericolo deve vegliare. —

Dovevano essere le dieci, quando interruppe bruscamente la sua passeggiata accostandosi verso poppa, dove vegliava uno dei suoi marinai a cui era toccato il primo quarto di guardia.

Fra lo scrosciare delle onde ed i sibili del vento, gli pareva di aver udito dei nitriti di cavalli.

Guardò attentamente verso la riva, senza poter nulla scorgere in causa del nebbione che era sempre foltissimo.

— Hai notato qualcosa di insolito, Pedro? — chiese al marinaio.

— No, padrone, — rispose questi. — Le àncore tengono fermo e la baleniera non si è mossa.

— Non parlo delle àncore, — disse Piotre. — Non hai udito dei nitriti verso la riva?

— Credo che i patagoni non avranno lasciate le loro toldos per venire a vedere le onde rompersi contro la spiaggia, padrone.

— E cos’è questo sibilo? L’odi tu? —

Qualche proiettile doveva essere passato in aria. Si era udito in quel momento un zuffolìo strano che si era subito spento pochi passi più innanzi.

— Una bola, padrone? — chiese il marinaio inquieto.

Perdida, — aggiunse Piotre. — Sospettavo questo improvviso ritorno dei patagoni.

Il mio istinto non m’ingannava. Va a svegliare i nostri uomini e bada alla tua testa, se non vuoi che venga schiacciata come una nocciuola. —

Si era curvato sulla murata, ascoltando attentamente, senza pensare che una palla di pietra o di ferro poteva colpire anche lui. Alcuni nitriti giunsero fino ai suoi orecchi, confusi fra il fragore della risacca ed i sibili del vento.

Stava per ritrarsi, quando vide una forma umana accostarglisi. La riconobbe subito e trasalì.

— Mariquita! — esclamò, tentando di dare alla sua voce un accento duro. — Che cosa fate qui, señorita? Vi preme forse morire per evitare di mantenere il giuramento?

— Piotre! — rispose la giovane. — Perchè mi dite questo?

— Vi sono i Patagoni sulla spiaggia.

— E così?

— E si preparano ad assalire la mia nave.

— Voi non siete uomo da temerli.

— Io no... ma il vostro posto non è qui.

— Perchè non devo affrontare anch’io il pericolo? Devo bene abituarmi, se dovrò un giorno seguirvi nell’oceano Antartico, — disse Mariquita, con una certa amarezza.

— Vi ripeto che il vostro posto non è qui, — ripetè Piotre, con maggior durezza. — Mi preme conservarvi viva.

— Voi dunque supporreste?...

— Non suppongo nulla; pensavo solamente che certe volte la morte si preferisce, piuttosto che diventare la donna d’un uomo che non si ama.

— Ah! Piotre! Voi credete sempre che io vi odii a tale punto? —

Il baleniere, invece di rispondere l’aveva costretta ad abbassarsi dietro la murata. Nell’istesso momento un proiettile, una bola perdida od un yachiko aveva toccato la cima della boma della randa, mandando la punta in scheggie.

— Nella vostra cabina! — gridò Piotre.

— No, — rispose Mariquita con voce risoluta.

— Qui si sfida la morte!

— L’affronterò al vostro fianco.

— Guardate! —

Con un moto rapido il baleniere aveva afferrato una scure che si trovava appesa sulla murata e d’un balzo si era slanciato sul bastingaggio, aggrappandosi alla catena dell’àncora poppiera.

Una forma gigantesca era improvvisamente comparsa, tenendosi ritta sulla catena che doveva avergli servito per issarsi fino al timone. Aveva già appoggiata una mano sul coronamento di poppa e si preparava a saltare sulla tolda.

Piotre alzò la scure e la lasciò cadere con forza irresistibile. In mezzo al nebbione echeggiò un urlo rauco, poi si udì un tonfo.

Il patagone era caduto col capo spaccato fino al mento da quel colpo tremendo.

Quasi nell’istesso momento urla furiose echeggiarono sulla spiaggia, ben distinte anche fra le ondate della risacca, poi un uragano di proiettili passò sulla nave, colpendo l’alberatura ed il sartiame e spezzando parecchie corde. Erano grosse bole perdide di pietra o di metallo bianco, pesanti parecchi chilogrammi, chumè a due palle unite da una coreggia e che si adoperano per la caccia degli struzzi ñandú, e yachiko, a tre, che s’attortigliavano intorno alle manovre e che poi cadevano sulla tolda a rischio di fracassare la testa a qualche marinaio. Piotre si era gettato su Mariquita, che si era rannicchiata dietro la murata, facendole scudo col proprio corpo, quindi l’aveva sollevata come se fosse una piuma, portandola dietro l’abitacolo.

L’equipaggio era già salito in coperta armato di carabine e di trabucos caricati con chiodi e pallottoni.

— Siamo assaliti? — chiese il signor López, accostandosi a Piotre, il quale stava armando una grossa carabina a due canne.

— Sì, — rispose il baleniere, — e pare anche che l’assalto diventi grave. Temo che vi siano parecchie centinaia di patagoni raccolti sulla spiaggia.

— Potremo resistere?

— Questi indigeni non hanno scialuppe e sono poco amanti dell’acqua, voi lo sapete meglio di me.

— Non siamo che a trenta metri dalla spiaggia e l’acqua non è forse profonda.

— Vedremo, — rispose Piotre. — Pensate a Mariquita, voi; una bola può colpirla e quelle dei patagoni pesano! —

Le palle continuavano a grandinare sulla nave, rimbalzando un po’ dappertutto.

Fortunatamente la nebbia non permetteva agli assalitori di distinguere i marinai, sicchè lanciavano i loro proiettili a casaccio. Piotre fece schierare i suoi uomini dietro la murata di poppa e lanciare verso la spiaggia una bordata di chiodi e di pallottoni, servendosi dei tromboni.

Quella scarica, forse più rumorosa che pericolosa, fu accolta da urla acutissime dagli assalitori, ma non arrestò affatto la pioggia delle bolas.

— È un attacco furioso, — disse papà Pardo, scaricando nuovamente il suo trabuco. — Che cosa sperano quegli imbecilli? Di demolire la nave a colpi di pietra? Ci vuole ben altro per la Quiqua!

Signor López, badate di non esporvi troppo e tenetevi dietro la murata.

— Conosco troppo bene le bolas per diventarne bersaglio, — rispose il vecchio esploratore, il quale sparava di quando in quando un colpo di carabina, passando poi l’arma scarica a Mariquita che gli stava accanto, inginocchiata dietro l’abitacolo.

— Indovinate almeno il motivo di questo attacco improvviso? Non abbiamo fatto nulla a quei selvaggi.

— È la smania del saccheggio che li spinge, mio caro. Forse sospettano che noi abbiamo a bordo dei liquori per ubbriacarsi e credono che la nostra nave sia arenata. E poi sai che odiano tutti gli uomini di razza bianca e che dove possono sorprenderli si fanno un vanto di massacrarli.

— Mi pare che si avanzino, signor López. Vedo dei cavalli in acqua!

— Cercheranno di portarsi a buon tiro.

— Ah! Per mille diavoli! Che cos’è questo? Del fuoco! —

Una palla, che fiammeggiava vivamente, era partita dalla spiaggia ed era caduta sulla tolda, seguita subito da altre tre o quattro.

Il signor López era diventato pallido.

— Le bolas ardenti! — aveva esclamato. — Se non prendiamo il largo, daranno fuoco alla nave! —

I patagoni, vedendo che sprecavano inutilmente i loro proiettili, ricevendo invece in cambio palle coniche e uragani di chiodi che si cacciavano nella loro pelle, avevano cambiato tattica.

Avevano spalmate le loro bolas colla gomma delle bolax glebaria mescolata probabilmente a della resina, poi le avevano accese e spinti i cavalli in acqua per abbreviare la distanza, cominciavano a tempestare la nave, tentando d’incendiaria.

Il signor López si era slanciato verso Piotre, dicendogli:

— Fate salpare le àncore senza perdere tempo o la Quiqua prenderà fuoco; i vostri fucili sono insufficienti a respingere questo attacco.

— Soffia sempre il vento, — rispose il baleniere, già assai preoccupato della brutta piega che prendevano le cose.

— Non vi è da esitare, Piotre. Meglio arenarsi, in questo momento, sulle coste della Terra del Fuoco, che perire fra le fiamme. Guardate! Le tavole cominciano a fumare ed i cavalieri si accostano sfidando le onde.

— Tenete testa all’assalto per cinque minuti coi nostri uomini. Se la mia Quiqua si perderà, non sarà stata colpa mia e spero che non si dirà che io l’ho mandata a fracassarsi, piuttosto di mantenere la mia promessa.

— Nessuno oserà dirlo. —

Il baleniere gli porse la sua carabina, poi con voce tuonante comandò:

— All’argano i miei uomini! Si salpino le àncore e si spieghi la gran gabbia! Fuoco, gli altri! — Poi si avvicinò a Mariquita che stava ricaricando i fucili di papà Pardo e di José, dicendole:

— Una parola.

— Parlate, Piotre.

— Se la mia nave questa notte dovesse perdersi, manterrete il vostro giuramento? Se rifiutate, io non mi muoverò di qui, dovessimo perire tutti fra le fiamme.

— Che cosa volete tentare?

— Riguadagnare lo stretto, ma là vi sono le onde, le scogliere e le raffiche. Pensateci!

— Mariquita non tradirà la promessa fatta, — rispose la giovane, con voce che non tremava.

— Mi basta. —

Mentre i suoi marinai salpavano precipitosamente le àncore fra il continuo grandinare delle bolas fiammeggianti e quelli del signor López alternavano colpi di trombone e di carabina contro i cavalieri che si dibattevano fra le onde, Piotre si spinse verso prora cercando di discernere l’uscita della baia.

— Là, — disse. — Dio sarà con noi. —

Due uomini, lasciati i fucili, avevano messo in opera la pompa per spegnere le bolas fiammeggianti, che minacciavano di incendiare la tolda e che continuavano a cadere come se i patagoni ne avessero una riserva inesauribile.

L’attacco rallentava sotto le vigorose ed incessanti scariche dei tromboni, i cui proiettili, se non uccidevano, producevano tuttavia delle ferite dolorosissime che strappavano agli assalitori urla di dolore. Anche i cavalli, respinti dalle onde, cominciavano a fuggire disordinatamente verso la spiaggia, non ostante i colpi di tallone dei cavalieri.

Era il momento propizio per abbandonare quel luogo, prima che i patagoni si riorganizzassero per ritentare un nuovo assalto.

La gran gabbia e la randa erano state spiegate, con tre doppi di terzaruoli ed i fiocchi issati. I marinai con uno sforzo supremo, strapparono dal fondo l’ultima àncora e si precipitarono alle scotte ed ai bracci di manovra.

Il vento era non troppo propizio per lasciare la baia e per di più soffiava sempre irregolarmente, a raffiche poderose, le quali potevano spingere bruscamente la baleniera fuori di rotta e gettarla contro i banchi di sabbia e le scogliere.

— Due uomini a prora collo scandaglio, — gridò Piotre, mettendosi alla barra del timone. — Attenzione al rompersi della risacca! Ed ora, alla volontà di Dio! —

Note

↑ Caro amico.

CAPITOLO XI.

Sull’Atlantico.

Era una terribile partita quella che stava per impegnare l’audace baleniere, perchè lo stretto di Magellano è uno dei più difficili e anche dei più pericolosi a percorrersi, quando i williwaws soffiano dalle gole della Terra del Fuoco e quando la nebbia impedisce di scorgere le innumerevoli scogliere che lo ingombrano e che hanno già fracassate, dal giorno della scoperta di quel passo fino ad oggi, un numero infinito di navi.

Lo stretto di Torres che separa l’Australia dalla Papuasia, che gode una così trista fama fra le genti di mare, nel confronto è meno temibile. Ed infatti, se è disseminato di banchi e di scogli coralliferi che ogni anno aumentano per l’incessante lavorìo delle madrepore, almeno non è spazzato da venti furiosi.

Giacomo Bove, il compianto esploratore e navigatore italiano, che ha visitato e rilevati i passi più difficili dello Stretto magellanico per conto del governo argentino, ha provato l’impeto di quelle raffiche terribili e, non ostante la sua perizia e valentìa marinaresca, ha dovuto lasciare la sua goletta sventrata su quelle rocce formidabili.

La Quiqua nondimeno s’avanzava senza esitare, guidata dal ferreo braccio del baleniere. Dopo d’aver fatta una breve bordata per evitare dei banchi che già Piotre aveva rilevati al mattino, prima che calasse la nebbia, si era diretta lentamente verso il canale dove si udivano le onde rompersi contro le rive con cupi muggiti, che l’oscurità della notte rendeva più paurosi.

Nessuno sapeva se vi erano ancora banchi di ghiaccio che potessero impedire la marcia. Piotre del resto era risoluto a speronarli ed aprirsi il passaggio a viva forza.

Tutti gli uomini s’erano disposti ai bracci delle manovre e alle scotte della randa, pronti ad obbedire al primo comando del baleniere. In alto, sul castello di prora, sondavano l’acqua e ascoltavano attentamente il rompersi delle onde.

Mariquita, avvolta in un pesante mantello di vigogna, col cappuccio calato sulla fronte, si era collocata a poppa a breve distanza da Piotre, assieme a papà Pardo ed al signor López.

Quantunque in quel momento si decidesse non solo la sorte della Quiqua, bensì anche quella di Alonso, l’uomo che sempre tanto adorava, si mostrava tranquilla. Forse aveva una fiducia illimitata nella valentìa del baleniere, che suo malgrado era costretta ad ammirare.

In mezzo ai fischi ed ai ruggiti dei williwaws si udivano ancora le urla formidabili dei patagoni e qualche bola fiammeggiante solcava il nebbione, con sibili acuti, spegnendosi in mare; nondimeno ormai quei pericolosi e giganteschi avversari, non erano più da temere.

Era bensì vero che potevano radunarsi alle due estremità delle penisolette che formavano la baia e salutare la nave con un secondo bombardamento, tuttavia nessuno più se ne preoccupava.

In quel momento i veri nemici erano i colpi di vento e le scogliere dello stretto.

— Se potremo imboccare il canale, Piotre sarà bravo, — disse il signor López a papà Pardo. — Nessun capitano avrebbe osato lasciare l’ancoraggio con un tempo simile e sopratutto con questa nebbia che non permette di discernere nemmeno le rive.

Che cosa ne dici, vecchio mio?

— Dico che ho conosciuto tanti marinai nella mia vita; e mai uno più abile e più audace di questo, signor López, — rispose il pescatore. —Il signor Alonso non potrebbe eguagliarlo, quantunque anche lui sia tenuto in conto come uno dei migliori balenieri.

— Tu dunque credi che noi riusciremo a raggiungere l’oceano Atlantico?

— Non ne dubito, signore, quantunque abbiamo ancora da attraversare la barriera di ghiaccio che abbiamo osservato stamane.

Anche lì avremo un osso duro da rodere, ve lo dico io, tuttavia il signor Piotre se la caverà con onore e con fortuna.

Canario! Che buio! Io non vedo più nulla nè a babordo, nè a tribordo. Come fa a dirigersi il signor Piotre? Che abbia gli occhi dei gatti? È un uomo straordinario, davvero!

— Quanto entusiasmo per lui, papà Pardo, — disse Mariquita, un po’ ironicamente.

— Che cosa volete, lo ammiro da vecchio marinaio, — rispose il pescatore. — Non ve ne avrete a male.

— Oh no, Pardo. Che sia valente ed audace, lo vedo anch’io.

— Facciamo attenzione! Dobbiamo essere vicini al canale. —

La Quiqua s’avanzava penosamente, sollevata dalle onde e sbattuta da quei soffi formidabili che ululavano e fischiavano fra il sartiame, facendo incurvare non solo i pennoni, ma anche gli alberi. Pareva che in certi momenti dovessero spazzare di un solo colpo la coperta e portarsi via ad un tempo uomini ed alberatura.

La violenza dei cavalloni intanto aumentava. Arrivavano uno dopo l’altro, con muggiti assordanti, salendo fino sul castello di prora della baleniera che inondavano, minacciando di travolgere i due marinai che scandagliavano senza posa la profondità delle acque.

A destra ed a manca si udivano rompersi contro le rive e contro le scogliere, con detonazioni così violenti che talvolta non si potevano udire più i comandi di Piotre.

La nebbia, lacerata dai williwaws, turbinava sopra la nave e in qualche momento l’avvolgeva in modo tale, che gli uomini di poppa non riuscivano più a scorgere quelli di prora.

In mezzo a quei vapori venivano pure travolti gran numero di uccelli marini che cercavano di fuggire sulla terra magellanica. Passavano a ondate, mandando grida rauche di terrore e non pochi, urtando contro l’alberatura che non riuscivano ad evitare, cadevano sulla tolda morti o feriti.

Ad un tratto fra quei fragori e quei ruggiti assordanti, la voce di Piotre si fece udire.

— Pronti a virare! Entriamo nello stretto! Attenti alla risacca, gli uomini di prora! Bordate! —

La Quiqua, obbedendo all’azione del timone e delle vele, aveva piegato bruscamente verso tribordo. Aveva lasciata la baia ed entrava nuovamente nello stretto, fuggendo verso l’est.

Le acque, rinchiuse fra le alte sponde della Patagonia e della Terra del Fuoco e sollevate dai williwaws, erano agitatissime.

I cavalloni, non trovando sfogo e non riuscendo ad aprirsi un passaggio, si ritorcevano e, cozzando contro quelli che stavano per giungere, alzavano tali ondate che certe volte tutta la coperta della baleniera ne veniva spazzata.

Pezzi di ghiaccio si frantumavano contro i bordi, scagliando i loro frammenti perfino addosso agli uomini, i quali faticavano assai ad evitarli.

— Nella vostra cabina, señorita! — gridò Piotre, che si era accorto del pericolo. — Le onde spazzeranno la coperta.

— No, — rispose Mariquita che si teneva aggrappata alla pompa.

— Volete essere portata via? Questo non è il posto delle donne, — riprese Piotre con stizza.

— Pretendo di valere quanto uno dei vostri marinai.

— Tanto peggio per voi se vi accadrà una disgrazia, — disse il baleniere, con voce quasi brutale.

Tuttavia non gli rincresceva di vederla sfidare le onde. Se ella ammirava Piotre, questi si mostrava fiero della donna che un giorno avrebbe dovuto seguirlo nell’oceano Antartico, alla pesca dei giganti del mare.

La guardava spesso, stupito di vederla così tranquilla, fra quell’orribile rimescolìo delle onde ed in fondo al cuore sentiva ridestarsi per quella fanciulla, più forte e più ardente che mai, la passione che aveva distrutto un giorno la sua felicità.

Non dimenticava però la sua nave e la guidava sempre con impareggiabile abilità, cercando di tenerla nel mezzo del canale, temendo sempre di sentirsela sfasciare sotto i piedi. Le sue braccia poderose non cedevano ai sussulti ed alle scosse della barra ed aveva gli occhi dappertutto, ai suoi uomini, alle vele, alle due rive. Sapeva di giuocare una carta pericolosissima e la giuocava con calma, con sangue freddo, risoluto e anche fidente di guadagnare la partita.

La rotta era terribile, perchè le raffiche tendevano sempre a sospingere la baleniera contro la costa patagone e le onde la scuotevano disordinatamente, assalendola da tutte le parti con furia incredibile.

Pareva che ad ogni istante la chiglia dovesse toccare su qualche fondo o sventrarsi su qualche scogliera. Tutti erano diventati pallidissimi, perfino il vecchio Pardo, e una profonda angoscia stringeva tutti i cuori. Tutti, no, quello di Piotre era sempre tranquillo e non tremava ancora.

Per tre ore la Quiqua continuò la sua corsa, lottando gagliardamente e anche vittoriosamente contro i venti e le onde, poi una calma improvvisa successe. I cavalloni erano diventati più larghi e meno impetuosi e le raffiche erano bruscamente cessate. Anche i muggiti e gli scrosci non si udivano quasi più, come se non esistessero più sponde nè scogliere.

— Dove siamo noi? — chiese il signor López. — Che cosa è avvenuto?

— Giù le àncore! — gridò in quel momento Piotre. — Aspetteremo qui l’alba. —

Quindi, ceduta la barra ad un timoniere, s’avvicinò al signor López e a Mariquita.

— Potete ritirarvi nelle vostre cabine; ormai non corriamo, almeno per questa notte, più alcun pericolo. La terribile prova è finita.

— Siamo già usciti dallo stretto?

— Siamo nel golfo di Possession, signore, e qui i williwaws non sono più da temersi e nemmeno i Patagoni.

— Ci fermeremo qui fino a domani?

— Vi devono essere dei ghiacci all’uscita del golfo, — rispose Piotre, — e non oso affrontarli con questa oscurità. A mezzodì, se tutto andrà bene, noi navigheremo nell’Atlantico. Buona notte. —

E se ne andò, senza nemmeno aver guardato Mariquita, la quale durante quelle poche parole aveva voltato il capo verso prora, fingendo di seguire le manovre dei marinai.

Durante la notte una certa calma regnò a bordo della Quiqua, permettendo a tutti di prendere un po’ di riposo.

Essendo il golfo di Possession, al pari di quello vicino di Lomas, assai ampio, le onde avevano maggiore sfogo, quindi non scrollavano più furiosamente la baleniera, che si era solidamente ancorata su un buon fondo. All’alba, anche la nebbia si era in parte dissipata, sotto i vigorosi soffi dei williwaws, permettendo di abbracciare un bel tratto d’orizzonte.

Come già Piotre aveva previsto, l’ultimo tratto dello Stretto di Magellano era ingombro di ghiacci, spinti dentro i due golfi dai venti dell’est che dovevano avere soffiato insistentemente nei giorni precedenti. Ed era un caso veramente eccezionale, perchè di rado gli ice-bergs s’inoltrano al di là del Capo delle Undicimila Vergini, quantunque le correnti del sud li spingano talvolta fino oltre il 55° parallelo, mentre nell’Oceano Artico si fermano ordinariamente al 50°.

Il signor López, che era salito in coperta prima ancorachè il sole sorgesse, come era sua abitudine, si era accostato al baleniere, il quale dal castello di prora osservava attentamente i ghiacci, cercando un passaggio per la sua nave.

— Un inverno rigidissimo, è vero, Piotre? — gli chiese.

— Sì, signor López, — rispose il baleniere, — un inverno pessimo, che impedirà alle navi di servirsi dello stretto.

— Potremo noi uscire?

— Non sono uomo da ritornare sui miei passi.

— Salperemo?

— Subito.

— E se quegli ice-bergs si saldano?

— Troveremo da qualche parte un canale, — rispose Piotre. — Laggiù scorgo un passo.

— E nell’Atlantico troveremo ancora ostacoli?

— Vi è del largo nell’oceano, signor López, e manovreremo liberamente.

— Sperate di giungere presto sulle coste meridionali della Terra del Fuoco?

— Sì, se gli uragani non ci piombano addosso, — rispose Piotre, mentre la sua fronte si rannuvolava.

— Che cosa ne pensate di vostro cugino? Che si sia arenato o che sia naufragato?

— Io non ero con lui, — rispose seccamente il baleniere.

— E dove supponete che sia andato a finire?

— In qualche luogo di certo.

— Voi che conoscete le correnti dei mari del sud, potreste dire qualche cosa.

— Portano al nord, ecco tutto.

— Più verso la terra degli Stati o verso la Terra del Fuoco? — insistette il signor López.

— Ciò dipende dai venti.

— Ad ogni modo, noi lo troveremo, è vero?

— Sì, se Dio ci aiuta. Salpate le àncore e spiegate le vele! —

I suoi uomini, che aspettavano gli ordini, si erano precipitati all’argano, spingendo vigorosamente le aspe.

Piotre, lasciato il signor López, era salito lentamente sulla botte dell’albero maestro, portando con sè un cannocchiale ed aveva scrutato attentamente l’orizzonte per parecchi minuti.

Quando discese pareva tranquillo e sicuro del fatto suo.

— Alla larga! — aveva comandato, dirigendosi verso poppa.

La Quiqua si era rimessa alla vela, navigando lentamente attraverso la vasta baia racchiusa da un lato alle basse terre della Patagonia e dall’altro dalle aspre e selvaggie montagne della Terra del Fuoco, le cui vette pareva che dovessero toccare il cielo.

Le onde trastullavano un numero infinito di frammenti di ghiaccio staccatisi dai colossi antartici; ma non erano tali da arrestare la marcia alla baleniera.

Però di miglio in miglio che la nave guadagnava, aumentavano di numero e anche di spessore. All’uscita del golfo si vedevano delle vere montagne natanti, capricciosamente frastagliate, che le onde spingevano a poco a poco verso lo stretto e che si spostavano incessantemente, urtandosi con tale violenza, da produrre delle detonazioni paragonabili allo scoppio simultaneo di una mezza dozzina di grossi pezzi d’artiglieria.

— Che lo sbocco dello stretto sia ormai ostruito? — disse papà Pardo al signor López. — In questa stagione io non ho mai veduto una così enorme massa di ghiacci radunarsi in questo golfo.

I pericoli cominciano troppo presto per noi.

— Saremo costretti a far ritorno a Punta Arenas? — chiese il vecchio esploratore con inquietudine. — In tal caso per Alonso la sarebbe finita.

— No, signore, — disse una voce dietro di lui. — Io non ho l’abitudine di tornare indietro. —

Era Piotre, il quale aveva abbandonato il suo posto, accostandosi lentamente a Mariquita che era salita in quel momento in coperta, accompagnata da José.

— Sperate sempre di uscire nell’oceano, signor Piotre? — chiese il vecchio.

— Noi lasceremo lo stretto, siatene certo.

— Eppure tutto l’orizzonte è ingombro di ice-bergs.

— Vi dico che la mia Quiqua passerà, — rispose Piotre, con voce tranquilla.

— Non si fracasserà? — chiese la giovane araucana.

— La mia non è quella di Alonso, — rispose il baleniere, con accento un po’ beffardo e senza guardarla.

— Non fate troppo a fidanza colla robustezza del vostro legno, signor Piotre, — disse papà Pardo. — Ho veduto delle navi quattro volte più grosse della vostra venire schiacciate come fossero delle nocciole.

— Ma non vi ero io a bordo, — rispose Piotre, con orgoglio.

— L’uomo, per quanto audace ed esperto, si trova talora impotente contro quei colossi. —

Il baleniere alzò le spalle senza rispondere.

Levò da una tasca un cannocchiale, lo puntò verso l’uscita del golfo e osservò a lungo, senza che un muscolo del suo volto tradisse la menoma apprensione.

— Sì, — disse poi, abbassando l’istrumento. — Hanno chiuso lo sbocco di Possession, ma ho veduto un canale e noi ci cacceremo dentro quello.

— E se si chiudesse? — chiese il signor López. — Pensateci, signor Piotre, perchè quei ghiacci si spostano continuamente e qualcuno è anche caduto.

— E siete responsabile della vita di noi tutti, — disse Mariquita, con una certa ironia. Piotre impallidì leggermente.

— Non avreste fiducia in me? — chiese.

— Anzi ne ho molta, Piotre, — rispose Mariquita, un po’ pentita d’aver ferito l’orgoglio del marinaio. — Volevo dirvi di non commettere imprudenze e di non compromettere per noi la vostra nave.

— Sì, perchè io sarei capace di lasciarla fracassare per non condurvi al capo Horn. È questo il vostro pensiero, è vero signora?

— No, Piotre, un simile sospetto non mi è mai venuto in mente. Sarebbe troppo offensivo per un antico ufficiale della flotta argentina, — rispose la giovane con voce più raddolcita. — Vi ho sempre creduto leale e vi credo ancora tale. —

Piotre respirò a lungo e la sua fronte, che si era abbuiata, si rasserenò.

— Vi credo, — disse. — Perdonatemi, Mariquita, ma che cosa volete? Talvolta divento ingiusto e fors’anche cattivo e senza volerlo.

Non temete, noi passeremo attraverso i ghiacci anche per provarvi che io non ho che un solo desiderio; quello di compiere, per quanto lo consentano le mie forze, la missione che ho assunta e salvare Alonso.

— Siate prudente.

— Lo sarò, Mariquita, e non giuocherò la partita se non quando avrò la certezza di vincerla.

Il canale che ho scorto mi è sembrato abbastanza largo per farvi passare la mia nave, e se dovesse rinchiudersi, sapremo tornare indietro a tempo.

D’altra parte quelle montagne non si sono ancora saldate e possono, coi loro movimenti, aprire altri canali.

A posto di manovra i miei uomini e si preparino i buttafuori! —

Guardò ancora una volta i ghiacci, tracciando già col pensiero la rotta che doveva tenere, poi andò a collocarsi alla barra del timone, volendo guidare di suo proprio pugno la Quiqua.

I primi ghiacci cominciavano già ad irrompere nel golfo, minacciando di urtare la baleniera di Piotre. Erano grossi banchi, non troppo solidi avendo dovuto subire le strette delle gigantesche montagne natanti, le quali avevano prodotto delle larghe fenditure; pure potevano causare qualche malanno al veliero.

Qualche foca se ne stava tranquillamente sdraiata sull’orlo dei crepacci, pronta a scomparire al menomo indizio di pericolo.

La Quiqua, guidata da Piotre, manovrava con un’abilità che faceva stupire il vecchio López e anche papà Pardo.

Scivolava fra ghiaccione e ghiaccione senza mai lasciarsi accostare nè prendere in mezzo; guizzava fra i canali e canaletti, cambiando ad ogni istante rotta e talvolta, quando la via sembrava chiudersi, s’avventava contro quegli ostacoli sfondandoli colla larga e solida prora e schiacciandoli sotto la carena.

Piotre, sempre calmo, impassibile, come un uomo sicuro di sè, non staccava mai lo sguardo dalla massa degli ice-bergs che si spostavano sempre, urtandosi rumorosamente e frantumandosi i fianchi con urti poderosi. Solamente di quando in quando si voltava per dare una rapida occhiata a Mariquita che, senza volerlo, ammirava l’audacia e la calma straordinaria di quell’uomo.

Poi i suoi occhi acuti tornavano a fissarsi sui ghiacci e precisamente là dove si delineava vagamente un canale.

La flottiglia mostruosa s’avvicinava sempre, spinta dalle onde e da qualche corrente che veniva dal largo. Pareva che fosse ansiosa di misurarsi con quella povera baleniera che faceva una così misera figura di fronte alle loro masse gigantesche.

Faceva paura a tutti, fuorchè a Piotre, il quale la guardava con disprezzo e col sorriso sulle labbra. Erano vere montagne, le cui altezze variavano dai due ai trecento metri, con tre volte tanto al disotto, con speroni e bastioni massicci, con torri e cupole e obelischi che di quando in quando, sotto gl’incessanti urti, diroccavano con fracasso. Avendo il sole dietro di loro, il quale lanciava i suoi ultimi raggi orizzontalmente, fiammeggiavano meravigliosamente assumendo le tinte più svariate a seconda della loro posizione e del loro spessore.

Ve n’erano taluni che parevano ripieni di lava ardente; altri che avevano degli splendori azzurri o verdi come zaffiri o come smeraldi, ed altri ancora che avevano strane tinte violette del più bell’effetto.

Se erano ammirabili, sotto quelle luci, erano però anche paurosi per le loro masse enormi e per le loro punte che s’avanzavano in tutte le direzioni, e solide quanto scogliere.

— Che spettacolo! — esclamò il signor López. — Non credevo che i ghiacci potessero prendere tinte così splendide.

— Uno spettacolo che fa rabbrividire, signore, — disse papà Pardo. — E questo non è ancora niente. Vedrete più tardi, quando incontreremo i vecchi ice-bergs polari, se saremo costretti a scendere molto al sud.

— Mi domando infatti, come noi oseremo sfidarli? Guarda come ondeggiano e come di quando in quando si rovesciano.

Se uno si capovolgesse quando noi ci cacceremo nel canale, ci schiaccerebbe di colpo.

— E perchè perdono l’equilibrio? — chiese Mariquita, che guardava quei colossi più con curiosità che con terrore.

— In causa della diversa temperatura dell’acqua, — rispose il vecchio esploratore. — Quella dello stretto è meno fredda di quella dell’Atlantico, sicchè rode le basi delle montagne natanti, compromettendo così il loro equilibrio.

Guarda quel colosso che sta per rovinare! L’onda giungerà fino a noi. —

Una gigantesca montagna che si trovava all’avanguardia di quella formidabile flottiglia, alta per lo meno trecento metri e che sorreggeva sui suoi fianchi dei massicci obelischi che sembravano le torri d’un vecchio castello, aveva cominciato a oscillare scricchiolando e tuonando, come se non potesse più reggere l’enorme peso che la squilibrava.

Di quando in quando una delle sue torri o dei suoi bastioni diroccava improvvisamente, con immenso fracasso e dalle sue cime precipitavano enormi massi causando nuovi guasti e nuove fenditure.

Si sarebbe detto che da un momento all’altro dovesse sfasciarsi tutta e sommergersi.

Piotre l’aveva già notata. Con un comando incisivo fece cambiare la velatura, in modo da presentare la prora al colosso che si trovava a soli cinquecento metri, poi gridò:

— Tenetevi fermi per l’onda! Rispondo di tutto! —

Il colosso polare continuava ad oscillare ed a tuonare come se nel suo corpo scoppiassero di tratto in tratto delle mine. Le sue cime descrivevano degli archi che sempre più si accentuavano.

Piotre, sempre fermo al timone, lo guardava attentamente, cercando di dirigere la Quiqua al largo per evitare la gigantesca ondata che doveva produrre nella sua caduta. Per sua mala fortuna il vento non si prestava troppo per quella manovra, soffiando dal sud-sud-est.

— Cade, — disse ad un tratto papà Pardo. — Attenti! Tenetevi stretti al bordo o verrete sbalzati sul ponte. —

Il colosso s’inchinò dapprima lentamente, poi rapidamente. Le sue tre vette parve per un istante che dovessero unirsi o precipitare addosso alle torri od ai bastioni, invece rimasero salde.

Furono vedute piombare, poi immergersi bruscamente. L’enorme massa si rovesciò su un fianco, fracassando, con un rombo spaventevole, i ghiacci minori che furono per così dire polverizzati, poi scomparve tutta sollevando un’onda così mostruosa da far impallidire perfino Piotre.

Quella montagna d’acqua che s’avanzava colla velocità d’un cavallo lanciato al galoppo, muggendo cupamente e colle creste irte di spuma candidissima, si rovesciò con impeto furioso sulla Quiqua sollevandola bruscamente a prodigiosa altezza, poi la precipitò in un abisso che pareva non dovesse avere più fondo.

La scossa subita dalla baleniera era stata tale, che se papà Pardo e José non si fossero trovati dietro Mariquita, la giovane sarebbe stata indubbiamente sbalzata sopra il bordo o rovesciata sulla tolda. Anche il signor López era stato sorretto a tempo da un marinaio, che fortunatamente in quel momento si trovava al suo fianco.

La Quiqua, dopo essere stata brutalmente scrollata in tutti i sensi, aveva rimontata l’onda non senza imbarcare una grande quantità d’acqua ed aveva ripresa la sua marcia, urtando poderosamente i marosi coi suoi robusti fianchi.

La montagna natante, dopo essersi sprofondata, era risalita presentando un’unica cresta invece di tre ed altri bastioni ed altre torri. Era la parte immersa che ora mostrava, mentre quella che prima il sole illuminava si trovava sott’acqua ad una profondità di otto o novecento metri.

— Che capitombolo! — disse il signor López.

— Lo squilibrio di queste montagne, che non si può prevedere, è quello che costituisce il maggior pericolo pei naviganti polari, — disse Pardo. — Supponete che la caduta fosse avvenuta quando la nostra baleniera passava accanto a quell’ice-bergs!

— Fremo solamente a pensarci.

— Vi credo, signore; a quest’ora nessuno di noi sarebbe vivo, ve l’assicuro io che ho provato una simile emozione quando andavo a pescare le balene, presso le coste della Terra di Palmer.

— E sei sfuggito alla morte?

— Non sarei qui a parlarvi, signor López, — disse il pescatore ridendo.

— E la nave che montavi?

— Sfacellata di colpo come se fosse stata fabbricata di carta pesta. Eppure era solida e tre volte più grande della Quiqua.

— Ed i tuoi compagni?

— Quasi tutti annegati o schiacciati, signore.

— E come ti sei salvato?

— Per puro caso. Era una montagna due volte più grossa di quella che si è rovesciata ora ed aveva perduto l’equilibrio nel momento in cui noi avevamo ramponata la balena. Nessuno aveva pensato al pericolo, tanto eravamo entusiasmati pel buon esito della pesca.

Tutto ad un tratto, vediamo la montagna natante inchinarsi dalla nostra parte, con una rapidità tale da rendere impossibile qualsiasi manovra.

Che cosa sia successo, veramente non lo so nemmeno io. Mi ricordo d’aver udito un fracasso spaventevole e d’aver veduto dei massi enormi piombare sulla nostra nave e sfondarle la tolda, e d’essermi trovato in acqua. Ero caduto o mi ero gettato io in mare nel momento in cui la nave veniva sfracellata? Non ve lo saprei dire.

Quando tornai a galla e potei aggrapparmi ad un pezzo d’albero, il veliero era scomparso e di quattordici compagni eravamo rimasti solamente in cinque fra cui uno gravemente ferito che morì tre ore dopo.

— E come avete fatto a resistere, immersi in quell’acqua fredda, e poi raggiungere la costa?

— Fummo raccolti da un baleniere il cui equipaggio aveva assistito al nostro disastro, — disse il pescatore.

— Povero Pardo, — disse Mariquita. — E chissà che una sorte eguale non sia toccata anche ad Alonso, — aggiungeva poi con un sospiro.

— Speriamo di no, signora; auguriamoci ritrovarlo ancora sano e salvo sulle spiaggie della Terra del Fuoco. Chissà come penserà a voi e come sospirerà il momento di ritornare per farvi sua.

— Sì, — rispose Mariquita con profonda tristezza, — eppure non vorrei mai che giungesse il momento di rivederlo.

— E perchè, Mariquita? — chiese il pescatore, stupito per quella parola.

— Non lo so...

— Temete l’incontro dei due cugini?

— Può essere.

— Eh! Non ci saremo anche noi?

— Sì, lo so, sono amici devoti quelli che abbiamo imbarcati, ma gli altri, quelli di Piotre?

— Non sono che sei, più il comandante.

— E devoti tutti a lui.

— E noi siamo in egual numero e non da meno da loro, — disse il pescatore, abbassando la voce.

— Sii prudente, papà Pardo.

— Non dubitate di me, e nemmeno degli altri. Sono orsi i marinai di Piotre, taciturni come il loro padrone, ma non credo che siano cattivi camerati, e poi quando saremo arrivati laggiù li sorveglieremo.

Ecco il momento terribile: Piotre lancia la sua baleniera nel canale. Ha dell’audacia e del fegato quell’uomo! Parola da marinaio, non ho mai veduto un comandante più valente di lui! —

La Quiqua stava per cacciarsi fra le montagne natanti. Dinanzi ad essa si delineava un canale non più largo di quindici o venti metri, che serpeggiava fra banchi ed ice-bergs di moli enormi i quali spinti dal vento e risospinti dalle onde, ora si stringevano minacciando da un momento all’altro di chiudere il canale ed ora si allargavano.

Non ci voleva che un uomo audace come Piotre per cacciarsi là dentro; un altro avrebbe esitato a lungo e forse non vi si sarebbe arrischiato. Ma il baleniere non aveva paura e non esitava mai dinanzi al pericolo, anzi pareva che provasse un piacere strano nell’affrontarlo e che si divertisse a scherzare colla morte. Guardava con quel suo sguardo freddo e tranquillo i giganti che si cozzavano, con un sorriso quasi sdegnoso sulle labbra sottili, colla fronte serena. Nessuna ruga del suo volto, nessun trasalimento nelle sue membra, nessuna apprensione nel suo cuore che doveva essere corazzato.

Nel momento in cui la piccola nave, un guscio di noce, meno ancora, in paragone ai vecchi giganti polari, si spingeva nel canale con una temerità da far rabbrividire i più vecchi lupi di mare dell’equipaggio, i suoi occhi cercarono Mariquita. La giovane, come se già avesse sentito quello sguardo, s’era voltata verso poppa.

— Il pericolo è là, — diss’egli, indicandole un enorme ammasso di ice-bergs, che s’urtavano per aprirsi il passo fra i banchi di ghiaccio. — Ma non abbiate paura: sono io al timone. —

Nel pronunciare quelle parole, il suo volto si era rapidamente colorito, mentre un lampo d’orgoglio gli animava gli occhi. Era fiero di mostrare alla sua futura moglie che era il più ardito marinaio dell’Oceano Antartico, ben più audace e più risoluto di suo cugino.

Mariquita aveva risposto con un cenno del capo e con un sorriso. Quantunque pensasse costantemente al povero Alonso, pure non poteva fare a meno d’ammirare sempre più quell’uomo che sfidava così intrepidamente la morte.

La Quiqua, dopo un’ultima bordata si era cacciata nel canale, filando fra una doppia fila di ice-bergs che rollavano pesantemente, stritolando i piccoli ghiacci.

Un profondo silenzio regnava sulla tolda della piccola nave. L’ansietà aveva resi muti i marinai. Tutti i cuori trepidavano; due soli non tremavano ancora: quello di Piotre e quello di Mariquita.

CAPITOLO XII.

Fra i ghiacci.

La barriera di ghiaccio vista di fronte era davvero imponente, quantunque non sembrasse molto profonda. Erano due o trecento montagne, tutte enormi, divise da banchi di estensioni notevoli, i quali pure cercavano di forzare il passo per invadere lo stretto.

Lottavano fra di loro per sorpassarsi, portati dalla corrente e spinti dagli ice-bergs che premevano poderosamente sui loro fianchi.

Si spostavano continuamente con assordanti detonazioni, ora alzandosi quasi ad arco sotto lo sforzo incessante dei colossi, ed ora spezzandosi in migliaia di frammenti.

Dei canali si formavano qua e là, che subito venivano occupati da altri ghiacci i quali a loro volta subivano la stessa sorte dei primi. Le pressioni che esercitano i banchi quando il freddo li ingrossa e li dilata o quando le montagne li premono è tale, che nessuna nave per quanto solida e ben costruita, potrebbe resistere oltre cinque minuti. Le sfondano i fianchi, fracassandole i puntelli, e si riuniscono attraverso la stiva, tagliando così la nave in due parti. Se non la stritolano la sollevano ed allora la nave rimane prigioniera senza alcuna speranza di potersi rimettere in acqua prima dello scioglimento dei ghiacci. E anche allora non può credersi al sicuro, perchè nel ricadere in acqua avviene talvolta che si rovesci e si sommerga.

La Quiqua non ostante tutti quei pericoli procedeva audacemente nel canale, manovrando con la solita abilità impareggiabile. Quantunque di forma massiccia, e molto larga, realmente possedeva un’agilità poco comune e sentiva meravigliosamente l’azione del timone, in grazia della sua poca lunghezza e della rotondità del suo scafo.

Il canale era ingombro di frammenti, staccatisi dai banchi e dai margini delle montagne, e anche da lastroni, di spessore considerevole che la Quiqua assaliva poderosamente senza esitare, fracassandoli sotto la sua robusta chiglia.

Ai due lati i ghiaccioni e gli ice-bergs battagliavano fra di loro con un fracasso tale che certe volte non si potevano quasi più udire i comandi di Piotre.

Erano detonazioni spaventevoli, poi muggiti formidabili, quindi fischi acutissimi, poi colpi secchi che annunciavano l’apertura di nuovi canali.

Di quando in quando un ghiaccione, stretto da tutte le parti, diroccava e delle ondate mostruose si rovesciavano attraverso il canale, investendo la Quiqua e minacciando di scaraventarla dall’altra parte del passaggio dove altri ice-bergs parevano pronti a sfracellarla.

— Passeremo, o la nostra impresa finirà qui? — chiese il signor López a papà Pardo, il cui volto a poco a poco si scoloriva.

— Non lo so, signore, — rispose il pescatore. — Posso solamente dirvi che noi stiamo giuocando una terribile partita e che solo quel diavolo di Piotre poteva impegnarla con qualche speranza di vincerla. Al suo posto, un altro avrebbe già rinunciato e se ne sarebbe tornato a Punta Arenas.

— Non scorgo la fine di questo canale.

— E nemmeno io, quantunque non debba essere molto lungo.

— E al di là di questa barriera troveremo il mare libero?

— Si spera, se riusciremo a liberarci dallo stretto e a superare il capo delle Undicimila Vergini.

— Dubiti che Piotre possa attraversare questi ghiacci?

— Eh signore! Siamo nelle mani di Dio. Che una montagna si rovesci nel momento che noi le passiamo vicino, e allora buona notte a tutti!

— Mariquita, — disse il signor López, volgendosi a lei, — hai paura? —

La giovane non rispose. Appoggiata col dorso contro la murata, sembrava che non s’interessasse affatto dei ghiacci e tanto meno dei pericoli che minacciavano la piccola nave.

Invece di guardare le montagne natanti, guardava verso poppa dove Piotre si trovava alla barra del timone.

Si sarebbe detto che ammirava quel forte uomo che, pari ad un gigante, lanciava una sdegnosa sfida ai colossi che si stringevano attorno alla Quiqua.

— Mariquita, — ripetè il signor López, non ricevendo risposta. — A che cosa pensi? Pare che tu non ti accorga che stiamo per affrontare la morte.

— Ah! — fece la giovane, scotendosi: — è vero.

— Non dimostri d’aver paura.

— E perchè, padre mio?

— Impallidiscono perfino i marinai.

— Sono tua figlioccia, e poi ho sangue araucano nelle vene.

— Eppure anche il mio cuore trema, se non per me, almeno per la tua vita.

— Vinceremo, padre mio.

— È appena cominciata la lotta.

— Finchè non vedrò il volto di Piotre impallidire, non mi preoccuperò del pericolo.

— È sempre calmo?

— Calmo, padre.

— Che uomo!

— Sì, un uomo forte, — rispose Mariquita con voce lenta.

— Guarda quelle due montagne, figlia mia. Si direbbe che hanno una voglia matta di abbracciarsi sopra di noi. —

La giovane diede uno sguardo ai due ice-bergs, poi rivolse nuovamente le spalle alle montagne mostrando il suo bel viso a Piotre.

L’ex esiliato pareva che sentisse lo sguardo della giovane. Quando il pericolo era cessato e subentrava un istante di calma, i loro occhi s’incrociavano e sul viso del fiero marinaio passava un rapido fremito.

Sentiva per istinto che Mariquita ammirava la sua audacia e ciò lo spingeva a scherzare con maggior temerità colla morte.

Sotto la sua mano di ferro la nave gli ubbidiva, come se fosse un essere animato. La lanciava con pazza temerità contro i ghiacci, radendo i margini delle montagne, pronto a sfuggirle quando là stringevano troppo da vicino; l’avventava contro i banchi che si divertiva a fracassare, facendo rombare cupamente la stiva e scricchiolare la carena; quando due ghiaccioni minacciavano di chiudere il canale, non esitava a cacciarvisi in mezzo, scivolando in uno spazio così ristretto che le estremità dei pennoni toccavano i mostruosi bastioni di quei colossi.

Pareva che si divertisse a giuocare colla morte ed a far impallidire il suo equipaggio.

E tutto ciò lo faceva senza che un muscolo del suo viso trasalisse, senza che un tremito, anche impercettibile, facesse vibrare le sue mani, senza che la sua fronte, anche per un solo momento, si offuscasse.

E passava la Quiqua, passava dovunque, protetta da una fortuna incredibile, scivolando fra montagne e montagne, fra banco e banco, senza mai esitare.

Ad un tratto però parve che la sua buona stella l’abbandonasse e che la sorte si fosse stancata di proteggere la nave ed il suo comandante.

La Quiqua aveva già percorso più di mezzo canale, quando delle montagne di ghiaccio che si spostavano lateralmente in senso contrario, oscillarono spaventevolmente come se fossero lì lì per perdere l’equilibrio.

Erano due delle più enormi, le cui cime dovevano raggiungere i quattrocento metri, e si erano trovate l’una di fronte all’altra nel momento in cui la baleniera, per evitare lo sperone di un terzo ice-bergs che minacciava di sventrarla, si era cacciata in mezzo ad esse. Un urlo di terrore era scoppiato sulla tolda. Anche il volto di Piotre, per la prima volta, era diventato pallido, ed una sorda imprecazione gli era uscita dalle labbra. La morte stava sopra di loro, pronta a piombare sulla povera nave; e quale morte!

Piotre aveva subito ripresa la sua tranquillità.

— Silenzio! — aveva gridato con voce tonante.

I suoi occhi, nondimeno, avevano guardato Mariquita con una inesplicabile espressione d’angoscia.

Le due montagne s’accostavano barcollando sempre più e sotto di loro passava la Quiqua, spinta fortemente da un vento rapidissimo. Se riusciva a sfuggire alla stretta era salva: questione di pochi secondi.

Piotre l’aveva lanciata risolutamente innanzi. Sperava ancora.

D’improvviso i due enormi ghiacci, quasi contemporaneamente, s’inchinarono uno verso l’altro con mille scricchiolii: l’uno e l’altro perdevano l’equilibrio nell’istesso momento.

L’equipaggio istintivamente si era slanciato verso poppa. Anche Mariquita aveva lasciata la prora sulla quale già cadevano i primi massi staccatisi dalle cime dei due colossi.

— Siamo perduti! — aveva gridato una voce.

— In acqua la scialuppa! — aveva gridato una seconda.

— Si salvi chi può! —

Il momento era terribile. I due ice-bergs continuavano ad inchinarsi sopra la Quiqua che fuggiva sotto di essi.

Piotre, vedendo i suoi uomini fuggire, aveva fatto colla sinistra un gesto minaccioso.

— Chi tocca una scialuppa è uomo morto! — aveva gridato, mentre il suo viso assumeva una terribile espressione di ferocia. — Ai vostri posti!... —

Se sapeva dirigere la sua nave, sapeva anche farsi obbedire. Vedendolo lì pronto a slanciarsi, i marinai s’erano fermati più per paura della sua minaccia che della morte imminente, sapendo di che era capace quel formidabile uomo.

Ma no, la morte non li voleva ancora!

Per un miracolo inaudito, le due punte degli ice-bergs si erano appoggiate l’una contro l’altra, formando sotto di esse una specie di canale e ritardando così per qualche minuto la rovina.

Quel momento era stato più che sufficiente a Piotre per sfuggire al grave pericolo. La Quiqua era passata e le montagne non si erano ancora fracassate che già era lontana parecchi metri e navigava in uno spazio assolutamente libero.

La barriera, mercè l’audacia incredibile di quell’uomo, era stata felicemente superata e davanti alla prora della Quiqua s’apriva ora l’ultimo tratto di canale racchiuso fra il capo Dungeness e quello delle Undicimila Vergini, e più oltre vi era l’Atlantico le cui onde larghe e poderose si rompevano sulle scogliere del capo d’Espirito Santo, che segna l’estremità della terra fuegina.

Al di là della barriera non c’erano più ghiacci che potessero costituire un qualche pericolo per la baleniera, ma soltanto dei piccoli banchi che le onde trastullavano e che a poco a poco spezzavano, urtandoli contro le rive del canale.

Un evviva fragoroso, partito da tutte le bocche, aveva salutato l’ardita manovra del baleniere, che aveva salvato da una morte, che pareva ormai certa, la spedizione.

Mariquita, assai commossa e ancora un po’ pallida, si era accostata lentamente a Piotre, dicendogli con voce esitante e sommessa:

— Grazie, Piotre... per tutti... —

Udendo quelle parole, un vivo rossore aveva imporporato le gote dell’uomo di mare, mentre un lampo di trionfo aveva illuminato i suoi occhi. Afferrò la piccola mano che la giovane araucana gli tendeva e la tenne per alcuni secondi fra le sue dita callose, mormorando:

— Grazie a voi, Mariquita. —

Si guardarono a lungo con aria imbarazzata, stupiti forse ambedue di quella stretta, poi il baleniere, lasciando libera la mano della giovane, s’allontanò bruscamente, dirigendosi verso prora. Il suo volto, quasi ordinariamente cupo e triste, non era mai apparso tanto sereno come in quel momento.

— Mariquita, — disse il signor López, accostandosi alla giovane, — la gran prova è ormai finita e spero che coi ghiacci non avremo più a che fare.

L’oceano Atlantico è là dinanzi a noi e non gela mai e la Terra del Fuoco sta alla nostra destra.

Se tutto va bene, fra due o tre settimane troveremo la Rosita o i suoi rottami e tu rivedrai Alonso.

— Ah, sì, Alonso, — rispose la giovane, quasi distrattamente.

— Quale felicità per lui, quando ti vedrà comparire! Dovrà della riconoscenza a questo bravo Piotre e anche noi glie ne dovremo molta.

— Sì, molta, — rispose Mariquita.

— Faremo far la pace ai due cugini, lo vedrai, e torneranno ad amarsi come prima.

— E credi tu, padre, che Piotre la farà?

— Ne sono sicuro; ha un cuore leale e generoso. Non ti sembra? —

Mariquita non rispose, ma il suo viso aveva assunto una tale espressione d’angoscia, che il signor López se ne accorse subito.

— Che cos’hai, Mariquita? — chiese.

— Nulla, padre mio, — rispose la giovane. — Pensavo alla sorte toccata alla Rosita.

— Temi che non la troveremo?

— Sì, non so... oh, sono paure da fanciulla, — disse poi, cercando di apparire calma e di sorridere. — La troveremo... in qualche luogo di certo. Come si chiama quel capo, padre mio? Come è orribile! Guarda come il mare vi si rompe contro.

— È quello delle Undicimila Vergini, nome datogli da Magellano.

— E quell’altro che si vede laggiù, che s’incurva verso il nord?

— Dell’Espirito Santo, poi al di là s’apre l’Atlantico. Ed ecco lassù verso la costa patagone la punta degli Appiccati.

— Perchè quel sinistro nome? — domandò papà Pardo, che lo aveva udito.

— Perchè su quella spiaggia Magellano fece innalzare la prima forca che si sia veduta su questo estremo lembo dell’America meridionale.

— E chi vi appese?

— Due dei suoi luogotenenti che assieme ad altri avevano ordito un complotto per ucciderlo.

— E la lasciò in eredità ai patagoni? — chiese papà Pardo.

— Ma non se ne servirono quei selvaggi.

— Come, fu adoperata ancora?

— Da un altro navigatore che esplorò questo stretto cinquantotto anni dopo Magellano, Francis Drake, un famoso corsaro che godeva nondimeno la protezione della sua regina, Elisabetta d’Inghilterra.

— L’aveva trovata ancora eretta dopo tanti anni?

— Sì, mio vecchio Pardo, e ne usò per appiccare uno dei suoi più valorosi compagni, il capitano Doughty, nel quale aveva creduto, a torto o a ragione, di scorgere un pericoloso rivale.

— Non andavano molto pel sottile quegli avventurieri, signor López.

— A quei tempi, mio caro, la vita d’un uomo valeva meno d’una pera.

Ecco l’Atlantico! Guarda, Mariquita! —

La giovane araucana pareva che non lo avesse nemmeno udito. Appoggiata alla murata, coi gomiti puntati e la testa fra le mani, guardava distrattamente le onde che venivano ad infrangersi, con sordi muggiti, contro i fianchi della nave.

— Guarda l’Atlantico, Mariquita, — ripetè il signor López. — Fra poco le sue onde baceranno la prora della Quiqua.

— Oh, sì, — rispose ella. — L’Atlantico... l’oceano. —

E ricadde subito nelle sue meditazioni, continuando a guardare l’acqua.

La Quiqua, che un fresco vento del sud-ovest spingeva con notevole velocità, aveva già superato il capo Dungeness e moveva verso quello d’Espirito Santo per cominciare la sua rotta verso il sud.

Lo stretto si allargava considerevolmente, lasciando libero il passo alle larghe ondate dell’Atlantico, le quali non trascinavano con sè nessuna montagna galleggiante. Solamente verso il nord, in direzione del capo delle Undicimila Vergini, se ne scorgeva qualcuna errare solitaria, cappeggiando pesantemente.

Le due spiaggie dello stretto in quel luogo erano selvagge ed orribili. Cadevano quasi a piombo da altezze prodigiose, con gole, spaccature e caverne marine dove si precipitavano i cavalloni con lunghi boati che l’eco ripercuoteva.

Era un caos di rupi granitiche, colle basi sventrate e minate dall’eterna azione delle onde sempre irrequiete, quasi prive di vegetazione, non vedendovisi che magri muschi e licheni, e sempre popolate da un numero infinito di uccelli, specialmente di albatros giganti e di bellissime chloephage che volando fischiavano acutamente.

Sui banchi sabbiosi invece si vedeva qualche coppia di foche in attitudine sospettosa, appartenenti alla specie delle cystophore leonine, razza ormai quasi spenta in causa dell’attiva e feroce caccia data loro dai balenieri per impadronirsi della pelle e dell’olio che si estrae dal loro grasso.

A mezzodì anche il capo Espirito Santo veniva superato e la Quiqua solcava ormai le onde dell’Atlantico, di quell’oceano che dodici ore prima aveva disperato di poter raggiungere.

Anche là niente ghiacci di considerevole mole. Qualche banco, qualche montagnola gremita d’uccelli marini, di gabbiani e di micropteri rumorosi e pettegoli: nient’altro.

Il vento, che doveva aver soffiato dall’ovest, aveva allontanati gli ice-bergs, dopo di averne cacciati alcuni nel canale e chissà dove ora si trovavano, se pure non si erano squagliati a poco a poco.

L’oceano appariva deserto. Nessuna nave si scorgeva nè all’est, nè al nord e nemmeno al sud. Anche le coste della Terra del Fuoco, che in quel momento la Quiqua fiancheggiava, tenendosi ad una distanza di un paio di miglia, parevano disabitate.

— Bisogna cominciare ad aprire gli occhi, — disse José a papà Pardo, il quale osservava attentamente le spiaggie rocciose dell’immensa isola. — Da oggi dovremo scrutare ogni insenatura della Terra del Fuoco, poichè non sappiamo dove si sia arenata o spezzata la Rosita.

— Avremo tempo, — rispose il vecchio pescatore. — Non troveremo certo gli avanzi della nave così presso allo stretto.

— Dove credi che si sia arenata, amico Pardo?

— Dirlo non sarebbe facile, perchè i due balenieri che abbiamo trovato sul dorso del cetaceo, non si sono spiegati troppo chiaramente!

Ma suppongo che non sia andata molto lontana dal Capo Horn. Si tratta di sapere ora se le correnti e le onde l’avranno spinta verso la Terra del Fuoco o verso l’Isola degli Stati.

— Esploreremo tutte quelle spiaggie?

— Finchè non avremo trovato la nave o gli uomini.

— Disperi tu?

— No, José, eppure quasi quasi preferirei che tutti fossero periti nel naufragio.

— Perchè, Pardo?

— Che cosa vuoi? Non vorrei assistere all’incontro dei due cugini.

— O, di che hai paura?

— Ma credi tu, José, che il signor Piotre abbia acconsentito ad andare in cerca del suo rivale, senza uno scopo segreto?

— Che cosa può sperare?

— Non lo so, sospetto tuttavia che qualche cosa di grave sia stato convenuto fra lui e Mariquita, o che egli abbia dei disegni tenebrosi. L’incontro fra i due rivali non passerà liscio, te lo dice papà Pardo, e tremo per quel giorno perchè la vittima sarà la povera Mariquita. Non torneranno vivi ambedue, ne ho il presentimento, e Alonso non è tale uomo da tener fronte a quel Piotre.

— Mariquita ha qualche sospetto?

— Non lo so, non avendomene più parlato. Ho notato che non è più la giovane di prima, allegra e gaia, che cantarellava da mattina a sera come un usignolo.

Da quando ha messo il piede su questa baleniera, l’ho sempre veduta triste e preoccupata.

— E l’ho notato anch’io, — disse José, diventato pensieroso. — Al pari di te e del signor López, forse trema per l’incontro dei due cugini, il cui odio non deve essersi spento tutto d’un tratto, almeno nel cuore di Piotre.

Che ami sempre Mariquita, il baleniere?

— Forse più che mai. Si mostra ruvido, quasi brutale verso di lei, eppure non le stacca mai di dosso gli sguardi e la sua fronte si rasserena solamente quando Mariquita gli si accosta.

— È vero, papà Pardo. Quando stamane Mariquita lo ha ringraziato e gli ha porto la mano, mi pareva che fosse diventato un altro uomo.

— Chi vivrà vedrà, — disse il vecchio pescatore, come parlando fra sè, — e se nessun malanno ci manda a fondo, quel giorno saremo pronti a difendere Alonso da qualsiasi attentato.

CAPITOLO XIII.

La Terra del Fuoco.

La Terra del Fuoco, che la Quiqua si proponeva di costeggiare fino al Capo Horn, quantunque così prossima alle due più giovani, ma anche più prospere Repubbliche rivali dell’America del sud, il Chilì e l’Argentina, quarantanni or sono era appena nota.

Chiamata con tale nome da Magellano, non perchè di natura vulcanica, ma solamente perchè aveva scorto sulle spiaggie numerosi falò accesi dai selvaggi, forse coll’intenzione di attirare le navi del grande navigatore e farle naufragare, per quasi tre secoli fu del tutto trascurata da tutti gli esploratori.

Oggi è un po’ più conosciuta, mercè l’opera assidua di coraggiosi missionari, eppure non è ancora interamente esplorata, specialmente nelle sue parti meridionali.

Essa forma una specie d’immenso triangolo, assai frastagliato verso l’ovest ed il sud-ovest, dove ha vasti golfi e numerose isole e bagna contemporaneamente le sue coste nelle acque dello stretto di Magellano, in quelle dell’oceano Pacifico e dell’Atlantico. Se fosse un po’ più allungata, toccherebbe anche le acque dell’oceano Antartico.

La Terra del Fuoco si potrebbe ben chiamare la terra della desolazione; ed infatti nessuna isola è più orribile di questa nè meglio meriterebbe un tal nome.

La sua formazione non sembra che sia antica. Probabilmente non esisteva prima della creazione degli esseri organici. Doveva essere stata un tempo sommersa, come lo proverebbero le sabbie, le conchiglie e le vertebre di balene che si trovano anche oggidì in gran numero nelle valli dell’interno e anche sulle sue dirupate montagne.

Sia vecchia o no, è sempre una terra orribile, sottoposta ad un cielo quasi eternamente grigio e nebbioso, prodigo di bufere tremende, tutta cosparsa di rupi immense che sfidano da secoli il furore dei flutti, con sterminate lande senza erbe, con abissi spaventosi, con gole profonde, dentro le quali imperversano i venti senza tregua, con torrenti vertiginosi, con montagne coperte per la maggior parte dell’anno di neve, sulle cui cime scrosciano le tempeste.

Nondimeno non è del tutto sterile. La parte orientale è arida, monotona, ondulata, intersecata da lagune salse, con roccie a fior di terra e rari cespugli di betulle e di rovi; l’occidentale invece più montuosa, è per un lungo tratto coperta di foreste vergini impenetrabili, tra le cui piante primeggiano i colossali roveri antartici, i lauri, i faggi, gli olmi e le fucsie che s’intrecciano in tutti i sensi, formando delle vere muraglie di legno.

Tutto quel suolo è falso, a causa degli alberi caduti e putrefatti, coperti da muschi, da piante parassite che fanno credere di trovare un piano resistente, mentre invece si aprono sotto i piedi degli incauti che osano inoltrarsi e li inghiottono.

La parte meridionale è la più montagnosa e la più orribile. È un vero caos di montagne, di lava, di graniti, di basalti in iscompiglio, che ne rendono le coste irte e frastagliate.

Il mare vi penetra dovunque per canali innumerevoli, ma i passaggi sono così angusti, le correnti così violente, i venti così impetuosi, ed i due oceani vi cozzano contro con tanta ira, che nessun navigante oserebbe inoltrarvisi, certo di correre incontro ad una morte sicura. Eppure su quelle montagne brulle, percosse incessantemente dagli uragani, si nascondono ricchezze considerevoli che potrebbero forse rivaleggiare con quelle favolose della gelida Alaska.

L’oro abbonda dovunque in forma di fogliuzze e di pepite, di cui alcune pesanti perfino cinquanta grammi; ed in polvere se ne trova in quantità nelle sabbie dei fiumi e nelle borre arenose dei torrenti, ma chi oserebbe andarlo a raccogliere?

Il paese è sterile, freddo, abitato da tribù bellicose, dedite, fino a pochi anni sono, all’antropofagia e quasi privo di selvaggina. Non vi sono che uccelli, rari guanachi e poche foche, ormai quasi interamente distrutte dagli abitanti che sono sempre alle prese colla fame.

Tre razze abitano quella terra, assai simili fra di loro: l’indio Ona, l’indio Grande e l’indio del Canale. Razze miserabili che conducono una esistenza quanto mai difficile, che vivono al pari delle belve dentro misere capanne composte di poche frasche, sicchè non servono di riparo, che tremano di freddo essendo seminudi e che si odiano cordialmente e sono sempre in guerra fra di loro.

Sono i più poveri, i più disgraziati, i più brutti ed i più luridi esseri della famiglia umana, più bestie che uomini, che reggono appena nel confronto coi selvaggi dell’Australia, i quali pur vengono considerati come gli ultimi cretini della razza che popola il mondo.

· · · · · · · · · · ·

La Quiqua, superato il capo dell’Espirito Santo, aveva messo la prora al sud-est tenendosi abbastanza lontana dalle coste per non venire travolta dalle correnti che sono impetuose in quelle regioni, ma non tanto da non poterla scorgere anche senza bisogno dei cannocchiali.

L’oceano era assai mosso intorno alle spiaggie.

Essendo quelle coste assai frastagliate e cadenti a picco, provocano delle formidabili ondate di fondo, le quali si fanno sentire a distanze considerevoli, mettendo a dura prova gli stomachi dei naviganti costretti a subire un incessante rullìo.

L’isola appariva montuosa, terminando da quella parte l’alta catena dei monti Orange.

Vette nevose, che nascondevano le loro cime fra le nubi gravide di pioggia, s’alzavano in tutte le direzioni, mostrando sui loro fianchi cupe foreste di faggi antartici e di conifere rosse. I contrafforti di quelle montagne si spingevano fino al mare, dove strapiombavano bruscamente, rendendo, almeno da quella parte, impossibile ogni approdo.

Di quando in quando qualche enorme spaccatura appariva, una specie di fjord simile a quelli della Norvegia; e sopratutto là dentro il mare infuriava con tanta rabbia che si udivano i muggiti e gli scrosci fino sul ponte della baleniera.

Sulle rupi non si scorgevano che uccelli, gli eterni uccelli marini che sono disseminati in quantità tale su quelle spiaggie da non potersene fare un’idea. Se abbondano nello stretto di Magellano, sono ancora più numerosi, così sulla Terra del Fuoco come sulle isolette che la circondano.

Qualche banda, scorgendo la nave, attratta dalla curiosità o spinta da chissà quale capriccio, s’alzava e veniva a volteggiare attorno alla baleniera, salutandola con un gridìo assordante e prolungato.

Quei volatili erano per lo più prion turtur, graziosi uccelli marini, non più grossi di una tortorella comune, colle penne grigio turchine sul dorso e biancastre sotto, e phoebetria fuliginosa, le più piccole delle diomedee, molto snelle, colle penne nere, che hanno un volo rapidissimo e leggiero e tengono costantemente le ali aperte senza muoverle.

Di tratto in tratto qualche stormo di quebranthuesos, meglio conosciuti dai marinai col nome di rompitori d’ossa, calava pure attorno alla nave, volteggiando specialmente sopra la scìa per dare addosso ai pesci che erano portati a galla dal ribollimento dell’acqua.

Era uno spettacolo divertente il vedere quei grossi volatili tutti neri, che sono i più formidabili pescatori dei mari del Sud, precipitarsi con rapidità fulminea fra le onde, tuffare il becco robusto e acutissimo ed innalzarsi portando con sè dei grossi pesci che poi, con un brusco movimento, inghiottivano d’un colpo solo, senza aver bisogno di appoggiarsi in alcun luogo.

Miravano sopratutto ai pesci volanti che di quando in quando balzavano fuori dall’acqua per sfuggire probabilmente gli attacchi delle dorate, loro nemiche accanite. Infatti se ne vedevano non poche avvoltolarsi nella scìa, mostrando quelle loro splendide tinte azzurre o gialle con gradazioni delicatissime che, per uno strano caso, perdono quando sono moribonde, diventando invece grigio scuri.

— Che brutta costa! — disse il signor López, che guardava con un cannocchiale i frastagli della Terra del Fuoco, come se avesse sperato di trovare là dentro il carcame della Rosita. — Non ne ho mai veduta una eguale in tutta l’America del Sud. Se la nave di Alonso è stata spinta fin qui, non troveremo nemmeno un pezzo di rottame. Sarà tutta così?

— Press’a poco, signor López, — disse Piotre che si era fermato dietro di lui e dietro Mariquita, la quale pure stava guardando verso la Terra del Fuoco.

— Ed è sempre così furioso il mare intorno a quell’isola sfortunata?

— Non l’ho mai veduto tranquillo, eppure ho compiuto ormai più di venti viaggi in questi paraggi. Ma quando saremo scesi più al Sud, lo vedrete anche più tempestoso e la nostra nave correrà allora i maggiori pericoli.

I due oceani, l’Atlantico ed il Pacifico, si cozzano laggiù in eterna guerra, quasi disputandosi il primato dell’onda, mentre il capo Horn, come irritato della superbia del mare che lo flagella, scatena le sue procelle.

— Povera Rosita, se i venti l’hanno sbattuta su quelle coste! Riusciremo noi a trovarne i rottami? — Piotre crollò il capo.

— Ne dubito, — disse poi. — Una nave gettata sulla costa non può resistere a lungo all’assalto di quelle formidabili ondate.

— Come faremo allora a sapere dove avrà naufragato?

— Interrogando i selvaggi, — rispose Piotre.

— Se si lasceranno accostare!

— Sì, se non avranno nulla da rimproverarsi, ossia se non avranno uccisi e divorati i naufraghi.

— Divorati! — esclamò Mariquita, diventando pallidissima. — È dunque vero che gli abitanti di quest’isola sono antropofaghi? Rispondete, Piotre, voi che li conoscete.

— Almeno quelli che abitano le coste meridionali, — rispose il baleniere. — Quando uccidono i nemici li mangiano e quando la fame piomba su una tribù, non esitano a scannare tutte le vecchie per pascersi delle loro carni; e la carestia si fa sentire spesso su quelle coste.

— Eppure io so che dei naufraghi sono stati, non solo risparmiati, ma anche ricevuti cordialmente, — disse il signor López. — Quando Giacomo Bove, quel distinto ufficiale della marina italiana che esplorava questa terra per incarico del governo argentino, naufragò all’uscita del canale di Beagle colla sua vecchia goletta, il Cabo de Hornos, fu bene accolto dagli indigeni della baia di Sloggett, anzi gli regalarono anche molte armi e indumenti.

— Ma quelli erano Ona e non già Tekeenica o Yacana-kunny, — rispose Piotre. — Gli Ona non sono cattivi; gli altri invece, non vorrei provarli. Sono i più brutti, i più luridi e anche i più bestiali esseri della creazione umana.

— Avete mai udito raccontare che abbiano massacrati dei naufraghi di razza bianca?

— Io so che sulle coste meridionali della Terra del Fuoco si sono trovati più volte degli avanzi di navi fracassate e mai un marinaio vivo. Può darsi che tutti quegli equipaggi siano stati inghiottiti dalle onde, ma può anche darsi che siano finiti sotto i denti degl’indigeni.

— Oh! mio Dio! — mormorò Mariquita, che pareva fosse lì lì per cadere svenuta.

— Che cosa avete, señorita? — chiese Piotre con voce dura.

— Nulla, pensavo a quei disgraziati e alle orribili angoscie che avranno provato prima di venire divorati da quei miserabili, — rispose la giovane, con uno sforzo supremo.

— E ad Alonso a cui potrebbe essere toccata una sì atroce sorte, è vero, figlia mia? — disse il signor López, profondamente commosso. — No, non è possibile che possa aver fatto una tal fine. Era un uomo energico, valoroso e non si sarà lasciato sopraffare, nè prendere da quelle canaglie, e poi, come tutti i balenieri, avrà avuto delle armi a bordo. Che cosa ne dite, Piotre?

— Speriamolo, — rispose l’ex ufficiale seccamente.

Poi, come fosse assai ansioso di por fine a quel discorso, si diresse verso il cassero, gridando al timoniere:

— Al largo, Pepito. La corrente è forte qui e l’onda porta alle coste. —

Mariquita l’aveva seguito, fermandolo prima che salisse sul cassero.

— Piotre, — gli disse, — avete voluto solamente spaventarmi? Ve ne prego, siate buono e franco.

— Perchè avrei dovuto mentire? — riprese il baleniere, guardandola fissa, e con tono quasi offeso.

— Per togliermi ogni speranza di poter rivedere Alonso vivo.

— Che importa a me di lui, ora che voi avete giurato di diventare mia moglie, Mariquita?... Se lo ritroveremo vivo, meglio per lui, se no sarà peggio per lui. Di più, noi non abbiamo ancora alcuna prova che sia annegato o sia stato catturato dagl’indigeni, anzi non sappiamo ancora dove la sua nave sia andata a finire.

Chi può dirci che non sia arenata sull’isola degli Stati? E là selvaggi non ve ne sono.

— Avrebbe potuto trovare egualmente la morte su quella terra desolata e gelida.

— Barnard, che non aveva un’isola così vasta, potè resistere per degli anni vivendo di caccia. Al signor Gutiérrez può essere toccata un’egual fortuna. —

E risalito sul cassero, facendo come un gesto d’impazienza, sedè accanto al timoniere.

— Barnard, — mormorò Mariquita. — Chi era costui? Papà Pardo me lo dirà! —

Attraversò la tolda e si accostò al vecchio baleniere che era occupato a dare la caccia ad una banda di sule che erano calate sulla nave, uccelli stupidissimi che si lasciano prendere colle mani, senza nemmeno tentare di fuggire e che perciò furono chiamati anche booby, ossia stupidi.

Ne aveva già presi quattro o cinque e contava di farli servire per la cena, quantunque la loro carne sia mediocre e puzzi di pesce rancido, sapore sgradevolissimo, ma che si può in parte togliere privando quei volatili del loro grasso.

Vedendo Mariquita accostarsi, il vecchio lupo di mare, che già l’aveva osservata a parlare con Piotre, indovinò subito che doveva fargli qualche seria comunicazione.

— Burrasca, signora Mariquita? — chiese. — Ho veduto il capitano andarsene un po’ stizzito e di cattivo umore.

— Hai udito mai parlare d’un capitano Barnard? — domandò la giovane.

— Barnard! — esclamò papà Pardo, terminando di torcere il collo al quinto booby e pensando un momento su quel nome. — Che cosa può interessarvi la storia del suo naufragio, che è avvenuto trentaquattro o trentacinque anni or sono?

— Chi era?

— Un capitano della marina americana a cui gl’inglesi giuocarono un pessimo tiro, abbandonandolo su di un’isola deserta che si trova in questi paraggi.

— Morto di fame e di freddo su quell’isola?

— No, signora Mariquita, anzi scommetterei che vive ancora in qualche angolo dell’America del nord. Ah! È una gran bella storia, comica e dolorosa ad un tempo.

Ma perchè mi parlate di quel povero Barnard?

— Perchè Piotre mi ha detto che anche sulle isole deserte di queste regioni, i naufraghi vi possono vivere senza correre il pericolo di morire di fame e di freddo.

— Suppone che la Rosita, invece di essere stata spinta verso la terra del Fuoco, si sia spezzata od arenata su qualche isola? — chiese papà Pardo. — Eh, se così fosse avvenuto sarebbe meglio pei naufraghi.

— E non correrebbero il pericolo di morire di fame?

— No, signora, no; gli uccelli marini abbondano su quelle isole e anche le foche non sono rare, ed il capitano Barnard ha provato col fatto che si può vivere anche degli anni su quei deserti di neve e di rupi.

— Mi racconterai almeno l’avventura toccata a quel capitano, — disse una voce dietro di lui. — Io ho udito parlare qualche volta di quell’americano.

— Ah! siete voi, signor López! — esclamò papà Pardo.

— Ti ascoltavo da cinque minuti, in compagnia di José.

— È una storia che rimonta al 1813, signor López, conosciuta da tutti i marinai dei mari del sud ed è avvenuta a New-Island, un’isola che si trova al Sud delle Falkland, a due o trecento miglia da noi; una piccola terra che io ho già visitata e che vedendola di primo colpo si direbbe incapace di offrire un asilo qualsiasi a dei poveri naufraghi.

In quel tempo una nave inglese, spinta dalle tempeste, era andata a fracassarsi sulle scogliere dell’isola e trenta uomini erano riusciti a salvarsi, portando con loro poche provviste.

L’isola allora, come oggidì, abbondava d’uccelli marini; ma essendo gl’inglesi sprovvisti d’armi, non riuscivano a catturarne che in così piccola quantità, da non bastare a nutrirli tutti.

Già si trovavano alle prese colla fame, quand’ecco che una nave approda sulle coste dell’isola. Era americana, comandata da un certo Barnard, un brav’uomo, perfino troppo buono.

Quantunque l’Inghilterra e gli Stati Uniti fossero allora in guerra, il capitano Barnard si offre d’imbarcare i trenta naufraghi, ma fatto l’inventario dei viveri s’accorge di averne così pochi da non poter nutrire tanta gente e di correre il pericolo di vederli esauriti prima di giungere al porto più vicino.

Un altro, al suo posto, avrebbe abbandonati gl’inglesi alla loro sorte, tanto più che erano nemici. Barnard invece, avendo osservato che l’isola abbondava di selvaggina, s’imbarca su una scialuppa con quattro de’ suoi marinai, portando fucili ed abbondanti munizioni, per aumentare le scarse provviste della sua nave.

I naufraghi mille volte più vili dei più feroci pirati e veri mostri d’ingratitudine, approfittano dell’assenza dell’onesto capitano per far prigionieri i pochi marinai americani, impadronirsi della nave e mettersi alla vela verso l’Europa.

— Abbandonando il capitano? — chiese il signor López.

— Ed i suoi quattro marinai.

— I miserabili! — esclamò José.

— E che cosa è accaduto poi di quei disgraziati così vilmente traditi? — chiese Mariquita.

— Quando il povero Barnard, di ritorno dalla caccia, non vide più la sua nave, fu preso da tale disperazione che si sdraiò sulla sabbia puntandosi il fucile alla gola per farsi saltare la testa.

Aveva già fissata una cordicella al grilletto e stava per far partire il colpo, quando fu sorpreso dai marinai, furibondi di essere stati così stupidamente ingannati.

Lo cercavano per sfogare sul disgraziato capitano la loro rabbia, e l’avrebbero forse accoppato a pugni e a calci, se questi non si fosse alzato prontamente promettendo loro che li avrebbe aiutati a trarsi da quella difficile situazione.

Non ebbe in risposta che grossolane ingiurie e risa beffarde; pure a poco a poco finirono per calmarsi, dichiarandosi pronti a obbedirlo.

Avendo trovata una caverna abbastanza riparata, vi si stabilirono, poi intrapresero delle lunghe battute contro la selvaggina che non era scarsa. Vi erano porci selvatici, foche, capre, abbandonate certo da qualche baleniere e molti uccelli. Fortunatamente avevano abbondanti munizioni.

Non vi erano alberi nell’isola, nondimeno riuscirono a scoprire della torba e anche a procurarsi del fuoco mettendo sulla canna di un fucile della corda sfilacciata.

Al sopraggiungere dell’inverno avevano viveri in abbondanza, coperte e vestiti di pelle di capra e di foca e anche una considerevole provvista di patate, avendo seminato quelle che per un caso provvidenziale avevano trovate fra le loro scarse provvigioni poste nella scialuppa prima di lasciare la nave.

La loro esistenza trascorreva così, se non troppo piacevole, almeno sopportabile, ma veniva turbata dalle frequenti liti che scoppiavano da parte dei marinai, i quali non avevano ancora perdonato al povero capitano di essersi lasciato ingannare così ingenuamente dagl’ingrati naufraghi.

Lo minacciavano spesso, si rifiutavano di obbedirlo, lo insultavano per un nonnulla e un giorno lo abbandonarono imbarcandosi nella scialuppa.

— Povero Barnard! — disse il signor López, che s’interessava assai di quel racconto. — E rimase solo?

— Per cinque mesi solamente, — riprese papà Pardo, — perchè una mattina, con sua grande sorpresa, rivide giungere la scialuppa coi quattro marinai.

Per un momento ebbe il timore che fossero tornati per ucciderlo, invece riapprodavano pentiti e vergognosi. Si gettarono ai suoi piedi chiedendogli perdono dei cattivi trattamenti che gli avevano fatto soffrire e dell’abbandono, dichiarandosi risoluti a non lasciarlo mai più.

— E dov’erano stati in tutto quel tempo? — chiese José.

— Su alcuni isolotti incontrati sulla loro rotta, vivendo miseramente con uova d’uccelli marini e granchi di mare.

Il pentimento di quei ruvidi marinai fu di breve durata. Divorati da un astio profondo, giunsero al punto di formare un complotto per assassinare il disgraziato capitano, se non che, al momento di trucidarlo, tre si rifiutarono e inorriditi di quanto avevano tramato, denunciarono il quarto, che era il più violento ed il più aggressivo.

— Dovevano appiccarlo, — disse José.

— No, — disse papà Pardo. — Invece gli fecero la grazia e lo relegarono in un isolotto vicino.

Non so precisamente, quanto rimanessero su quell’isola, ma molti anni di certo. So che stavano per morire di nostalgia e di disperazione quando finalmente vennero salvati da una baleniera inglese, che i venti contrari e le bufere avevano spinto verso quelle spiaggie e che li rimpatriò.

— Se fosse toccata una sorte eguale anche ad Alonso! — esclamò Mariquita con angoscia.

— Il signor Gutiérrez ha con sè dei marinai fedeli, che lo amano come un fratello, — disse papà Pardo. — Io li conosco tutti e so quanto sono bravi ed obbedienti.

— Se avesse naufragato sull’isola degli Stati, non si troverebbe in mezzo all’abbondanza, — disse il signor López. — In quella terra freddissima non vi sono nè capre, nè porci selvatici, come ne ha trovati il capitano Barnard a New Island.

— Le foche abbondano in quei paraggi, signore, — rispose Pardo, — ed i pinguini vi sono a milioni. È vero che la carne nera ed oleosa delle foche e quella rancida dei pinguini, non è molto appetitosa, pure basta per non morire di fame. Io sarei più contento se la Rosita avesse fatto naufragio sull’isola degli Stati, piuttosto che sulle coste della Terra del Fuoco. Almeno là non vi sono selvaggi e non si corre il pericolo di venire divorati.

Orsù; non vi disperate, signora Mariquita. O sull’una o sull’altra terra, noi troveremo certamente il vostro fidanzato. —

La giovane rispose con un lungo sospiro. Il suo fidanzato!... Essi non sapevano che ormai, anche ritrovandolo, per lei era egualmente perduto.

CAPITOLO XIV.

Lo stregone.

Per cinque giorni la Quiqua continuò a scendere verso il Sud, esplorando le coste di quella terra selvaggia, affrontando l’impeto delle onde, le quali non avevano cessato di assalirla con estrema violenza montando perfino a bordo.

In tutto quel tempo il cielo si era mantenuto costantemente coperto di minacciosi nuvoloni, senza che mai un raggio di sole si fosse mostrato.

Si direbbe che quei tristi paraggi non siano affatto amati dall’astro diurno o che le nebbie, gelose, non gli permettano di spingere la sua luce dorata fino su quelle spiaggie maledette, condannate a non ricevere che colpi di vento, rovesci d’acqua e nevicate abbondantissime per sette mesi dell’anno.

La costa si era mostrata sempre deserta ed aspra. Sempre rupi immense che cadevano a picco sul mare, rendendo impossibile l’approdo; più oltre, verso l’interno, montagne e montagne, coperte di vapori. Di rado qualche fiume, il quale però sboccava nell’oceano con tanta furia da non acconsentire alle scialuppe di rimontarlo e la cui corrente formava presso le spiaggie dei gorghi pericolosissimi, battagliando aspramente colle acque del mare.

Nessuna traccia di naufragio era stata scorta su quel tratto di spiaggia, tratto relativamente breve, perchè la nave baleniera, contrariata dai venti e malmenata dai marosi, non aveva potuto avanzare verso il sud che per duecento miglia e dopo lunghe e faticose manovre che avevano affaticato molto l’intero equipaggio.

Durante quei cinque giorni Piotre aveva abbandonato di rado la coperta, contentandosi di brevi riposi. Aveva esplorato attentamente la costa, accostando la nave, quando scorgeva qualche apertura nella parete granitica, sufficiente a lasciar passare una baleniera; ma tutte le mattine e tutte le sere, a Mariquita che lo interrogava timidamente, aveva sempre date le medesime risposte.

— Ancora nulla: sarà più al sud. —

La mattina del sesto giorno, dopo una notte cattivissima, che aveva molto affaticato l’equipaggio pei furiosi colpi di vento che avevano sorpresa più volte la Quiqua, minacciando di sbatterla contro quelle temute coste, essi giungevano dinanzi alla baia di S. Sebastiano, dove contavano di fare una breve fermata per mettersi in relazione cogli indigeni, se ne avessero trovati.

Quella baia, una delle pochissime che si trovano sulla costa orientale della Terra del Fuoco, si apre quasi ad un terzo di distanza fra il capo dell’Espirito Santo, che segna l’entrata dello stretto di Magellano, e quello di Maire che separa la suddetta terra dall’isola degli Stati.

È molto aperta, male riparata dalle onde dell’Atlantico, tuttavia vi si può trovare qualche ancoraggio, e poi in quel luogo la spiaggia è accessibile, non essendo tagliata a picco.

— Sperate di trovare dei selvaggi? — aveva chiesto il signor López al baleniere, il quale terminava di dare gli ordini opportuni per entrare nella baia.

— Tutte le volte che mi sono recato qui a rinnovare le mie provviste d’acqua e di legna, ne ho trovati sempre — aveva risposto Piotre.

— Come ci accoglieranno?

— Certo con molta diffidenza.

— Avremo da temere da parte loro?

— Le tribù che occupano quella baia sono bellicose e anche crudeli, signor López. Sono indi Ona, i giganti della razza fuegiana, che per statura non la cedono ai patagoni, se pure non li superano, cosa assai strana, perchè voi sapete che tutti gli altri abitanti dell’isola sono invece assai piccoli.

— Sì, generalmente arrivano appena a un metro e mezzo.

— Mentre invece io ho veduto degli Ona alti un metro e novantatre.

— Derivati probabilmente da un incrocio di patagoni e di fuegini, — rispose il signor López.

— Eppure le due razze, quantunque separate da uno stretto che in certi luoghi si può attraversare con poche bracciate, non hanno rapporti, — disse Piotre. — Io, per esempio, non ho mai veduto un fuegino sulle coste patagoni; come non ho mai scoperto un patagone su quelle della Terra del Fuoco.

— Questo è vero, Piotre. Oggidì le due razze cercano di evitarsi, come se provassero un invincibile disgusto a trovarsi vicine; nondimeno un tempo devono aver avuto frequenti rapporti, anzi sembra che abbiano appartenuto ad una medesima famiglia.

— E perchè quella differenza di statura? I patagoni, giganteschi, robustissimi, con petti ampii, forme erculee, e questi fuegini, eccettuati gli Ona, piccoli, bruttissimi, magri, più neri di pelle e rachitici.

— Questione di clima e di alimentazione, signor Piotre. Il patagone vive nell’abbondanza, avendo cavalli in quantità, guanachi in gran numero, struzzi, viscacce ecc., tende comode che lo riparano dai freddi e dai venti, vesti che lo difendono dai rigori dell’inverno; il fuegino invece trema di freddo otto mesi dell’anno e soffre la fame tutti i dodici.

Questa è una razza in decadenza che va perdendo l’antica robustezza e anche l’antica civiltà, perchè non vi è dubbio che anche i fuegini discendano dal potente impero degli Incas, avendo una lingua ricchissima al pari di quella dei peruviani, che ha più di 30.000 vocaboli, mentre i popoli primitivi, veramente selvaggi, l’hanno sempre avuta poverissima.

Ah! avevate ragione, Piotre, di dirmi che qui troveremo dei selvaggi. Non vedete sulla costa, in mezzo a quei gruppi di faggi antartici, alzarsi delle colonne di fumo?

— E vedo anche dei punti neri staccarsi dalla costa, — rispose il baleniere. —

Devono essere canotti che pescano o che cercano di venirci incontro.

Andiamo a cercare un ancoraggio; poi vedremo d’interrogare quegl’indigeni.

— Conoscete la loro lingua?

— Abbastanza per farmi intendere e anche papà Pardo ne sa qualche cosa. —

La baleniera, dopo aver girato un capo assai roccioso che spingeva la sua cima granitica a trecento metri di altezza, e dopo aver evitata una scogliera contro cui le onde dell’Atlantico si rompevano con fracasso assordante, facendo spumeggiare le acque per parecchie miglia intorno, si era inoltrata nella baia.

Colà, dietro le scogliere che la proteggevano dalla furia dell’oceano, regnava una certa calma. L’ondulazione non era più violenta ed i cavalloni, infranti da quegli ostacoli, si spiegavano tranquilli, rumoreggiando verso la costa.

Quantunque tutto intorno vi fossero aspre montagne, coperte già da un folto strato di neve, alla loro base si scorgeva una rigogliosa vegetazione, ancora verdeggiante, la quale si spingeva fino alla riva che era coperta dovunque da cozze, piante fitte, attaccate ad una specie di bisso, pendenti sul mare, che sono eccellenti cotte e si possono mangiare anche crude.

Più in alto si vedevano gruppi di alberetti somiglianti un po’ alle palme di berberis e al nostro bosso ed il cui legno, anche raccolto verde, brucia rapidamente; ed anche gruppi di mirti somiglianti ai corbezzoli.

Poi la linea degli imponenti faggi antartici, coi loro tronchi enormi che sbalzavano trenta e anche quaranta metri, stendendo in tutte le direzioni i loro robusti rami carichi di ammassi di foglie verdi cupe.

Anche nella baia la vegetazione era fitta.

Tutto il fondo era cosparso di quelle lunghissime alghe chiamate Kelp, che misurano talvolta perfino duecento e anche trecento metri di lunghezza, vere praterie marine, dove sfilavano a battaglioni i sebastes dalle scagliette coralline, le belle notothenie dalle grosse squame dorate e dove riposavano placidamente le enormi patelle magellaniche che forniscono ai fuegini un cibo appetitoso e abbondante e delle cui coppe eleganti, che hanno un diametro considerevole, si servono come di bicchieri.

La Quiqua aveva appena gettata l’àncora, quando fu avvertito un canotto il quale si dirigeva con notevole rapidità verso di essa.

Era abbastanza ben fatto, per essere stato costruito da selvaggi privi di arnesi taglienti, e forniti soltanto di meschini coltelli formati da una conchiglia legata ad un pezzo di legno, essendo a loro sconosciuto l’uso del ferro.

I fuegini, cosa curiosissima, invece di scavare i loro canotti nel tronco d’un albero, come fanno tutti i selvaggi dell’oceano Pacifico e anche dell’Africa, adoperano, al pari delle pelli-rosse del Canadà e dei Grandi Laghi dell’America inglese, la scorza d’una specie di betulla che staccano tutta intera con molta abilità e che mantengono aperta mediante alcune tavole. Alle due estremità aggiungono due punte di legno, che non mancano talvolta d’una certa eleganza e turano poi accuratamente le fessure con dell’argilla mescolata ad una sostanza viscida che è assolutamente insolubile.

Si servono di corte pagaie per remare e nel centro portano sempre dei grossi ciottoli su uno strato di terra per tenervi acceso il fuoco, avendo sempre bisogno di riscaldarsi con quel clima tanto freddo.

Con quelle barchette percorrono i fiumi, i canali interni e anche le baie; non osano invece arrischiarsi al largo, sapendo bene che non potrebbero resistere agli urti di quel mare sempre irrequieto.

Anche quando vogliono portarsi da un luogo all’altro, sia pure costiero, piuttosto di affrontare le onde preferiscono smontare i loro canotti e poi ricostruirli ed incatramarli di nuovo.

Il canotto che s’avanzava verso la Quiqua era montato da quattro indigeni di statura altissima e d’una bruttezza assolutamente spaventosa. Avevano la pelle oscura, color della corteccia delle castagne, la fronte bassa e stretta, gli zigomi assai sporgenti, gli occhi piccoli, mentre la bocca era larghissima con labbra assai carnose, il naso lungo, colle narici aperte, e la capigliatura lunga, ruvida, incolta e grondante d’olio di foca. Quantunque di statura così elevata avevano le spalle incurvate, il petto poco ampio e che mostrava le costole e le membra magrissime, che facevano l’effetto di bastoni coperti di cuoio.

Sebbene il vento fosse freddissimo e la neve altissima sulle montagne, quei disgraziati non avevano per vesti che una misera pelle di guanaco gettata sulle spalle e che non li riparava al di sotto della cintura, e sul dinanzi un pezzo di pelle di pinguino.

Eppure quei miserabili, che dovevano tremare di freddo per la maggior parte dell’anno, mostravano degli istinti di civetteria! Ed infatti avevano i corpi striati di righe nere su fondo bianco, colori ottenuti con una decozione di carbone o l’infusione di conchiglie calcinate e ridotte in polvere, ed ai polsi portavano braccialetti formati con denti di pesce e sul petto collane di ossicini, probabilmente falangi di dita umane.

— Sono orribili! — esclamò Mariquita, che li osservava con una viva curiosità. — Non credevo che fossero così brutti.

— E quelli sono i più bei rappresentanti della razza fuegina, — disse il signor López. — Se tu vedessi gli Yacana od i Pecherais che troveremo più al sud, ti spaventeresti.

— E come sono sporchi! Devono puzzare come le bestie selvagge.

— Come le volpi, — disse papà Pardo. — Se saliranno a bordo ci appesteranno. Eppure guardate come sono ben pelati! Non si scorge la menoma peluria, nè sui loro volti, nè sui loro corpi. Qui i barbieri non farebbero fortuna.

— Hanno l’abitudine di strapparseli, è vero, papà Pardo? — chiese il signor López.

— Sì, e quel che è peggio si è che non possono vedere nemmeno gli altri barbuti. Si ricorda che un povero missionario, che era sbarcato su quest’isola per predicare la fede di Cristo e che per sua disgrazia era ben fornito di barba, fu preso e pelato vivo.

— Con quanto suo piacere, si può immaginare, — disse il signor López.

— E fortunato lui che non l’abbiano mangiato.

— Li hai mai veduti mangiare carne cruda?

— Sì signore, una volta, al capo di S. Diego. C’era stata battaglia tra due tribù nemiche ed i vincitori impadronitisi dei nemici rimasti morti sul campo li divorarono sotto i miei occhi.

— Allo spiedo?

— Crudi, signore, però non divorano interamente i loro nemici. Gli uomini mangiano le gambe, le donne le braccia ed il petto, il resto lo gettano via. Eccoli qui quei galantuomini! Sentite che puzzo di volpe vecchia che tramandano! —

Il canotto era giunto presso la nave, fermandosi ad una quindicina di passi.

I quattro selvaggi erano tutti armati di fiocine colla punta d’osso e sulle traverse della scialuppa si vedevano delle clave, dei pugnali, colla punta di pelle e degli archi lunghi sessanta o settanta centimetri, colle corde formate di tendini d’animali e con freccie di mezzo metro, dalle punte di ossidiana, abbastanza acute per produrre delle ferite anche mortali. Vedendo che i balenieri non avevano armi in mano, deposero le loro fiocine e si accostarono alla scala che Piotre aveva fatto abbassare.

— Volete farli salire? — chiese Mariquita.

— Uno solo, — rispose il baleniere. — Questi selvaggi sono traditori come lo erano i maori della Nuova Zelanda, vent’anni or sono.

— Volete interrogarli sul naufragio della Rosita?

— Forse potrebbero sapere qualche cosa. Papà Pardo, senza che se ne accorgano, fate portare alcuni tromboni in coperta. —

Si accostò alla cima della scala e fece segno ai selvaggi di accostare il canotto.

Quando furono presso la nave, si rivolse al più alto dei quattro, che era anche il più anziano e che indossava un mantello di pelle di guanaco più ampio degli altri, e scambiò con lui alcune parole.

Era un invito a salire a bordo con promessa d’una larga distribuzione di viveri. Il fuegino parve dapprima poco disposto ad obbedire, poi, dopo un breve consiglio coi compagni, si decise a salire la scala, portando con sè la sua fiocina.

Puzzava come una vera volpe e tramandava anche un orribile fetore d’olio di pesce rancido, avendo l’abitudine quegli isolani di ungersi, forse perchè credono di sentire meno, così unti, i morsi del freddissimo vento del sud.

Quell’uomo non era un vero guerriero, bensì un yecamush, specie di medico e di stregone ad un tempo, carica poco apprezzata da quei selvaggi, i quali anzi sovente li maltrattano quando non riescono a placare i furori di Yaccy-ma, una specie di spirito malvagio che si raffigurano nero e grandissimo e che ha la facoltà di scatenare i venti e le tempeste. Piotre lo fece sedere su una cassa e gli fece portare un cesto contenente del lardo, della carne salata e dei biscotti avariati, mentre papà Pardo gettava altri viveri agli uomini rimasti nella scialuppa.

Lo stregone che forse mai si era trovato dinanzi a tanta abbondanza, e che doveva aver sofferto dei lunghi digiuni, a giudicarlo dalla magrezza spaventosa del suo corpo, si era gettato sulla cesta coll’avidità d’una belva feroce, divorando affannosamente. La sua bocca era già piena da scoppiare, ma egli si sforzava ancora a cacciarvi dentro pezzi di lardo e di carne, come se avesse avuto paura di non avere tempo sufficiente per finir tutto.

Bastarono dieci minuti per far sparire ogni cosa, sei o sette chilogrammi di commestibili. Il suo ventre era diventato così gonfio che pareva un otre pronto a scoppiare.

— Un australiano non avrebbe fatto di più, — disse il signor López. — Che stomaco! E scommetterei che questo diavolo d’uomo sarebbe capace di ricominciare! —

Piotre intanto, dopo una breve assenza, era tornato in coperta, tenendo in mano parecchie fila di perle azzurre e rosse che fece vedere allo stregone. Questi aveva subito fatto un gesto come per afferrarle; il baleniere si era tirato invece sollecitamente indietro, dicendogli in lingua Ona:

— Sì, queste saranno tue, se risponderai alle mie domande.

— L’uomo bianco può interrogarmi, — rispose lo stregone. — Ti avverto prima che non mi lascierò ingannare e che gli Ona non hanno paura degli stranieri. Che cosa vuoi?

— Da dove viene la tua tribù?

— Dalle regioni del Sud.

— Da quanto tempo siete giunti qui?

— Prima che Yaccy-ma facesse cadere sulle montagne la polvere bianca.

— Cioè prima dell’inverno, — disse papà Pardo che conosceva la lingua e che traduceva a Mariquita ed al signor López le risposte del selvaggio.

— Hai udito raccontare che un canotto grosso come questo e che aveva pure al pari di questo le ali, si sia perduto sulle coste meridionali? — chiese Piotre.

Lo stregone stette un momento silenzioso, guardando la nave da prora a poppa, poi disse:

— Sì, era come questo canotto, un po’ più piccolo.

— Dove si è spezzato? — chiese Piotre, corrugando la fronte.

— Lontano di qui, molto, dalla parte di dove vengono i ghiacci.

— È stato spinto verso terra dalla tempesta?

— Sì, sì, da onde gigantesche.

— La nave d’Alonso!— esclamò Mariquita, con uno scoppio di gioia immensa, dopo udita la traduzione di papà Pardo, — oh! padre mio! —

Piotre si era voltato verso la giovane col viso oscuro ed i denti stretti. Un lampo cupo balenava nei suoi occhi.

La guardò per alcuni istanti in silenzio, quasi ferocemente, pallido, fremente. Quel grido di gioia gli era sceso nel cuore, come un colpo di coltello.

— Tacete, — le disse brutalmente, frenando a malapena un gesto minaccioso. — Volete mettere in sospetto questo selvaggio? D’altronde, — aggiunse poi con un accento ironico, — non sappiamo ancora se quella nave apparteneva al vostro Alonso Gutiérrez. —

Mariquita era rimasta muta e confusa. Nell’esplosione improvvisa di gioia si era dimenticata per un momento che il naufrago per lei era perduto e che ella ormai non poteva appartenere che a Piotre.

— Avete ragione, — disse a mezza voce, soffocando un singhiozzo che le saliva alla gola. — Non sappiamo ancora se si tratta del signor Gutiérrez. —

Papà Pardo aveva guardato José e poi il signor López, crollando ripetutamente la testa e tirando un sospirone. Aveva cominciato a capire che qualche cosa doveva essere accaduto nella casa di Piotre, la sera dell’abboccamento che aveva preceduto la partenza della Quiqua e che qualche patto gravissimo doveva essere stato concluso fra la giovane ed il baleniere. Il signor López invece, tutto occupato a guardare il selvaggio il cui tipo lo interessava assai, non pareva che si fosse accorto di nulla.

— Che cosa è accaduto di quel grande canotto? — aveva continuato Piotre, dopo qualche minuto, rivolgendosi allo stregone.

— Si è arenato in mezzo alle scogliere e così solidamente da non poter essere più rimesso a galla. Pesava tanto che due tribù non sarebbero state capaci di strapparlo da quelle rocce.

— Quanti uomini lo montavano? —

Il selvaggio si guardò le dita, poi i piedi, poi i marinai che lo circondavano, quindi scosse la testa, come se non fosse capace di fare il conto, troppo difficile di certo pel suo cervello.

— Non so, molti.

— Sono stati mangiati?

— Perchè vuoi che noi mangiamo gli uomini bianchi? — rispose, mostrandosi quasi offeso.

— Forse che non divorate più i naufraghi? — chiese Piotre, ironicamente.

— Sono troppo amari e troppo salati, — rispose candidamente lo stregone. — Preferiamo la carne dei nostri che somiglia più a quella dei pesci.

— Già, perchè è impregnata d’olio di foca e puzza di più, — disse papà Pardo, ridendo.

— Allora sono ancora vivi, — disse Piotre.

Il selvaggio guardò il baleniere con una cert’aria imbarazzata, quindi rispose:

— Non lo so...

— Non li hai più veduti tu?

— Io no; vi è nella nostra tribù un uomo che potrebbe dirtelo, avendo assistito al naufragio di quel grosso canotto.

— Come! — esclamò Piotre, stupito. — Non l’hai veduto tu rompersi sulla spiaggia?

— Io no.

— E come hai potuto dirmi che quel canotto era un po’ più piccolo del mio se non l’hai veduto? Tu cerchi d’ingannarmi.

— M’immagino che dovesse essere più piccolo del tuo.

— Allora tu non eri presente?

— Io cacciavo i leoni marini su un’altra costa, alla foce d’un fiume.

— Sicchè non hai incontrato quegli uomini?

— Mai.

— E non hai veduto il grosso canotto nemmeno dopo che si era spezzato?

— No, no, — rispose il selvaggio: con una certa vivacità.

Piotre guardò papà Pardo.

— Che cosa ne dite di queste risposte confuse? — gli disse. — Che quest’uomo non abbia assistito al naufragio di quella nave, che potrebbe essere la Rosita, o che cerchi d’ingannarci per carpirmi le perle? Prima dice d’aver veduto la baleniera e afferma che vi erano molti uomini a bordo, poi di non aver assistito all’arenamento.

— Uhm! Fidatevi di queste canaglie, signor Piotre, — rispose il vecchio. — Tuttavia io credo che qualche cosa di vero ci possa essere in questa storia.

Lasciate fare a me.

Yecamush, — disse, volgendosi verso il selvaggio, — avresti per caso la lingua doppia come quel brutto Yaccy-ma che scatena le bufere? Tu non parli chiaro, amico mio come quel buon Yerri Yuppon1. L’hai veduta quella nave, sì o no? Se non ti spieghi meglio, invece delle perle ti scaricheremo in mezzo al ventre una di quelle armi che tuonano e lanceremo anche a fondo la tua barca.

— Io non l’ho mai veduto, — rispose lo stregone, senza mostrare alcun timore per quella minaccia.

— Chi è che ti ha raccontato quella storia?

— Un cacciatore di guanachi.

— Dove si trova?

— Presso la mia tribù.

— Egli ha assistito al naufragio del grosso canotto?

— Sì.

— Dunque saprà anche che cosa è accaduto agli uomini che lo montavano.

— Certo.

— Puoi condurlo qui quel cacciatore?

— Ha paura degli uomini bianchi e non verrà.

— Perchè ha paura?

— Io non lo so.

— Forse che ha mangiato anche lui un pezzo di quei naufraghi?

— Takà mangia solamente la carne dei guanachi e dei pesci.

— Dove potremo vederlo?

— Stamani stava pescando laggiù all’estremità della baia coi suoi cani, e vi sarà ancora.

— Vuoi condurci da lui? Se parla gli regaleremo un monile di perle ed un coltello e tu avrai pure altri regali.

— Non ho alcuna difficoltà a condurvi da lui, ma non prendete con voi di quelle armi che lanciano il fuoco, altrimenti fuggirà.

— Quell’uomo deve avere la coscienza ben nera, — disse papà Pardo a Piotre. — Noi non saremo però così sciocchi da sbarcare senza armi fra questi traditori: che cosa intendete di fare?

— Di andarlo a cercare, — rispose il baleniere. — Ho la convinzione che quel cacciatore sappia molte cose intorno al naufragio di quella nave.

— Credete che si tratti veramente della Rosita? — chiese il signor López.

— Ne ho il sospetto.

— Non c’ingannerà questo selvaggio per attirarci in qualche agguato? Ha troppa premura di farci scendere a terra senz’armi.

— Lasceremo qui i nostri fucili, ed i nostri tromboni, ma ci armeremo di pistole, armi che questi selvaggi non conoscono e che a noi serviranno egualmente, — rispose il baleniere. — Ne ho parecchie nella mia cabina.

— Siete deciso di scendere a terra?

— Sì, signor López.

— Voglio venire anch’io, — disse Mariquita. — Non rifiutatemi questo favore, Piotre.

— Potreste esporvi a qualche grave pericolo, — rispose il baleniere. — Di questi uomini non ci si può fidare perchè sono traditori e cattivi.

— Con voi non avrò paura, Piotre. —

Il baleniere la guardò sorridendo, lieto forse che quella giovane apprezzasse la sua forza ed il suo coraggio e si sentisse completamente sicura a fianco di lui.

— Se ciò può farvi piacere, venite pure, Mariquita, — disse. — Credo che non oseranno tentare nulla contro di noi, colla nave che è così vicina. —

Quindi, volgendosi verso i suoi uomini, disse:

— Calate il gran canotto con sei marinai. Venite anche voi, papà Pardo?

— Sono ai vostri ordini.

— A voi, signor López, affido il comando della nave durante la nostra assenza. In caso di pericolo, sapete che cosa avrete da fare meglio d’ogni altro, avendo passato buona parte della vostra esistenza battagliando contro i pampas ed i patagoni.

— Contate su di me, Piotre, — rispose il vecchio esploratore. — Vegliate su Mariquita.

— Non temete, signore. Io non ho paura dei fuegini. —

Due minuti dopo il gran canotto veniva calato in mare dal tribordo e vi prendevano posto Piotre, Mariquita, papà Pardo e cinque marinai scelti fra i più robusti ed i più abili.

Prima d’imbarcarsi tutti avevano nascoste sotto le fascie di lana, un paio di pistole ed un coltello da caccia, non esclusa Mariquita, che era stata ben addestrata nel maneggio delle armi dal vecchio esploratore.

Lo stregone, dopo un po’ di esitanza, aveva accettato di salire sulla scialuppa, gridando ai compagni di precederlo verso il luogo ove doveva trovarsi il cacciatore di guanachi.

Il selvaggio però non si mostrava troppo tranquillo di trovarsi fra gli uomini bianchi, li guardava con una certa diffidenza anzi con un vivo timore, quantunque fosse convinto che erano disarmati.

Di quando in quando s’alzava per vedere se i suoi compagni si tenevano sempre a breve distanza e borbottava delle parole incomprensibili.

— Deve aver indosso la tremarella, — disse papà Pardo a Mariquita. — Ha paura di venire fatto prigioniero o che noi vendichiamo su di lui le bricconate che deve aver commesso e non devono essere poche di certo. Chissà quanti naufraghi ha divorato questo brutto antropofago.

— Che i marinai della Rosita siano stati massacrati? — chiese la giovane, con un brivido. — Se anche Alonso fosse stato ucciso? Dio mio!

— Forse il signor Gutiérrez no, signora, — rispose il vecchio. — Questi selvaggi, tutte le volte che hanno sorpresa una spedizione di uomini bianchi, ne hanno sempre risparmiato uno, il capo.

— E perchè?

— Non ve lo saprei dire, ma la cosa è esatta ed è stata osservata da molti.

— Sicchè tu credi...? — chiese Mariquita con ansietà.

— Che se anche l’equipaggio della Rosita fosse stato massacrato, il signor Alonso, nella sua qualità di comandante, sarebbe stato risparmiato. D’altronde, se questo stregone non ha mentito, fra poco sapremo qualche cosa sulla sorte toccata a quei disgraziati, purchè non si tratti di qualche altra nave, ciò che non sarebbe impossibile. —

Note

↑ Lo spirito benigno dei fuegini.

CAPITOLO XV.

Il tradimento.

La scialuppa, sempre preceduta dal piccolo canotto dei fuegini, in meno di venti minuti raggiunse l’estremità della baia di S. Sebastiano, fermandosi dinnanzi ad una costa che in quel luogo scendeva dolcemente verso il mare, permettendo lo sbarco.

Era tutta sparsa di muschi impregnati d’acqua, di cozze e di ammassi di conchiglie, disposte con un certo ordine, avendo quegli isolani l’abitudine di non rigettarle mai in mare dopo di averle vuotate, per timore che i bivalvi viventi ancora nell’acqua, possano accorgersi della sorte che loro spetterebbe se venissero presi, e fuggano lontani dalle coste.

Più sopra, sul pendio, vi erano abbondanti cespugli di berberis, gruppi di felci dal tronco piuttosto grosso e macchioni di faggi e di drimys, in mezzo ai quali si vedevano volteggiare, gridando a piena gola, dei pappagalli fuegini e dei troglodytes che hanno un gorgheggio curiosissimo e assai gradevole.

Non si scorgeva invece nessuna capanna, nè alcuna colonna di fumo che indicasse la vicinanza di qualche accampamento.

— E dov’è la tua tribù? — chiese Piotre, sbarcando.

— È accampata nei boschi, — rispose lo stregone. — Ha veduto il tuo grosso canotto entrare nella baia e si è allontanata dalla costa.

— Che cosa temeva?

— Non lo so, — rispose il selvaggio, alzando le spalle.

— E perchè tu, invece di fuggire come gli altri, ci sei venuto incontro?

— Io sono un yecamush e non devo temer nulla, possedendo dei malefizii anche contro gli uomini bianchi e potendo scatenare a mio piacimento gli uragani come Yaccy-ma.

— E dov’è questo cacciatore?

— Lo troveremo subito; pescava dietro quegli scogli. —

Lo stregone si diresse verso un promontorio di alte rocce, il quale pareva che formasse un piccolo seno, difeso da un numero considerevole di scoglietti disseminati dinanzi alla spiaggia. Vi dovevano essere degli uomini occupati a pescare udendosi di quando in quando delle grida umane e dei latrati.

Piotre, dopo d’aver lasciato due uomini a guardia della scialuppa, aveva seguito l’yecamush con Mariquita e gli altri.

Superate le rocce, videro infatti sette od otto selvaggi immersi nell’acqua fino alle anche e armati di bastoni coi quali frugavano il fondo del piccolo seno.

Erano accompagnati da una dozzina di cani somiglianti alle volpi, di statura piccola, col muso assai appuntito, le orecchie aguzze e diritte, il pelame assai folto di color rossobruno e di una magrezza spaventosa.

Quei cani sono certamente i più disgraziati della razza, sempre affamati, sempre maltrattati e destinati a finire, presto o tardi, nel ventre dei loro padroni, i quali non sanno ricompensare altrimenti i servizi che essi rendono a loro. Dotati d’un meraviglioso istinto, aiutano i selvaggi, non solo alla caccia, ma soprattutto alla pesca, essendo il pesce abbondantissimo in tutte le baie e nei seni della Terra del Fuoco. I cani si gettano in acqua e, con una serie di manovre abilissime, spingono i pesci verso la spiaggia, dove i loro padroni, che non conoscono l’uso delle reti, li uccidono a colpi di bastone o di freccie o di giavellotti.

Non occorre dire che in quelle pesche i cani non hanno molto da guadagnare; i loro padroni non pensano a lasciare a quei poveri animali nemmeno le pinne e neanche le interiora. Per buona sorte sanno pescare anche per loro conto, senza l’aiuto dell’uomo, avendo l’intuito delle lontre e delle foche e si vedono errare sempre sulle spiaggie, divorando le stelle di mare, che le onde respingono, od i ricci che in quelle regioni sono d’una grossezza mostruosa, due e anche tre volte più degli aranci e pieni come meloni, ed in mancanza d’altro, si pascono d’una erba amara che cresce in abbondanza sugli scogli.

I pescatori avevano già fatto delle buone pesche. Ricci, dorate, merluzzi australi e delle fistularie dalla pelle rosso bruna e delle alciope dagli occhi enormi, giacevano sulla spiaggia, trafitti da freccie o da colpi di lancia. Vedendo comparire quel drappello d’uomini bianchi, i selvaggi avevano subito raggiunta la riva, afferrando le loro lancie dalla punta d’osso e mettendosi sulla difensiva. Ad un segno dello stregone avevano abbassate le armi, senza abbandonarle. Erano tutti di statura alta, completamente nudi, non ostante il vento freddissimo che soffiava ed avevano il volto e parte del petto dipinto in bianco ed in nero a righe ed a macchie, ed i capelli tinti di rosso e raccolti intorno ad una mandibola di delfino che serviva loro anche per pettinarsi.

— Vi è il cacciatore di guanachi fra di loro? — chiese Piotre allo stregone.

— No, — rispose questi, — sarà tornato alla sua capanna.

— Eppure tu mi avevi detto che poco fa era qui, — disse Piotre, assai contrariato.

Lo stregone raggiunse i pescatori e scambiò con loro alcune parole che nè il baleniere nè papà Pardo poterono comprendere.

I selvaggi raccolsero i loro pesci ponendoli dentro una pelle di guanaco, chiamarono i cani, quindi s’allontanarono con una certa velocità, dirigendosi verso i boschi.

— Perchè se ne vanno? — chiese Piotre allo stregone, il quale era tornato.

— Ho detto loro di avvertire Takà del vostro arrivo e di aspettarvi.

— Andremo a trovarlo?

— Sì.

— Dove si trova la sua capanna?

— In mezzo al bosco. —

Piotre guardò papà Pardo.

— Potremo fidarci di quest’uomo? — gli chiese.

— Lo terremo in ostaggio fino a cosa finita, — rispose il vecchio. — È bensì vero che questi stregoni non godono molta considerazione fra i loro compatriotti, tuttavia sono temuti e non ce lo lasceranno in mano.

Al primo indizio d’un tradimento, lo manderemo a trovare Yaccy-ma.

— Che non ci tendano un agguato in mezzo ai boschi? C’è poco da fidarsi di questi isolani.

— Siamo armati, capitano, e sapremo difenderci. E poi, pensate che forse quel cacciatore può darci notizie importanti sul naufragio della Rosita e risparmiarci delle lunghe ricerche.

— Andiamo, — disse Piotre allo stregone, il quale aspettava i suoi ordini. — Ti avverto intanto che noi non ti lasceremo libero finchè non avremo fatto ritorno alla spiaggia e che la tua vita risponderà della lealtà dei tuoi compatriotti.

— Io sono amico degli uomini bianchi, — si limitò a dire il selvaggio.

Il drappello si mise a salire la spiaggia, la quale montava dolcemente fino alle basi d’una catena di montagne nevose e orribilmente dirupate e divise da precipizi profondissimi.

Piotre camminava a fianco dello stregone, poi seguivano Mariquita e papà Pardo, quindi i tre marinai, essendo rimasti gli altri a guardia della scialuppa. Ai piccoli e contorti alberi chiamati corteccia di Winter e alle felci, cominciavano a succedere i grossi faggi antartici, i quali tendevano a diventare sempre più numerosi e più folti, mescolandosi a lauri ed a fucsie ed avvolti fra una vera rete di piante parassite. I vimini formavano qua e là dei boschetti impenetrabili.

Tutte quelle piante erano cariche di barbagianni che non si prendevano la briga di fuggire all’avvicinarsi degli uomini, contentandosi di fissarli insistentemente coi loro occhiacci gialli. Ve ne sono tanti sulla Terra del Fuoco e sulle isole che la circondano, da contarne delle migliaia e migliaia su poche centinaia di metri quadrati di terra.

Cosa davvero strana, quella terra così fredda, e così orrida, sembra il paradiso degli uccelli, perchè ve ne sono di tutte le specie ed in quantità prodigiose.

Il selvaggio non pareva facesse attenzione a quei volatili. Raccoglieva invece premurosamente, quando ne trovava, certe specie di funghi che crescevano sul tronco dei faggi, di forma rotonda, come una palla, di colore giallastro, tutti traforati come un alveare e spugnosi, crittogama assai ricercata da quegli abitanti e che preferiscono anche all’olio rancido delle foche o al grasso nauseante delle balene, di cui sono ghiottissimi. Piotre non lo perdeva di vista un solo momento e lo sorvegliava sospettosamente, quantunque quella boscaglia sembrasse deserta. Anche papà Pardo apriva bene gli occhi e si teneva accanto Mariquita, perchè non si discostasse. Nè l’uno nè l’altro, conoscendo con quali bricconi avevano da fare, ladri, traditori e antropofaghi, non erano del tutto tranquilli e pensavano insistentemente alla partenza precipitosa dei pescatori.

Avevano percorso quasi un miglio, inoltrandosi nella foresta che diventava sempre più fitta, quando lo stregone si fermò, dicendo a Piotre:

— Il cacciatore di guanachi è vicino.

— L’hai veduto? — chiese il baleniere.

— La sua casa si trova qui.

— Sarà stato avvertito del nostro arrivo?

— Ci aspetta, ne sono certo. —

In mezzo ad un folto gruppo di piante grondanti di umidità, si vedeva alzarsi lentamente del fumo, e ciò indicava la vicinanza di qualche capanna, se non di un accampamento. Lo stregone, servendosi di una scure di pietra, si aprì il passo fra quei vegetali e giunse in mezzo ad una piccola aia su cui s’alzava una meschina abitazione.

Gl’isolani della Terra del Fuoco, a qualunque tribù appartengano, non si sono mai curati di costruirsi delle vere capanne che li riparino dalle nevi e dai venti freddissimi che soffiano senza tregua sulla loro isola, e tanto meno dalle pioggie.

Le loro abitazioni si compongono di schegge di legno e di rami ammassati alla buona, in modo da formare una specie di pan di zucchero, per lo più con una vasta apertura da una parte che ha press’a poco un ottavo della circonferenza dell’intero abituro e che serve di porta e di sfogo al fumo, non conoscendosi là i camini.

L’aria vi circola così liberamente, ed il vento e il freddo vi entrano con tutto il loro comodo. Il tetto poi è tanto male costruito che la pioggia filtra da tutte le parti nell’interno dell’abitazione.

I mobili sono affatto ignoti. Tutto l’arredo si riduce ad un po’ di graminacee che servono da letto, e qualche canestro per conservare delle bacche somiglianti al corbezzolo che si raccolgono sui terreni torbosi, ed a qualche sacco di pelle di foca contenente il pesce secco.

In alto una vescica piena d’acqua che serve da otre e che ha un buco che permette a ogni membro della famiglia di accostarvi le labbra per dissetarsi.

La capanna del cacciatore di guanachi conteneva anche delle pelli d’animali, tese a seccare e delle armi consistenti in archi, in freccie, lancie dalla punta d’osso e coltelli fatti con conchiglie taglienti.

Il proprietario, forse già avvertito dai pescatori, vi era già e si scaldava attorno ad alcuni rami di berberis, rosicchiando un pezzo di pesce secco che non si era preso la briga di cucinare.

Pareva che appartenesse ad un’altra razza, non avendo la statura nè i lineamenti degli Ona, che sono considerati come i più belli abitanti della Terra del Fuoco.

Era alto appena cinque piedi ed aveva le membra magrissime, intisichite, la fronte bassissima ad angolo ottuso, coi capelli grossi, ruvidi e neri, quasi uniti alle sopracciglia, gli occhi piccini e vivacissimi, animati da un lampo sinistro, il naso camuso e la faccia larga con varii peli irsuti e grossi come setole, il collo corto, le spalle incurvate e le membra sproporzionate. Il suo aspetto, oltre ad essere ributtante, aveva un’espressione tale di ferocia, da incutere paura, espressione che si è già osservata in quasi tutti i selvaggi delle coste meridionali e occidentali della Terra del Fuoco.

Vedendo entrare il drappello, i suoi sguardi si erano subito fissati su Mariquita, guardandola con particolare attenzione. Ammirava i bellissimi lineamenti della giovane araucana o pensava forse alla delicatezza di quelle carni, da antropofago ghiottone e raffinato?...

Lo stregone fece sedere i balenieri attorno al fuoco, poi disse al cacciatore alcune parole in una lingua sconosciuta a Piotre e anche a papà Pardo.

Il selvaggio lo aveva ascoltato in silenzio, limitandosi a crollare la testa; papà Pardo che lo osservava, aveva notato, non senza inquietudine, l’espressione bestiale e feroce che aveva assunto la sua faccia.

— Badate! Stiamo in guardia, — sussurrò ai tre marinai. — Qualcuno si ponga fuori della capanna e sorvegli i dintorni. Non ci vedo chiaro in questo affare. —

Piotre aveva subito rivolto la parola al cacciatore, il quale pareva che aspettasse di venire interrogato.

— Sei tu che hai assistito al naufragio d’una nave? — aveva chiesto.

— Sì, — aveva risposto il cacciatore, nella lingua degli Ona.

— Sapresti descrivermi quel gran canotto?

— Aveva due alberi ed era pitturato di nero con due larghe striscie bianche.

— Sei certo di non ingannarti?

— L’ho veduto come ora vedo te.

— È la Rosita! — esclamò Piotre, volgendosi verso Mariquita con vivacità. — L’yecamush non ci aveva ingannati.

— La Rosita! — gridò la giovane, comprimendosi con le mani il petto, come se avesse voluto frenare i battiti impetuosi del suo cuore. — La Rosita! —

Vedendola impallidire, come se fosse lì lì per svenire, Piotre aggrottò la fronte.

— Che cosa avete, ora? — chiese, quasi brutalmente.

— Perdonatemi, Piotre, — balbettò la povera araucana.

— Non date alcun segno di debolezza dinanzi a questi selvaggi: ne va di mezzo la vita di tutti...

— Continuate, Piotre... interrogatelo... purchè non c’inganni.

— Non conosco che la Rosita che avesse due righe bianche, — disse il baleniere. — Ma avremo subito la certezza se si tratta veramente di quella, o di qualche baleniera delle Falkland. —

Si rivolse al cacciatore, che continuava a fissare Mariquita con una strana espressione, ma questi lo prevenne dicendogli in un cattivo spagnuolo.

— È la tua donna quella? —

Piotre lo guardò con stupore.

— Chi ti ha insegnato la nostra lingua? — chiese.

— Un uomo che apparteneva a quella nave, — rispose il selvaggio. — Il solo che sia stato risparmiato.

— Come era quell’uomo?

— Più piccolo di te, più magro, colla pelle assai bruna, la barba e gli occhi neri ed una cicatrice sulla fronte. —

Due grida erano sfuggite a papà Pardo ed al baleniere:

— Alonso!...

— Vive ancora! — gridò Mariquita.

— Zitta! — disse Piotre. — Lasciate che lo interroghi. Quando si è perduta quella nave?

— Cominciavano allora a cadere le prime nevi, — rispose il selvaggio.

— Dove si è spezzata?

— Su una scogliera, dopo un violentissimo uragano durato tre giorni. Pareva che quel grosso canotto non governasse più.

— Quanti uomini la montavano?

— Non lo so.

— Si sono salvati tutti?

— No, uno solo, l’uomo dalla barba nera che è stato adottato dalla tribù.

— E gli altri? —

Il selvaggio guardò Piotre con aria imbarazzata, senza rispondere.

— Sono stati uccisi? — chiese il baleniere, con tono di minaccia.

— Non so nulla, perchè il giorno dopo partii per la caccia dei guanachi.

— Non li hai più veduti?

— Soltanto l’uomo dalla barba.

— Quelle canaglie li hanno divorati, ne sono certo, — disse papà Pardo. — Razza di furfanti! Noi li vendicheremo a tempo opportuno.

— Dimmi, — proseguì Piotre, — puoi tu assicurarmi che quell’uomo sia ancora vivo?

— Quando le nostre tribù adottano un naufrago, lo rispettano. Se lo uccidessero, Yaccy-ma si vendicherebbe crudelmente. Quell’uomo deve essere ancora vivo e lo ritroverai, — rispose il selvaggio.

— E se questo cacciatore mentisse? — chiese Mariquita, che frenava a stento le lagrime. — Se c’ingannasse?

— Verresti con noi? — chiese Piotre, volgendosi al selvaggio. — Se tu ci conduci là dove si è spezzata la nave, io ti darò dei regali finchè vorrai.

— Anche delle armi che tuonano? — chiese il cacciatore.

— Sì, anche delle armi.

— Non mi mangerai dopo?

— Gli uomini bianchi non divorano le persone.

— Oh! sì, è vero.

— Vuoi venire? —

Il selvaggio ebbe un’ultima esitazione, poi disse bruscamente, come se avesse preso una improvvisa risoluzione:

— Sì, ti condurrò là dove si è sfasciata la nave e ti mostrerò anche i rottami. —

Ad un tratto s’alzò e parve che tendesse gli orecchi. In quell’istante un grido era sfuggito a papà Pardo;

— L’yecamush è sparito!... —

Era proprio vero. Lo stregone, avendo notato che nessuno più faceva attenzione a lui, pian piano era scivolato attraverso uno squarcio della capanna, che prima non era stato osservato.

Piotre si era gettato dinanzi a Mariquita, armando precipitosamente le pistole, intuendo un tradimento.

— Se volete salvarvi, fuggite subito, — disse Pardo. — Gli Ona devono essersi accordati per trarci in un agguato.

— Come lo sapete voi? — chiese Piotre.

— Me n’ero accorto. —

Il cacciatore di guanachi intanto aveva staccato dal tetto della capanna una scure di pietra ed una lancia. Uscì rapidamente, seguito da Piotre, da Mariquita e dagli altri.

Tutti avevano armate le pistole e passati i coltelli nelle fascie, per essere più pronti a servirsene.

— Non temete, Mariquita, — disse Piotre. — Prima che arrivino a voi, bisognerà che passino sul mio corpo. Miserabili! Dovevo aspettarmi questo tradimento!

— Non ho paura, Piotre, — rispose la giovane, stringendo con mano sicura il calcio delle pistole.

— Sì, lo so, siete figlia d’una razza che non ha mai tremato. Stringetevi a noi altri e non sparate che a colpo sicuro.

Fortunatamente i fuegini hanno paura delle armi da fuoco. —

Al di fuori non si vedeva nessun indigeno, nè si udiva alcun rumore. Una folta nebbia, spinta dai venti che soffiavano sulle montagne, era improvvisamente calata, avvolgendo la foresta, fenomeno comunissimo, che si verifica parecchie volte anche nello stesso giorno, in quelle terre umidissime.

Avevano percorso appena una cinquantina di passi preceduti dal selvaggio, il quale si era avanzato con molta precauzione, guardando attentamente sotto le piante, quando in lontananza si udirono rimbombare quattro detonazioni, sparate una dietro l’altra e che si ripercossero nettamente sotto le folte vôlte dei faggi antartici.

— Signor Piotre! — esclamò papà Pardo, impallidendo. — Assalgono i marinai della scialuppa!

— Ah! canaglie! — gridò il baleniere. — Assassinano la mia gente! Accorriamo! —

Stavano per prendere la corsa, quando videro parecchi gruppi d’uomini irrompere fra i tronchi d’albero ed i cespugli, agitando furiosamente mazze di pietra e giavellotti.

Clamori assordanti e feroci, che parevano ululati di fiere in furore, ruppero bruscamente il profondo silenzio che regnava nella foresta.

Quanti erano gli assalitori? Molti senza dubbio, perchè ne sbucavano da tutte le parti, lanciando dardi e freccie. Piotre sparò contro i primi le sue pistole, facendone cadere al suolo due, poi afferrò fra le robuste braccia Mariquita, se la strinse al petto e si slanciò attraverso alla foresta a corsa sfrenata, urlando:

— Fuggite alla costa! —

In quel momento una nuova banda di selvaggi si era gettata fra lui ed i suoi uomini, dividendoli.

Per un momento ebbe l’idea di tornare indietro e di correre in aiuto dei suoi marinai, poi, udendo i colpi di pistola rintronare dall’altra parte della discesa, non si fermò, tanto più che udiva dietro di sè le urla dei selvaggi slanciatisi sulle sue traccie.

— Tenetevi stretta al mio collo, Mariquita! — gridò. — Li faremo correre!

— E papà Pardo? — chiese le giovane.

— Odo le grida dei nostri allontanarsi ed i loro spari diventare più fiochi. Scendono verso la spiaggia dal versante opposto. Li ritroveremo alla scialuppa.

— C’inseguono?

— Sì, vedo delle ombre agitarsi fra la nebbia. Sono ancora cariche le vostre pistole?

— Non le ho ancora sparate.

— Se guadagnano su di noi, fate fuoco. Io penso a correre. Tenetevi stretta e non temete! Ho le gambe solide. —

Il baleniere diceva il vero. Abituato alle lunghe corse attraverso la pampa per sfuggire agl’inseguimenti dei Tehuelche, correva colla rapidità d’un guanaco, procurando di non cadere, cosa facilissima a succedere su quel terreno accidentato, ingombro di sterpi e formato da alberi caduti e putrefatti e da muschi in dissoluzione.

Aveva ben da fare a mantenersi ritto su quel suolo falso e ad evitare i molteplici ostacoli che gli si paravano dinanzi, e spesso vacillava e sprofondava bruscamente in vecchi tronchi, caduti per vecchiaia e che quantunque già passati allo stato di terriccio conservavano le loro forme sotto un falso involucro di muschi e di licheni.

Però, se era forte come un toro, il baleniere possedeva anche un’agilità straordinaria che gli permetteva di balzare sopra quei tronchi che il suo occhio scopriva subito e di varcare i cespugli che crescevano rigogliosi, succhiando un sovrabbondante alimento.

Le urla dei selvaggi si udivano sempre e qualche freccia fischiava ai suoi orecchi, facendogli accelerare sempre più la corsa. Gl’inseguitori, malgrado la nebbia, non lo avevano perduto ancora di vista e lo perseguitavano con accanimento senza pari, bramosi forse di assaggiare la tenera carne della bella giovane che egli teneva fra le braccia, più che la sua.

Piotre non li lasciava accostare troppo. Con slanci furiosi riusciva a tenerli sempre a distanza.

Il suo vigore, che doveva essere prodigioso, non si affievoliva; pareva che Mariquita non gli pesasse più d’un fanciullo e che anzi il contatto della giovane gli mettesse il fuoco nelle vene e gl’infondesse una forza da gigante.

— Sì... correte pure... raggiungetemi se potete. — diceva. — Non me la strapperete... canaglie... —

E si stringeva sempre più al petto Mariquita, con una specie di frenesia, correndo alla disperata e aspirando rumorosamente l’aria gelida. Quando i capelli della giovane araucana, che si erano sciolti in quella pazza corsa, lo sferzavano in viso, o gli si attortigliavano attorno al collo, alzava gli occhi e la guardava sorridendo, felice di poter stringere al petto quella donna che tanto aveva amata e per un momento dimenticava i selvaggi che lo inseguivano per pascersi, belve feroci, delle carni di ambedue.

Dove fuggiva? Non lo sapeva, nè pareva che se ne preoccupasse. Non pensava nemmeno più alla scialuppa, anzi non avrebbe voluto ritrovarla per non troncare quella corsa che gli faceva battere forte il cuore e che lo faceva vibrare fino nel profondo dell’anima.

Mariquita, appoggiata sul largo petto del baleniere, colle sue mani strette al poderoso collo di lui, lo guardava con ammirazione, e si domandava fino a quando quell’uomo avrebbe potuto resistere e dove la portava.

Il bosco era stato attraversato e Piotre scendeva all’impazzata una costa cosparsa di muschi carichi d’umidità e che si sfaldavano sotto i suoi piedi. La nebbia era così fitta in quel luogo che non si poteva distinguere la spiaggia, quantunque in lontananza si udissero le onde scrosciare fra le scogliere.

Le urla dei selvaggi erano cessate. Si erano stancati o disperando di poter raggiungere quell’uomo inafferrabile, che pareva possedesse i garretti dei guanachi, si erano slanciati dietro ai marinai? Oppure si erano smarriti fra le nebbie della foresta?

— Piotre, — disse Mariquita, allentando le mani. — Non odo più nulla. Riposatevi un momento, non corriamo più alcun pericolo.

— Non li vedete più? — chiese egli.

— No, Piotre. —

Si fermò e la depose, tergendosi il sudore che gli bagnava il viso e aspirando liberamente il vento marino, saturo di salsedine.

— Hanno smarrito le nostre traccie, — disse. — E dove siamo noi? Dobbiamo aver percorso parecchi chilometri e chissà dove si troverà la scialuppa.

— Odo il mare a rompersi dinanzi a noi, — disse Mariquita.

— Sì, la spiaggia è là.

— Volete riposarvi, Piotre?

— Non ne ho bisogno: raggiungiamo la spiaggia.

— Piotre... grazie... m’avete salvata, — mormorò Mariquita. — Senza di voi forse a quest’ora mi avrebbero uccisa.

— Ho difeso colei che sarà un giorno la mia donna, — rispose semplicemente il baleniere.

Mariquita chinò il capo senza rispondere e provò un lungo brivido.

CAPITOLO XVI.

Il Cimitero dei Marangoni.

Camminando l’uno presso all’altro, si erano diretti là dove udivano infrangersi, con muggiti prolungati, le onde della baia.

Nessuno dei due parlava e parevano preoccupati. Il baleniere pensava certamente ai suoi uomini che forse non erano riusciti a sfuggire all’agguato, preparato dallo stregone con tanta astuzia, ed a quelli che aveva lasciato a guardia della scialuppa che forse erano stati uccisi prima che avessero potuto prendere il largo.

Mariquita invece pensava probabilmente alle ultime parole di Piotre, parole che dovevano averle fatto sanguinare il cuore, rammentandole il giuramento fatto, mentre ora aveva la certezza che Alonso non solo era sfuggito al naufragio, ma che era stato anche adottato dalla tribù che lo aveva raccolto.

La spiaggia scendeva dolcemente e nè l’uno nè l’altro la riconoscevano più.

Dove li aveva condotti quella lunga corsa attraverso i boschi senza alcuna direzione? Si trovavano a breve distanza dalla scialuppa e dalla nave baleniera, oppure se ne erano considerevolmente allontanati? Era impossibile il saperlo, specialmente con quella nebbia che si era distesa su tutta la baia impedendo di scorgere la Quiqua.

— Il mare, — disse ad un tratto Piotre, fermandosi. — Dove si troverà la mia baleniera? Scorgete nulla, Mariquita?

— No, — rispose la giovane quasi distrattamente. — Che cosa farete?

— Dovremo aspettare che la nebbia si alzi.

— E papà Pardo?

— Spero che sarà riuscito a mettersi in salvo o a respingere l’assalto dei fuegini. Avevano tutti munizioni abbondanti e questi selvaggi non resistono a lungo alle armi da fuoco che ispirano loro un terrore superstizioso.

— E dove sarà la scialuppa?

— Non ne ho nessuna idea precisa.

— Ho freddo, Piotre. Se cercassimo un rifugio? —

Il baleniere, invece di rispondere, si era curvato verso la foresta, ascoltando attentamente.

— Datemi le vostre pistole e ricaricate le mie, — disse ad un tratto. — Noi siamo ancora inseguiti.

— Non ho udito nulla.

— Eppure non m’inganno, Mariquita, — rispose il baleniere. — I selvaggi non ci hanno ancora lasciati.

— Dove fuggire ora? Saranno molti?

— Maledizione! — esclamò Piotre. — Se avessi almeno una carabina fra le mani! —

Due file di ombre che scendevano l’una a destra l’altra a sinistra, minacciando di prenderlo in mezzo, lo fecero ammutolire. Erano due bande di selvaggi che calavano verso la spiaggia coll’evidente intenzione di costringerlo ad arrendersi o di spingerlo verso il mare. Arrendersi era una morte sicura, sapendo Piotre che aveva da fare con antropofaghi ghiottissimi di carne umana, che non avrebbero risparmiato nè lui nè Mariquita; una resistenza era pure impossibile dinanzi ad un nemico così numeroso e probabilmente risoluto. Non vi era che un solo scampo: quello di gettarsi in acqua e cercare di raggiungere qualche scogliera per attendere poi colà qualche soccorso da parte della scialuppa o della baleniera. Piotre non era uomo da esitare, specialmente quando si trattava di salvare la propria pelle o quella dei suoi uomini e specialmente di strappare dalle mani di quegli abbominevoli mangiatori di carne umana Mariquita. Prese rapidamente il suo partito.

— Mariquita, — disse con voce alterata, — avete paura dell’acqua?

— No, Piotre. Che cosa volete fare?

— Seguitemi in mare. Aggrappatevi a me e non lasciatemi, checchè debba accadere. Sono forte e resisterò a lungo, fino a qualche scogliera o alla Quiqua. —

La trasse rapidamente verso la spiaggia ed impugnò le pistole. I selvaggi li avevano già scorti e si rovesciavano giù dalla china, urlando ferocemente.

Un selvaggio aveva già alzata la lancia, tentando di colpirlo. Il baleniere gli scaricò in mezzo al petto le due pistole, mandandolo a gambe levate, fracassò il mento ad un altro scaraventandogli contro le armi, poi, afferrata Mariquita, si precipitò fra le onde, sfuggendo miracolosamente ad una grandine di fionde e di dardi.

L’acqua era così profonda in quel luogo che passarono alcuni secondi prima che rimontasse alla superficie.

Quando riapparve, sempre stringendo Mariquita, era già lontano una ventina di metri della spiaggia e la nebbia lo avvolgeva mettendolo al sicuro dai colpi dei nemici, i quali non potevano più scorgerlo.

— Aggrappatevi alle mie spalle, Mariquita, — disse.

— Piotre, — rispose la giovane, scossa da un tremito convulso che le faceva battere i denti. — Annegherete.

— Io! — rispose il baleniere, con un sorriso superbo. — Non mi conoscete ancora! —

Quale uomo era quel Piotre! La lunga e affannosa corsa, pareva che, invece di esaurirlo, lo avesse rinvigorito. Nuotava meglio di una focena, con vigore sovrumano, insensibile ai morsi crudeli dell’acqua gelata che non aveva presa sulle sue membra d’acciaio e fendeva impetuosamente le onde o le vinceva sormontandole. Pareva un dio marino, un tritone o qualche cosa di simile.

Non aveva che una sola preoccupazione: quella di evitare che le creste dei marosi, sollevate dal vento, sferzassero troppo rudemente il viso di Mariquita. Con poderosi colpi di tallone e con bracciate potenti, sormontava i cavalloni, mantenendo alta la testa. Sentiva tremare le braccia di Mariquita strette attorno al collo e quel tremito, come durante la corsa furiosa, gl’infondeva maggior forza.

— Piotre, — disse ad un tratto la giovane araucana, assiderata dal freddo. — Dove mi conducete voi? Sento che il mio cuore si gela.

— Vi salvo, — rispose il baleniere.

— Dove andiamo noi?

— Non lo so... e che importa? Vorrei portarvi via per sempre.

— Non vedo nulla.

— Troveremo qualche scoglio.

— Tutto è nebbioso intorno a noi... se vi stancaste?

— Io! Il baleniere Piotre! Con te... Mariquita, mi sentirei capace di nuotare fino allo stretto di Magellano. —

Era la prima volta che Piotre le dava del tu. Quella parola confidenziale fece sull’araucana un effetto così strano da fermarle sulle labbra ogni risposta.

— Là... guardate, — disse dopo alcuni istanti Piotre. — Vedo un banco di ghiaccio che va alla deriva. Lo raggiungeremo... poi vedremo... —

Non aveva più osato darle del tu. Nuotava invece con una specie di furore, guardando quel ghiaccione che le onde trastullavano e che qualche corrente spingeva con una certa rapidità attraverso la baia. Aveva compreso che quello era la salvezza; malgrado la sua forza e la sua resistenza, cominciava a sentire una certa debolezza. L’acqua freddissima a poco a poco gli assiderava le estremità delle membra. Con uno sforzo supremo lo raggiunse e vi si aggrappò con una mano.

—Salite, Mariquita, — disse, voltandosi.

Mentre la giovane stava per issarsi sul banco, Piotre si abbassò verso di lei e con un rapido moto le sfiorò la fronte.

A quel contatto inaspettato, l’araucana, istintivamente, aveva gettato indietro il capo come per sfuggire quel bacio.

Piotre si era fermato, stupito, come sorpreso, poi un lampo terribile aveva acceso i suoi occhi, mentre il suo volto aveva assunto un’espressione di ferocia selvaggia.

Guardò per un momento Mariquita, che era rimasta sospesa al margine del banco, scrollata dalle onde che investivano ambedue.

— Sarebbe meglio, — diss’egli con voce cupa, — che queste acque m’inghiottissero per sempre, è vero Mariquita? Piotre non sarà mai amato da voi, e la morte spezzerebbe il vostro giuramento. Lo volete? L’abisso sta sotto di me, ma quell’altro, spento io, nessuno lo salverebbe, e sarei vendicato! —

Mariquita, pentita da quell’atto involontario, aveva accostato il suo bel volto, che le onde gelide scolorivano, a quello del baleniere.

— Eccomi, Piotre, — mormorò. — No, perdonatemi. —

In quella voce vi era un singhiozzo a malapena soffocato. Il baleniere sorrise sdegnosamente e volse altrove il capo, poi con un gesto brusco la fece salire sul banco.

Stette un momento ritto sul ghiaccione, col volto tetro, animato da una collera terribile, colle labbra increspate, guardando la giovane che si era rannicchiata su sè stessa, scossa da brividi fortissimi, poi si accoccolò a breve distanza, senza nemmeno prendersi la briga di sbarazzarsi dei ghiacciuoli che a poco a poco si formavano sulla sua casacca grondante d’acqua.

Non aveva nemmeno dato uno sguardo al banco di ghiaccio, nè osservato dove le onde e la corrente lo trascinavano. D’altronde che gliene importava? La morte non gli faceva più paura, anzi ormai la desiderava. Ripiegato su sè stesso come una belva feroce, non staccava un solo momento gli sguardi da Mariquita. Eppure la fiamma sinistra che balenava nei suoi occhi a poco a poco si spengeva.

Quel banco era una specie di zattera, di dieci o dodici metri di superficie, che le onde dell’Atlantico dovevano aver spinto entro il golfo e d’uno spessore tale da non temere che si sciogliesse troppo presto. Le onde lo facevano trabbalzare violentemente, sollevandolo ora da una parte ed ora dall’altra e talvolta lo coprivano minacciando di trascinare via Mariquita.

Camminava velocemente, trascinato da qualche corrente, accostandosi alla spiaggia, udendosi sempre più distinto il fragore della risacca.

Piotre a poco a poco si era accostato a Mariquita.

— Avete freddo? — le chiese, con voce raddolcita.

— Sì, Piotre, — rispose l’araucana, senza alzare il capo che teneva nascosto fra le braccia incrociate.

— La mia casacca non potrebbe ripararvi; è tutta grondante di acqua e coperta di ghiacciuoli. Sia maledetto quello stregone!

— Grazie, Piotre. Siete troppo buono e poi, vi esporreste ad una morte certa.

— Bah! La morte la derido, — rispose il baleniere, con amarezza. — La costa non deve essere lontana; odo le onde che vi si infrangono e se i selvaggi si sono ritirati, accenderemo del fuoco, Mariquita. Potessi scorgere la Quiqua!... Dove sarà? E la scialuppa? Ed i miei uomini? —

Si era alzato, guardando dinanzi a sè. Gli pareva di scorgere confusamente, attraverso la nebbia, delle forme oscure che potevano essere le rocce della spiaggia o delle scogliere. Che fosse vicino alla riva non vi era da dubitare. Il ghiaccione subiva scosse sempre impetuose, dovute al ribollimento della risacca. Era necessario prendere terra in un luogo qualunque. Mariquita non avrebbe potuto resistere a lungo a quel freddo, con quelle vesti bagnate, esposta a quel vento che a poco a poco la gelava, e coricata su quel banco di ghiaccio. L’idea che potesse morire assiderata, atterrì Piotre. Lui non lo sentiva ancora quel terribile freddo. Abituato al clima rigidissimo dell’oceano Antartico, in mezzo a cui viveva la maggior parte dell’anno, e robusto come era, non tremava ancora, quantunque la sua casacca ed i suoi calzoni fossero ormai già coperti d’aghi di ghiacciuoli. Gettò sulla giovane uno sguardo smarrito. Non vi era più rancore in quello sguardo, vi era invece un pazzo terrore. Mariquita, sempre raccolta su sè stessa, col capo mezzo nascosto fra le braccia, i capelli lunghi sciolti sul dorso e stillanti ancora l’acqua, pareva che fosse già intorpidita. Si sarebbe potuto crederla anche morta, senza i brividi che scotevano sempre il suo corpo.

D’un balzo le fu vicino.

— Mariquita!... Mariquita! — gridò il baleniere con infinita tenerezza. — Alzatevi, venite, cara fanciulla, non rimanete così seduta... il freddo vi prenderà... potete morire ed io non voglio perdervi —

L’araucana alzò penosamente la testa e lo guardò, balbettando con voce semi-spenta:

— Ho freddo, Piotre:... ho freddo... il sangue mi si gela... —

In quel momento avvenne un urto così forte che l’intero banco scricchiolò, come se dovesse spezzarsi. Aveva toccato contro la costa o contro una scogliera?

Piotre, con un rapido gesto, aveva preso fra le braccia Mariquita e vedendo delinearsi a breve distanza una massa oscura, si slanciò innanzi prima che il banco potesse venire respinto al largo.

Era saltato su una spiaggia cosparsa di rocce nerastre e di fuchi, che la marea aveva depositati là in quantità enormi.

Piotre risalì velocemente la costa, cercando un qualche rifugio, una capanna abbandonata, qualche caverna marina, un crepaccio qualunque che potesse ripararli da quel gelido vento che soffiava senza posa, tagliente come una lama di coltello.

Si era messo a correre, per impedire che le sue membra si irrigidissero e si teneva ben stretta al petto Mariquita, riscaldandola coll’alito.

Aveva scorto vagamente, fra le nebbie che il vento faceva turbinare, una parete rocciosa e altissima che pareva spaccata a metà e si dirigeva frettolosamente a quella volta colla speranza di trovare un rifugio.

Si trattava veramente d’una spaccatura, di un crepaccio enorme, apertosi nella parete rocciosa e che verso la cima si riuniva formando una specie di galleria, d’una certa profondità.

Il suolo era tutto cosparso di piccoli ossami che, di primo acchito, Piotre non seppe riconoscere e d’un numero infinito di penne d’uccelli che il vento sollevava in fitte nuvole. Una roccia, che si spingeva in mezzo al crepaccio, formando una mezza vôlta, riparava parte di quella galleria.

Là dentro regnava una profonda calma, non potendo il vento penetrarvi.

Piotre depose Mariquita nell’angolo meglio coperto, su un folto strato di ossami e di piume e la scosse ripetutamente, dicendole:

— Siamo in terra, Mariquita. Vi accenderò del fuoco e vi riscalderete.

— Dove mi avete portata? — chiese la giovane, battendo i denti. — Il ghiaccio... non odo più le onde... rompersi...

— Se Dio vuole, siamo salvi. Aspettatemi qui, Mariquita.

— Dove andate, Piotre?... Ho paura.

— A cercare dei fuchi.

— Volete esporvi alla morte?... Non soffia più quell’orribile vento qui. Sto meglio.

— Ho veduto dei fuchi e delle piante.

— Non esponetevi ancora al freddo.

— Il freddo! — esclamò il baleniere. — Piotre non lo sente ancora.

— Siete tutto coperto di ghiacciuoli, vi ucciderete, uscendo.

— Piotre non teme il vento del mare. —

Uscì a passi rapidi, ridiscendendo la costa. Aveva veduto, oltre i fuchi, dei cespugli di berberis il cui legno, come abbiamo detto, brucia rapidamente anche se verde e si accende alla menoma scintilla e anche delle piriti di ferro che sono numerosissime sulle coste della Terra del Fuoco.

A colpi di coltello fece un’ampia provvista di rami di berberis e di fuchi, che l’aria aveva subito seccati, raccolse qualche pirite e ritornò presso Mariquita.

La povera giovane lottava disperatamente contro l’assiderazione che a poco a poco la intorpidiva.

— Aspettate un momento, — disse Piotre. — Vi riscalderete. —

Strappò dalla parete rocciosa alcune manate di muschio ben secco, battè la pirite sulla costola del coltello, traendone numerose scintille e accese il muschio, gettandovi subito sopra i rami di berberis ed i fuchi.

Una bella fiamma, brillantissima, che spandeva all’intorno un vivo calore, s’alzò, illuminando le rupi e l’arcata.

L’araucana si era trascinata vicina al fuoco, mentre Piotre si levava la grossa casacca di lana, mettendola ad asciugare su due rami piantati nel suolo.

Stette un momento ritto dinanzi al fuoco, guardando Mariquita, il cui viso a poco a poco si ricoloriva, poi si mise a sedere sulla punta d’una roccia che usciva fra gli ossami, a pochi metri da quel focolare improvvisato.

— Piotre, — disse la giovane, con voce timida. — Sedete più vicino; il calore non arriva fino a voi e dovete aver freddo. —

Il baleniere fece col capo un gesto di diniego, ma aprì le labbra. Era ritornato cupo e triste ed il suo viso di quando in quando si contraeva dolorosamente, come se una tremenda bufera imperversasse nel suo cuore.

Anche nei suoi occhi era ricomparsa quella fiamma sinistra che già ella aveva scorta nel momento in cui era sfuggita al contatto delle labbra di lui.

Stette silenziosa qualche istante, osando appena guardarlo, poi gli domandò:

— Perchè tutte queste penne e tutte queste ossa qui? Sapreste dirmelo, Piotre?

— È un cimitero di marangoni,1 — rispose il baleniere seccamente.

— Siete preoccupato, Piotre; pensate ai vostri uomini?

— Ascolto il vento che fischia al di fuori.

— Temete per la vostra nave? —

Invece di rispondere, Piotre si alzò, dirigendosi verso l’uscita della spaccatura.

L’araucana si era prontamente alzata sbarrandogli il passo.

— Dove volete andare? — chiese. — Così, senza esservi almeno un po’ asciugato e senza la casacca? Volete proprio sfidare la morte o andate a cercarla?

— Sarebbe meglio per voi, — rispose Piotre con un amaro sorriso. — Spento io, l’altro ritornerebbe vostro, e non avreste altro timore che di vedere la mia ombra sorgere fra voi e lui, ma sarebbe un’ombra che non inquieterebbe nè l’uno nè l’altra.

— Non parlate così, Piotre! — gridò Mariquita. — No, non sono così ingenerosa, credetelo, ve lo giuro e voglio diventare vostra moglie.

— Sì, perchè l’avete giurato, mia moglie per forza.

— No, Piotre!

— Avevate già respinto la mia mano per dare tutto il vostro cuore all’altro.

— Allora non conoscevo la grandezza del vostro animo.

— Eh via, parole di femmina, — disse il baleniere. — Sì, voi diverrete la mia donna, perchè lo avete solennemente promesso in ricompensa del salvataggio del vostro fidanzato; sì, voi mi chiamerete il vostro sposo; sarete mia... ma credete che ciò possa bastare a me? No, perchè penserete sempre a quell’altro che voi avete perduto, perchè il vostro cuore batterà segretamente sempre per l’altro.

È la vostra anima che io vorrei avere e che invece non avrò mai, m’intendete, Mariquita? È la vostra anima che io vorrei, tutta mia!...

— Piotre, — disse la giovane, quasi piangendo, — quando Alonso sarà salvo, quando voi lo avrete ricondotto a Punta Arenas, vi giuro sulla memoria di mia madre che non penserò più mai a lui e che sarò la vostra sposa fedele ed affezionata. Noi c’imbarcheremo sulla vostra nave, andremo sui mari lontani, dove voi vorrete condurmi e non mi farete più mai vedere quell’uomo.

Sarà vostra la mia anima, sarà vostro il mio cuore, saranno vostri tutti i miei pensieri.

— Bisognerebbe per ciò che voi mi amaste, ma pochi minuti or sono, sull’orlo del banco di ghiaccio m’avete dato una prova contraria, che mi ha spezzato ancora una volta il cuore, — disse il baleniere, con voce fremente.

— È stato un moto involontario che io rimpiango, perchè voi non lo meritavate.

— E voi credete di potermi un giorno amare? — chiese Piotre con un’esplosione di gioia.

— Sì.

— Una prova, una sola. —

Mariquita s’accostò a lui, gli posò le due mani sulle robuste spalle, chiuse gli occhi e gli disse con un filo di voce.

— Ecco le mie labbra, Piotre. —

Il rumore d’un bacio si confuse fra i fischi stridenti del vento, il quale s’ingolfava attraverso la spaccatura, avvolgendo la giovane araucana ed il fiero baleniere fra un turbinio di piume.

Stettero un momento uniti, poi Piotre la ricondusse verso il fuoco, le gettò sulle spalle la sua casacca, che si era ormai asciugata e si sedette accanto a lei, mormorando:

— Grazie, Mariquita. La tempesta che ruggiva tremenda nel mio petto, e senza tregua, dal giorno in cui voi avevate respinta la mia mano, è cessata.

Che il raggio di sole che brilla ora nel mio cuore non si spenga mai... più, se no, guai a voi e all’altro!... —

Note

↑ Gli uccelli marini, chiamati marangoni, hanno l’abitudine di andar a morire tutti in uno stesso luogo, quando si sentono prossimi a terminare la loro esistenza. Questi cimiteri sono numerosi nella Terra del Fuoco.

CAPITOLO XVII.

In cerca di Piotre.

Mentre Piotre, vedendosi nell’impossibilità di soccorrere i suoi uomini, dai quali era stato separato da una nuova banda di selvaggi, fuggiva attraverso la foresta per salvare Mariquita, papà Pardo coi tre marinai ed il cacciatore di guanachi, avevano coraggiosamente tenuto fronte agli assalitori, ricevendoli a colpi di pistola. Udendo questi spari e vedendo cadere al suolo parecchi uomini, i fuegini, presi da un subitaneo terrore, si erano dispersi, riparandosi dietro ai colossali tronchi dei faggi antartici. Le armi da fuoco, ancora poco conosciute in quell’epoca da quei feroci selvaggi, i quali ne avevano udito parlare vagamente come di cose terribili, avevano prodotto il loro effetto.

Quel momento di sosta era stato sufficiente ai marinai per ricaricare prontamente le pistole e per prendere anche una pronta decisione.

Avendo udito il grido di Piotre e avendolo veduto fuggire con rapidità fulminea portando in braccio Mariquita, si slanciarono come un solo uomo in mezzo alla foresta, preceduti dal cacciatore di guanachi, che ormai si era schierato dalla loro parte.

— Conducimi verso il mare, — gli aveva gridato papà Pardo, il quale non sarebbe stato capace di guidarsi in mezzo a quella folta nebbia che tutto avvolgeva.

I fuegini, vedendoli fuggire, avevano ripreso animo, si erano slanciati sulle loro traccie, ululando e perseguitandoli a colpi di freccia e di giavellotto. Costretti ad avanzare a balzi per evitare le radici, i cespugli ed i tronchi morti, i loro colpi non potevano avere più nessuna sicurezza ed i dardi andavano quasi sempre perduti, colpendo invece le piante.

I marinai invece, per rallentare l’inseguimento, di quando in quando si voltavano, scaricando qualche colpo di pistola e siccome sparavano nel fitto delle masse, qualche selvaggio ferito più o meno gravemente cadeva e non sempre per rialzarsi.

Il cacciatore di guanachi, che conosceva quei luoghi e che come tutti i selvaggi sapeva guidarsi per istinto, si era slanciato giù per una costa, gridando senza posa:

— Affrettate... tuonate sempre! Il mare non è lontano! —

Era così agile che doveva fermarsi di frequente per aspettare i marinai, i quali non volevano lasciare indietro papà Pardo, troppo vecchio per poter gareggiare colle loro gambe. Fortunatamente i colpi di pistola trattenevano sempre i fuegini, sia pure per pochi istanti, ma sufficienti per permettere ai fuggiaschi di riguadagnare la distanza perduta.

Qualche freccia o qualche giavellotto li colpiva, senza far troppo male, avendo le une e gli altri punte di osso o di pietra tutt’altro che bene lavorate e poi essendo i marinai difesi da grosse casacche di panno e vestiti internamente di pelli di leone marino.

Quella corsa furiosa durò una buona mezz’ora, poi i cinque uomini si fermarono un momento a riprendere fiato.

Erano giunti sul margine del bosco ed i fuegini, vedendo che non potevano più ripararsi dalle palle nascondendosi dietro i tronchi degli alberi, avevano rallentato l’inseguimento, poco desiderosi di esporsi allo scoperto.

— È vicino il mare? — aveva chiesto papà Pardo, con voce affannosa, al cacciatore di guanachi.

— Fra poco vi giungeremo.

— Noi avevamo lasciato un canotto sulla riva.

— Lo troveremo.

— Gli uomini di guardia devono essere stati assaliti. Abbiamo udito i loro spari ed i selvaggi se lo saranno preso.

— So dove vi sono altri canotti, — rispose il cacciatore. — Se il vostro è scomparso andremo a prenderne un altro.

Ripartiamo, vedo che gli Ona si separano e certo stanno studiando il mezzo di prenderci in mezzo e di opprimerci col loro numero.

— Sono cariche le pistole? — chiese papà Pardo ai marinai.

— Sì, — risposero.

— Al trotto! —

Vedendoli riprendere la corsa, i fuegini, divisi in tre bande, si erano slanciati innanzi, decisi a tentare un ultimo sforzo.

I marinai fecero una prima scarica che raffreddò nuovamente lo slancio degli assalitori, mandandone a terra due o tre, compreso un capo, riconoscibile per la sua corona di piume di marangone, quindi scesero di corsa la china che doveva condurli alla spiaggia.

Il mare non doveva essere lontano, udendosi attraverso la nebbia il fragore delle onde. Papà Pardo, credendo di riconoscere quella costa, alzò la voce, gridando a piena gola:

— Pedro! Sancho! —

Erano i due uomini lasciati a guardia della scialuppa.

Nessuno rispose a quella doppia chiamata.

Una profonda angoscia si dipinse sul viso del vecchio pescatore.

— Che siano stati uccisi? — si chiese.

Anche i suoi tre marinai avevano chiamati i loro camerati; e solo le urla dei selvaggi avevano risposto.

— Bisogna cercarli, — disse papà Pardo.

— E il capitano? — chiese un marinaio.

— Non ho alcun timore per lui, — rispose il baleniere. — È tale uomo da far fronte a cento selvaggi e lo ritroveremo su qualche punto della costa. Egli deve essere già in salvo, te lo dico io, e anche la signora Mariquita. Quando saremo sulla scialuppa lo cercheremo. —

Erano giunti, sempre correndo, sulla spiaggia, in prossimità della piccola cala dove avevano veduto i fuegini che pescavano aiutati dai cani.

Papà Pardo si guardò alle spalle. Gl’inseguitori non erano ancora comparsi, quantunque si udissero sempre le loro grida provenire da varie direzioni.

— Cercano di spingersi verso il mare accerchiandoci, — disse. — Presto, alla scialuppa o li avremo tutti addosso. —

Si misero a seguire la costa, risalendola verso il settentrione, chiamando sempre i loro camerati e sparando qualche colpo di pistola.

Avevano già percorsi, tutto d’un fiato, trecento metri, quando il cacciatore di guanachi gridò:

— Un canotto!... —

— Il nostro? — chiese Pardo.

— Non mi sembra uno di quelli che si costruiscono qui.

— E non vedi nessun uomo? —

Il cacciatore stava forse per rispondere, quando cadde violentemente fra i muschi ed i fuchi che coprivano la spiaggia.

— Un uomo morto! — gridò, rialzandosi precipitosamente.

Papà Pardo, in preda ad un’angoscia inesprimibile, si era slanciato innanzi. Vi era un uomo, un selvaggio quasi nudo, disteso fra i fuchi, colla testa fracassata. Il vecchio lo guardò attentamente ed impallidì.

— Ucciso con un colpo di pistola, — disse. — Allora, anche i nostri uomini sono morti. —

La scialuppa era rimasta semi-arenata ed era proprio quella della Quiqua, ed i due marinai che erano stati lasciati da Piotre per guardarla non si vedevano a bordo.

— Che i selvaggi li abbiano portati via? — chiese papà Pardo al cacciatore di guanachi.

— Lo sospetto, — rispose questi.

— E dove?

— Non lo so.

— Sono antropofaghi gli Ona?

— So che mangiano i loro prigionieri, — rispose il cacciatore, dopo una breve esitazione.

— Papà Pardo, — disse uno dei marinai. — Rifugiamoci nella scialuppa e andremo in cerca del capitano. I fuegini stanno per piombarci addosso. —

Era vero. I selvaggi che avevano raggiunta la spiaggia, s’avanzavano formando un vasto semi-cerchio e ricominciavano a lanciare freccie e giavellotti. Un ritardo di pochi momenti poteva compromettere la salvezza di tutti.

— A bordo! — gridò il vecchio pescatore. — Ma prima facciamo alcune scariche per vendicare i nostri compagni, che forse non rivedremo più mai.

Maledetti! Sempre traditori questi uomini!... Potessi almeno vederlo quel capo che ci ha condotti qui. —

Spinsero in acqua la scialuppa, che era ancora intatta, quantunque i due marinai di guardia fossero stati o uccisi o portati via per riserbarli a qualche mostruoso banchetto, e vi balzarono dentro.

Gli Ona si precipitavano in quel momento sulla spiaggia con molto slancio, credendo di prenderli, avendo la nebbia impedito loro di scorgere la scialuppa.

Otto colpi di pistola rimbombarono l’un dietro l’altro, seguìti da clamori feroci e da urla di dolore. Parecchi uomini erano caduti in mezzo ai fuchi; gli altri, vedendo sfuggirsi le prede, avevano continuata la corsa entrando nell’acqua.

I marinai a colpi di remo respinsero i più vicini, mentre il cacciatore di guanachi tirava furiosi colpi di lancia in tutte le direzioni, poi s’allontanarono precipitosamente, mettendosi fuori di portata dalla grandine di dardi e di fionde.

— Dove andiamo? — chiesero i marinai, quando ebbero perduto di vista la spiaggia, sulla quale udivansi ancora echeggiare le urla degli Ona.

— A cercare il capitano e Mariquita, — rispose papà Pardo. — Essi non devono essere lontani e certo ci aspettano, riparati dietro a qualche scogliera.

— Che sia già arrivato alla spiaggia? — chiese il più vecchio dei pescatori.

— Ho veduto che correva come un guanaco, quantunque avesse fra le braccia Mariquita.

— Da qual parte si è diretto?

— Verso il sud, mi parve. Scendendo verso l’estremità meridionale della baia noi lo troveremo di certo. Che uno di noi, di quando in quando, spari un colpo di pistola per avvertirlo della nostra presenza.

— Volete un consiglio? — disse il cacciatore di guanachi, che aveva compreso quanto avevano detto, quantunque conoscesse pochissimo lo spagnuolo.

— Parla, — rispose papà Pardo.

— Lasciate a me l’incarico di cercarlo. Voi non sapete dirigervi fra la nebbia, mentre io conosco tutta la costa.

— E come vorresti fare?

— Sbarcatemi e vedrete che saprò scovarlo. —

Papà Pardo lo guardò con diffidenza e scrollò il capo. No, non aveva più nessuna fiducia nemmeno in quel cacciatore, il quale poteva essere non meno traditore degli altri, benchè avesse dato qualche prova di devozione, guidandoli fino alla spiaggia e prendendo parte alla difesa.

— Lo cercheremo insieme, — disse poi. — Vi possono essere ancora degli Ona dispersi sulla costa e potrebbero prenderti e ucciderti.

— Non mi sbarcherete qui, — disse il cacciatore. — Il vostro capitano non sarà così vicino.

— Vedremo, — rispose evasivamente il vecchio pescatore. — Se si alzasse questa dannata nebbia, si potrebbero fare dei segnali alla Quiqua e far accorrere un’altra scialuppa con dei rinforzi. Il vento soffia forte. Speriamo che disperda presto questi vapori. —

La scialuppa s’avanzava penosamente verso il sud della baia, vivamente sballottata dalle onde che entravano liberamente in quel vastissimo bacino male riparato, e che rimbalzavano contro le scogliere.

Si teneva più che le era possibile presso la spiaggia e di quando in quando ora l’uno ora l’altro marinaio sparavano un colpo di pistola, colla speranza di ricevere qualche risposta da Piotre.

Gli Ona pareva che avessero abbandonata la costa e che avessero riguadagnati i loro umidi ed impenetrabili boschi. Disperando ormai di poter raggiungere i fuggiaschi e non osando, colle loro deboli piroghe, di avventurarsi sulle acque della baia e paghi forse di essersi impadroniti di due marinai, sorpresi prima dell’assalto generale, avevano certamente rinunciato ai loro progetti.

Fors’anche erano stati indotti a ritirarsi, per paura che la nave si accostasse e sbarcasse dei rinforzi.

Il vecchio Pardo, non udendo più le loro grida e completamente rassicurato da quella parte, si teneva sempre più verso la spiaggia, tendendo gli orecchi e facendo raddoppiare i segnali sia colle pistole, sia colla voce.

Non otteneva ancora risposta alcuna, e questo raddoppiava le sue inquietudini, quantunque fosse convinto che Piotre avesse potuto mettersi in salvo.

Avevano essi percorso circa due miglia, quando udirono improvvisamente due spari.

— Il capitano! — avevano esclamato i marinai, alzando i remi.

— No, è impossibile, — rispose Pardo. — Questi due colpi d’arma da fuoco sono stati sparati verso l’oceano, e non già sulla spiaggia.

— Che si sia imbarcato su qualche canotto? — chiese un marinaio.

— Vi siete ingannato, non erano colpi di pistola, bensì di fucile. Il signor López deve aver udito i nostri segnali e avrà mandato il gran canotto in nostro aiuto.

— Zitti! —

Altri due colpi rimbombarono in mezzo al nebbione, più vicini di prima.

Il vecchio Pardo non si era ingannato.

Erano fucilate e sparate al largo della baia e non già verso la costa.

— Rispondiamo, — disse. — Vi sarà anche il signor López nella scialuppa. —

Fecero una scarica, poi diedero la voce e ne ebbero subito la risposta.

— Sono i nostri, — disse Pardo. — Arrancate a dritta. —

Un’ombra comparve ben presto attraverso la nebbia, cercando d’incrociare il canotto montato dai marinai della prima spedizione.

Era la scialuppa-baleniera della Quiqua, montata da sei marinai e dal signor López, armati di moschetti e di sciabole di abbordaggio. José era nel numero.

— Dunque? — chiese il vecchio esploratore, mentre le due scialuppe si abbordavano. Poi non vedendo nè Piotre, nè Mariquita, mandò un grido di doloroso stupore.

— Mia figlia! — esclamò. — Dov’è la mia Mariquita?... Pardo, parla!

— Non vi spaventate, signor López, — rispose il pescatore. — È sulla spiaggia che ci aspetta. Siamo stati traditi, è vero, e anche assaliti, ma troveremo subito l’uno e l’altra.

Abbiamo dovuto dividerci per sfuggire l’agguato tesoci da quelle canaglie; sappiamo dove trovarli. —

Il pescatore mentiva, come ben si comprende, non volendo spaventare il signor López.

— Allora conducimi subito da lui, — disse questi.

— Trasbordate sulla nostra scialuppa e dateci alcuni fucili. Gli altri invece, con uno dei nostri, risalgano verso il nord, seguendo la costa e ci guardino le spalle.

Abbiamo perduto due uomini e non sappiamo che cosa sia avvenuto di loro.

— Sono stati uccisi?

— Non credo, eppure... non sono molto tranquillo... Sapete che questi selvaggi sono cattivi?

— Potremo ritrovarli?

— Vedremo, signore, non disperiamo. Presto, salite e passateci alcuni fucili. —

Il signor López salì sul gran canotto, mentre un marinaio passava sulla scialuppa-baleniera.

— Non risparmiate gli Ona, — disse Pardo. — Dove li vedete, fucilateli come cani.

— Lo pagheranno il tradimento, — risposero i marinai. — Vi attenderemo nel seno dei pescatori, Pardo. —

Le due scialuppe si separarono, l’una seguendo la spiaggia meridionale e l’altra rimontando la settentrionale.

La nebbia accennava a diradarsi un po’, tuttavia l’oscurità si manteneva profonda, tramontando assai presto il sole nei mesi di Giugno, Luglio ed Agosto, in quelle regioni così vicine all’oceano Antartico.

Il vento invece aumentava sempre, diventando più freddo e spingendo nella baia le larghe ondate dell’Atlantico, le quali su quelle coste raggiungono talvolta delle altezze mostruose.

Il signor López, non ostante le assicurazioni di Pardo, non si era tranquillizzato...

Aveva voluto subito conoscere i particolari del tradimento e, se si era mostrato lieto nell’apprendere le notizie fornitegli dal cacciatore di guanachi che lo assicuravano sulla vita di Alonso Gutiérrez, che credeva sempre fidanzato di Mariquita, era rimasto assai turbato della fuga di Piotre, temendo che fosse stato raggiunto dai selvaggi su qualche punto della costa.

— Sai almeno dirmi dove ci aspetta? — chiese al pescatore, che cominciava a mostrarsi imbarazzato.

— Sì, però comprenderete che con questa nebbia potrebbe essersi smarrito od aver ritardato a giungere all’appuntamento.

Tuttavia rassicuratevi, signor López, — aveva risposto il vecchio baleniere, — il grosso degli Ona non si era nemmeno accorto della rapida ritirata di Piotre e si era gettato su di noi. E poi fuggiva così rapido che un cavallo non avrebbe potuto tenergli dietro.

— Ti credo, Pardo, eppure mi sento molto inquieto.

— Piotre è forte e non ha paura dei selvaggi e poi aveva quattro pistole e non l’ho mai veduto mancare ai suoi colpi.

— Sì, lo so, è forte, audace e destro!

— Avevate udito i nostri spari?

— Sì, Pardo, e ho subito fatto armare la scialuppa-baleniera per venire in vostro soccorso. Disgraziatamente la nebbia ci ha impedito di giungere a tempo, facendoci fare dei giri viziosi. —

In quel momento il cacciatore di guanachi mandò un grido gutturale e s’alzò rapidamente.

— Che cos’hai, Takà? — chiese Pardo.

— Vedo del fumo.

— Dove?

— Dietro quelle rupi.

— Qualche accampamento di Ona? —

Il fuegino scosse il capo.

— Gli Ona hanno paura dei cimiteri, — disse poi. — Non osano avvicinarsi.

— Di quali cimiteri intendi parlare?

— Ve n’è uno di marangoni su questa spiaggia, che io ho visitato parecchie volte, ed il fuoco arde là dentro.

— Chi credi che lo abbia acceso? — chiese Pardo.

— Non gli Ona.

— Il capitano?

— O lui o qualche altro uomo appartenente ad un’altra tribù.

— Possibile!... —

Il pescatore si era alzato, guardando attentamente verso la costa. Essendosi la nebbia diradata, vide distintamente una colonna di fumo, mista a scintille, innalzarsi dietro ad una parete rocciosa che pareva spaccata in tutta la sua altezza.

— Sì, — disse, — bruciano della legna laggiù! Che sia il capitano che riscalda Mariquita? Signor López, sbarchiamo. —

Aveva appena fatto cenno ai marinai di dirigersi verso terra, quando vide delle ombre umane scendere i pendìi delle rupi con infinita precauzione. Anche il cacciatore di guanachi le aveva scorte, perchè afferrò subito la sua lancia e la scure di pietra, dicendo:

— Si preparano ad assalire l’uomo che ha acceso il fuoco nel cimitero dei marangoni.

— E quell’uomo può essere Piotre! — esclamò Pardo.

— Presto, a terra, — comandò il signor López, armando la carabina. — Prendiamo alle spalle quei luridi mangiatori di carne umana. —

La scialuppa non era lontana che un centinaio di passi dalla spiaggia e non era stata ancora scorta dai selvaggi, essendo quel tratto di mare ingombro di scogliere.

I marinai, con pochi colpi di remo attraversarono quel breve spazio, arenando profondamente la baleniera fra i fuchi che formavano un vero letto lungo tutta la costa.

— Sbarcate tutti ed in silenzio, — comandò il signor López. — Assaliamoli di sorpresa. —

Erano tutti bene armati di buoni moschetti e di pistole, inoltre l’esploratore aveva una carabina a due colpi, fedele compagna dei suoi lunghi viaggi attraverso la pampa della Patagonia e dell’Araucania.

Salirono rapidamente la sponda, tenendosi nascosti dietro una fila di rocce e giunsero a duecento passi dalla parete granitica, dalla cui spaccatura uscivano nuvole di fumo che il vento subito disperdeva.

Due dozzine di selvaggi, armati di archi, di lancie e di mazze, s’avanzavano cautamente e nel più profondo silenzio verso l’apertura che doveva condurre nel cimitero dei marangoni.

Probabilmente erano gli stessi che avevano dato la caccia a Piotre, e ne avevano dapprima smarrito le traccie e poi le avevano ritrovate; oppure erano stati attirati in quel luogo dalla colonna di fumo.

I bricconi, che non avevano rinunciato alla speranza di assaggiare le giovani carni della bella araucana, pareva che questa volta si credessero sicuri di tenere in mano la loro preda, perchè, giunti dinanzi alla spaccatura, si erano fermati, sdraiandosi al suolo, in attesa che le vittime destinate a fornire l’arrosto, abbandonassero il loro rifugio.

— Credi che vi sia là dentro il capitano? — chiese Pardo al cacciatore di guanachi, che strisciava al suo fianco.

— Ne sono sicuro, — rispose questi. — Se fossero invece fuegini, si sarebbero già accorti della presenza dei loro nemici. Noi li sentiamo a delle distanze incredibili ed a quest’ora quelli che si trovano nel cimitero avrebbero impegnata la lotta, o tentata per lo meno la fuga.

— Che cosa dice quest’uomo? — chiese il signor López, che non comprendeva troppo bene il barbaro spagnuolo parlato dal cacciatore, condito con parole fuegine.

— Che Piotre e la signora Mariquita sono là dentro.

— Miriamo bene quei mangiatori di carne umana e poi, alla carica! Badate che le palle non vadano a finire dentro la spaccatura. —

I marinai si stesero al suolo, in catena e mirarono con tutta comodità gli antropofaghi che formavano due gruppi distinti, l’uno a destra e l’altro a sinistra dello squarcio.

— Fuoco! — gridò ad un tratto il signor López.

I moschetti formarono una scarica sola. I selvaggi, sorpresi a loro volta, si erano alzati, balzando come lepri e gettando urla di terrore, e non tutti si erano levati. Tre o quattro si dibattevano al suolo, agitando pazzamente le braccia e le gambe. Nel medesimo istante un uomo di statura gigantesca, che teneva in mano un grosso ramo acceso, s’era slanciato fuori della spaccatura piombando con slancio irresistibile sui selvaggi, percuotendo poderosamente i dorsi di coloro che non erano stati troppo lesti a fuggire.

Il signor López e Pardo avevano mandato due grida.

— Piotre! Il capitano! —

L’uomo che accarezzava così bene le spalle di quei luridi selvaggi era il baleniere. Udendo quegli spari ed intuendo che qualche pericolo minacciava Mariquita, si era precipitosamente alzato, raccogliendo un nodoso ramo che stava bruciando, onde prestare man forte ai suoi salvatori.

Il signor López si era slanciato verso di lui, mentre i marinai continuavano a sparare sugli Ona, che fuggivano a rotta di collo.

— Dov’è Mariquita? — gridò.

— Eccomi, padre mio! — rispose la giovane araucana, correndo incontro all’esploratore.

— Salva!

— Sì, grazie al coraggio e alla forza di Piotre. La mia vita io la debbo a lui.

— Non dite questo, Mariquita, — disse il baleniere, mentre un lampo d’orgoglio gli balenava negli occhi.

— Sì, a voi, — ripetè con forza la giovane. — Senza di voi a quest’ora sarei morta e fors’anche divorata.

— Siete un valoroso, — disse il signor López, stringendo la mano al baleniere.

— Ho fatto ciò che avrebbero fatto anche altri, — rispose Piotre.

— No, — disse Mariquita. — Nessun altro uomo avrebbe potuto compiere simili miracoli, e sarebbe morto prima di giungere qui.

— Venite, presto, alla scialuppa, — disse l’esploratore. — Gli Ona possono tornare in maggior numero e poi dobbiamo cercare i due marinai che erano a guardia di questo battello.

— I miei uomini scomparsi!... — esclamò Piotre, con doloroso stupore.

— Purtroppo, signore, — disse Pardo, con voce triste. Un lampo d’ira animò gli sguardi del baleniere.

— Perduti! — gridò.

— Non lo sappiamo ancora.

— Guai ai selvaggi, se me li hanno uccisi. Guai a loro! —

I marinai erano ritornati, dopo d’aver disperse le due bande, le quali non avevano nemmeno tentato di opporre la minima resistenza. Recavano la notizia d’aver scorto sulle cime delle colline, rimaste sgombre dalla nebbia, numerosi fuochi che forse erano dei segnali fatti ad altre tribù.

Era quindi prudente imbarcarsi e raggiungere al più presto la scialuppa-baleniera onde essere in buon numero nel caso di un attacco in acqua. Si ripiegarono in buon ordine e salirono sul gran canotto, prendendo sollecitamente il largo. Pardo aveva in poche parole narrato a Piotre quanto era avvenuto dopo la loro separazione, senza nascondergli i suoi sospetti sulla sorte toccata ai due disgraziati marinai rimasti a guardia dell’imbarcazione.

— Noi non lasceremo questa baia senza aver prima la certezza che i miei due uomini sono stati uccisi e senza aver inflitto, a questi ributtanti cannibali, la lezione che si meritano, — aveva risposto il baleniere, con tono risoluto.

— Ora che sappiamo che il comandante della Rosita è vivo e che non corre, almeno per ora, alcun pericolo, essendo stato adottato dalla tribù, possiamo indugiare qualche giorno, prima di spiegare le vele. Me lo permetterete, Mariquita?

— Sarebbe una crudeltà andarcene senza aver chiarita la sorte toccata ai vostri marinai, — rispose la giovane. — Avete il diritto e anche il dovere di cercarli.

— Non avete trovato le loro armi? — chiese il signor López ai marinai.

— Nulla, — disse Pardo. — Vi dirò però che ci è mancato il tempo di perlustrare la spiaggia e che la nebbia era allora fittissima.

— Che siano stati presi vivi?

— Ne dubito, signor López, — disse Piotre. — Erano entrambi robusti e coraggiosi e non si saranno arresi, sapendo d’altronde che avrebbero finito al forno o allo spiedo.

Si saranno difesi finchè avranno ricevuto qualche colpo mortale. Noi però ci fermeremo qui e faremo il possibile per riavere almeno i loro corpi o mitraglieremo senza misericordia gli Ona. Ho due buoni falconetti fra la zavorra e li faremo tuonare senza risparmio di munizioni. Allungate la battuta voi e tenete pronte le armi. I selvaggi ci spiano. —

CAPITOLO XVIII.

Prigionieri dei selvaggi.

I fuegini non avevano lasciato i dintorni della baia, sospettando probabilmente uno sbarco degli uomini bianchi per vendicare i due marinai scomparsi; anzi pareva che si fossero raccolti in gran numero.

Sui margini dei boschi e sulle cime delle colline, e anche delle montagne, si vedevano avvampare dei fuochi disposti in forma circolare e di quando in quando si udivano alti clamori lontani e dei rullii sordi e monotoni che parevano di tamburi o di qualche cosa di simile.

Sulla spiaggia si vedevano gruppi d’uomini che all’accostarsi della scialuppa fuggivano rapidamente, mettendosi in salvo sulle alture. Spiavano gli uomini bianchi senza osare di assalirli, sapendo ormai che erano provvisti di quelle formidabili armi da fuoco che tanto temevano.

Piotre ed il signor López, quando qualche drappello indugiava a disperdersi, sparavano qualche colpo di carabina o di moschetto, con poco profitto però, in causa delle oscillità che subiva l’imbarcazione e per l’oscurità della notte. Anche verso il Settentrione si udiva qualche sparo. Dovevano essere gli uomini della scialuppa-baleniera che tentavano di vendicare i loro due camerati.

Arrancando con buona lena, verso la mezzanotte le due scialuppe si incontrarono nei pressi del piccolo seno, dove erano stati assaltati i due marinai di guardia.

Quelli della baleniera avevano già esplorato un tratto di costa facendo frequenti sbarchi e non avevano trovato che i cadaveri di tre selvaggi, tutti uccisi a colpi di pistola alla testa ed al petto. Dei due scomparsi invece, nessuna traccia.

— Che cosa volete tentare ora? — chiese il signor López a Piotre.

— Continuare le ricerche, — rispose questi, — e far accostare la Quiqua per mitragliare questi miserabili cannibali. La scialuppa-baleniera torni a bordo con due uomini, gli altri passino sul gran canotto e ci prestino mano forte. —

Quindi, volgendosi verso l’araucana:

— Mariquita, — le disse, — voi dovete essere stanca e dovete aver molto freddo, non essendo le vostre vesti ben asciutte. Ritiratevi, ve ne prego. Ci raggiungerete sulla mia nave.

— E voi, Piotre?

— Il freddo non fa presa sulla pelle d’un baleniere, e poi devo guidare io la spedizione.

— Sì, ragazza mia, — disse il signor López. — Non è prudente rimanere con noi, dopo quel tuffo in mare e con questo vento che fa raggrinzare le carni.

Verrai con noi più tardi. —

Mariquita che si sentiva realmente gelare, passò sulla scialuppa-baleniera, la quale prese tosto la corsa verso la Quiqua, mentre il gran canotto, coll’equipaggio raddoppiato, entrava nel piccolo seno.

I selvaggi non erano ancora discesi dalle alture, dove continuavano a mantenere accesi i fuochi ed a gridare, come se sfidassero i marinai ad assalirli nelle loro posizioni.

Piotre, seguito dal signor López, da Pardo e da quattro marinai, sbarcò coll’intenzione di sorprendere qualche selvaggio e di fare nuove ricerche, mentre gli altri tre s’imboscavano fra i cespugli di berberis per sorvegliare le mosse degli Ona, i quali parevano numerosissimi.

I selvaggi uccisi dai due marinai scomparsi furono presto ritrovati. Avevano ancora presso di loro le armi, lancie ed arco, che i loro compagni non avevano raccolte, e Piotre potè accertarsi che erano stati uccisi a colpi di pistola.

— Allarghiamo le ricerche, — disse il baleniere. — Chissà che i corpi di quei disgraziati non siano stati nascosti in mezzo a quelle felci che occupano la base delle colline. —

Per meglio perlustrare si divisero in tre gruppi, spingendosi verso la base delle colline, quantunque ormai fossero convinti che i loro camerati erano stati portati via per servirsi dei loro cadaveri per qualche banchetto.

Si erano già allontanati dalla spiaggia alcune centinaia di passi, quando il cacciatore di guanachi che si trovava con Piotre e col signor López, fece loro cenno di arrestarsi.

Erano allora giunti dinanzi ad un folto gruppo di felci e di berberis, il quale si prolungava su uno spazio considerevole.

— Passate a destra, voi, — disse loro. Io invece attraverserò queste piante, essendo più agile di voi. Credo che qui dentro ci sia nascosto qualche cosa.

— Degli Ona? — chiese Piotre, che aveva armata la carabina.

— Non lo so, vedremo. —

Il signor López ed il baleniere, fidandosi nella sagacia di quel selvaggio, di cui ormai non diffidavano più, seguirono il margine della macchia salendo lentamente la collina, mentre gli altri due gruppi s’avanzavano attraverso alti macchioni, sparando qualche colpo di fucile verso gli Ona che apparivano sempre numerosissimi sulle creste ed intorno agli immensi bracieri incessantemente alimentati.

Il cacciatore si era gettato in mezzo alle felci, aprendosi faticosamente il passo. Proseguiva diritto, accostando sovente un orecchio al suolo e mandando un sibilo appena percettibile. Ad un tratto si fermò. Un’ombra si era alzata dinanzi a lui: era lo stregone che aveva condotto a terra Piotre ed i marinai.

— Sei riuscito? — chiese l’Ona al cacciatore.

— Sì, essi hanno ormai completa fiducia in me, — rispose l’interrogato. — Credono che io li abbia salvati.

— Potrai quindi salire sul grande canotto ed incendiarlo?

— Ecco quello che dubito, quantunque creda che sulla nave vi sia così poca gente che potreste impadronirvene facilmente.

— Sono quasi tutti a terra gli uomini bianchi?

— Quanti ne hai contati tu?

— Quindici, — rispose lo stregone.

— Allora non ve ne saranno più di quattro sul legno.

— Hanno creduto alla storia che tu hai raccontata?

— Pienamente.

— E la fanciulla?

— È tornata sul gran canotto.

— Faremo un banchetto colossale e festeggeremo il genio del bene. Mai la nostra tribù avrà mangiato in un sol colpo tanti uomini bianchi.

— Ce lo permetterà il capo bianco? Vedrà che sono suoi amici.

— Farà quello che vorremo noi.

— Che cosa devo fare?

— Affondare la barca di questi uomini per impedire che possano accorrere in aiuto del grande canotto.

— Siete pronti?

— Quando i fuochi che ardono sulle colline si spegneranno, le nostre barche assaliranno il grande canotto, — rispose lo stregone. — Oh! Erano venuti per portarci via il capo bianco! Avranno la sorte che è toccata ai compagni del capo, così più nessuno verrà a vendicare il massacro che abbiamo compiuto. Va, non perdere tempo. Sii svelto e abile. —

Lo stregone si gettò in mezzo alle felci e scomparve rapidamente senza far rumore. Il cacciatore di guanachi invece uscì cautamente dalla macchia e, vedendo che i tre piccoli gruppi continuavano a salire la collina, si mise a strisciare verso la spiaggia, tenendosi nascosto dietro i rialzi del terreno ed i cespugli di berberis. Scivolava senza far rumore, pari ad un serpente, guardandosi intorno, sapendo che dovevano trovarsi lì presso due marinai della scialuppa.

Giunto presso la riva, s’immerse in acqua, e, punto badando al freddo e alle onde, s’accostò silenziosamente al canotto che era stato tirato sulla sabbia.

In quel momento i fuochi che ardevano sulla cima delle colline si spegnevano rapidamente.

— Ecco il segnale, — mormorò. — Gli uomini bianchi sono nostri. —

Guardò verso il mare. La Quiqua aveva levate le àncore e sciolte le vele, e s’avanzava cautamente verso la costa per proteggere Piotre ed i suoi compagni. Era ancora lontana qualche miglio, essendo il vento contrario e l’equipaggio troppo scarso per manovrare le vele.

Da tutti i seni della spiaggia uscivano allora delle ombre allungate, che si radunavano verso l’estremità d’un promontorio.

— I canotti, — mormorò il cacciatore.

S’alzò impugnando la scure di pietra che si era legata alla cintura e percosse poderosamente e replicatamente i fianchi della scialuppa, sfondando parecchie tavole.

Udendo quel fracasso, i due marinai, che stavano appiattati fra i cespugli, si erano levati urlando.

— All’armi! —

Vedendo il cacciatore di guanachi colla scure ancora alzata, scaricarono simultaneamente i loro fucili, gridando:

— Tradimento! Capitano! Signor López! Tradimento! —

Il selvaggio aveva spiccato un salto scomparendo fra le onde che si rompevano contro la spiaggia.

Piotre ed i loro compagni, a quegli spari ed a quelle grida avevano interrotto le loro ricerche, scendendo precipitosamente la china.

— Su chi avete fatto fuoco? — chiese il baleniere, con agitazione.

— Tradimento, capitano! — rispose uno dei due marinai. — Il cacciatore di guanachi ha spezzato il gran canotto.

— Il cacciatore? Ah! l’infame! — esclamò Pardo.

— Tutti gli stessi, — disse Piotre, con furore. — Nati traditori, morranno traditori. Ma se credono di averci in loro potere s’ingannano. Ecco la Quiqua che sta per giungere. —

Sì, la nave baleniera stava per arrivare, ma non per toccare la costa, giacchè un gravissimo pericolo la minacciava. Un numero infinito di canotti, montati da selvaggi armati di lancie, di mazze e di archi, correva su di essa per assalirla e fare prigionieri i pochi uomini che la guidavano. Uscivano da tutti i seni, da tutte le cale, avviandosi rapidamente, formando un immenso semi-cerchio che a poco a poco si stringeva.

Piotre, atterrito, aveva mandato un urlo di furore.

— Mariquita! Assaltano Mariquita! Ah! Miserabili! —

Disperato, fuori di sè, stava per slanciarsi fra le onde, quando urla tremende risuonarono dietro di lui.

Gli Ona scendevano a torme dalle colline per assalire i disgraziati, i quali ormai non potevano più raggiungere la nave e mettersi in salvo.

— Signor Piotre, — disse Pardo. — Ci assaltano da tutte le parti. —

Il signor López era diventato pallido come un morto e guardava con terrore i canotti che avevano ormai attorniata la Quiqua, cercando di abbordarla.

— Mia figlia. La mia Mariquita! — gemeva.

— Vado a salvarla o a perire con lei! — gridò il baleniere.

— Sarebbe un sacrificio inutile, capitano, — disse il vecchio pescatore. — Rimanete con noi, e cerchiamo di far fronte ai selvaggi. Potremo più tardi salvare Mariquita. —

Gli Ona, sicuri della vittoria e forti della superiorità del loro numero, assalivano in quel momento, con pari slancio, i compagni di Piotre e la nave baleniera.

Le fucilate erano cominciate. Anche i pochi marinai della nave si difendevano disperatamente, quantunque sicuri di dover soccombere nell’impari lotta.

— A me i miei marinai! — gridò il baleniere, con voce formidabile. — Signor López, presso di me. Cerchiamo almeno di non farci prendere noi: Mariquita la strapperemo poi a quei miserabili. —

Gli Ona avevano impegnata la lotta con un coraggio insolito. Mentre quelli che montavano i canotti s’arrampicavano sui fianchi della nave, saettando i pochi difensori con nubi di freccie e di giavellotti, gli altri si precipitavano in ranghi serrati contro Piotre ed i suoi compagni, che si erano addossati contro la scialuppa.

Il baleniere, pazzo di furore, risoluto a far pagare ben cara la vittoria a quei mostruosi cannibali, sparava senza tregua, incitando i suoi uomini. Ogni palla colpiva inesorabilmente, pure gli Ona erano tanti che le perdite diventavano insensibili.

Turbini di freccie e di giavellotti giungevano da tutte le parti. Già due marinai fino dal primo urto erano caduti, mortalmente feriti, trapassati da quei dardi e anche il vecchio Pardo era stramazzato, stordito da un colpo di mazza che non aveva avuto il tempo di parare.

Piotre, la cui forza pareva che fosse centuplicata, teneva fronte al nemico.

Mancatogli il tempo di poter ricaricare, aveva impugnata la carabina per la canna e, roteandola furiosamente, spezzava lancie, fracassava teste, sfondava petti, mentre il vecchio esploratore, al suo fianco, scaricava a bruciapelo il suo moschetto, assistito dai marinai.

Intanto nella baia le detonazioni diventavano più rade. I canotti avevano ormai abbordata la Quiqua ed irrompevano sulla tolda con clamori vittoriosi.

— Piotre, — disse il signor López, con accento straziante. — Mariquita è presa! L’ho veduta calare in un canotto.

— E noi fra qualche minuto saremo morti, — rispose il baleniere, con voce cupa.

— Arrendiamoci... è inutile continuare la resistenza... Tutti i marinai sono caduti. —

Il signor López non potè continuare. Un selvaggio lo aveva atterrato, afferrandolo per di dietro e dandogli un pugno sul cranio.

Non rimaneva in piedi che l’erculeo Piotre, il quale pareva che fosse invulnerabile. Il suo vigore terribile, la sua statura, il suo coraggio da leone, s’imponevano a quei cannibali, i quali esitavano a stringerlo troppo da vicino.

Aveva raccolto un altro fucile sfuggito ad un marinaio caduto al suo fianco, col petto attraversato da un colpo di lancia, e continuava a picchiare con crescente furia a destra e a sinistra, cercando di aprirsi il passo fra quell’orda urlante e di porsi in salvo fra i boschi.

I selvaggi invece non aprivano le loro file, anzi le stringevano sempre più e opponevano una resistenza ostinata. Nondimeno il gigante era riuscito ad allontanarsi dalla spiaggia, sperando di raggiungere la base della collina.

Disgraziatamente il terreno era ineguale e tutto cosparso di muschi pregni d’acqua, sui quali i suoi piedi scivolavano.

Nel prendere lo slancio l’equilibrio gli mancò e cadde. Subito una massa d’uomini si gettò su di lui, coprendolo interamente.

L’ercole tentò di scuoterla. Ed infatti la sollevò, poi ricadde, dibattendosi invano. Cinquanta mani lo avevano afferrato cingendolo rapidamente con solide corde che gl’impedirono di continuare quell’impari lotta.

— Uccidetemi! — gridò il disgraziato.

Una voce che aveva già udita ancora, si alzò fra i selvaggi che lo attorniavano.

— Non è ancora tempo. —

Il baleniere alzò il capo guardando i vincitori.

— Lo stregone! — esclamò.

Il traditore si era fatto innanzi, ghignando ferocemente.

— Mi riconosci? — gli chiese.

— Che tu sia maledetto! — gridò Piotre, sputandogli addosso. — Ecco la ricompensa dei regali che ti diedi. Almeno uccidimi subito.

— Ti ho detto che non è ancora tempo.

— Che cosa ne hai fatto della fanciulla che era sulla mia nave?

— È nelle nostre mani.

— Viva ancora?

— Sì, viva.

— Perchè non l’hai uccisa?

— Perchè il capo bianco non l’ha voluto.

— Quale capo bianco! — esclamò Piotre con stupore.

— Quello che andavi a cercare. —

Il baleniere lo guardò, credendo che quel miserabile fosse impazzito.

— Ti burli di me? — chiese.

— Non ne ho alcun motivo.

— Spiegati.

— Non è ancora tempo.

— Che cosa ne hai fatto del vecchio che combatteva presso di me?

— Lo abbiamo risparmiato.

— E dell’altro?

— È ferito, eppure spero che guarirà presto.

— E dei miei marinai?

— Oh! Quelli erano serbati a noi e non al capo bianco. Li abbiamo uccisi e li mangeremo domani.

— Miserabile!

— Volevi che li lasciassimo tutti al capo bianco? Ad ognuno la sua parte.

— Quale trama infernale è mai questa? — si domandò Piotre, che credeva d’impazzire. — Che Alonso sia il capo bianco? E come può aver permesso questo massacro? Lo sapeva dunque lui che eravamo noi? La mia testa scoppia! —

Ad un tratto impallidì orribilmente.

— E Mariquita! — esclamò. — Dovrò perderla io in cambio della vita? No, è impossibile, sarebbe troppo atroce.

— Alzati, — disse lo stregone. — Dobbiamo tornare al nostro villaggio.

— Dimmi almeno, chi è quel capo bianco?

— Te l’ho già detto: è l’uomo che tu volevi andar a liberare. Me lo hai raccontato tu ed io ho subito ordito il tradimento per impedirti di riprendercelo.

È un gran stregone che tutti amano e che nessuno vorrebbe perdere, perchè ha insegnato a noi tante cose che prima ignoravamo. Partiamo. —

L’yecamush fece un cenno. Le schiere degli Ona si aprirono e s’avanzarono otto uomini scelti fra i più robusti, i quali reggevano una specie di portantina formata da due pelli di guanaco cucite insieme e legate a due lunghissime pertiche. Piotre fu alzato e gettato sulla pelle, senza essere stato slegato. I selvaggi avevano avuto una prova troppo eloquente della sua forza prodigiosa per attentarsi ad allentare le corde che gli stringevano le braccia e le gambe, in modo da impedirgli di fare il più piccolo movimento.

Prima però di coricarsi, Piotre aveva veduto a qualche distanza due altri palanchini, che pareva portassero due altre persone.

— Chi sono? — chiese all’yecamush che gli si era messo presso onde poter meglio sorvegliarlo.

— I due vecchi dai capelli bianchi, — aveva risposto lo stregone.

— E perchè non li avete uccisi al pari degli altri?

— Al capo bianco avevamo promessa la vita di quattro sole persone, a sua scelta, ed i due vecchi entravano nel numero con te e colla fanciulla.

— Sapeva il capo bianco chi erano costoro?

— Non lo so, però l’ho udito pronunciare dei nomi.

— Ed ha accondisceso che voi massacraste gli altri, i miei marinai? — chiese Piotre con un sordo singhiozzo.

— Oh! lui no, — rispose lo stregone. — Voleva anzi che noi li risparmiassimo tutti, e allora che cosa avremmo mangiato noi? La carne bianca è molto cara; i grandi canotti non approdano quasi mai sulle nostre rive e noi tutti ne siamo ghiottissimi. Gli abbiamo concesso la vita di quattro sole persone e come vedi abbiamo mantenuto la parola. Se non ci fosse stato lui, a quest’ora nessuno di voi sarebbe più vivo.

Peccato! Doveva essere così tenera la carne di quella bella giovane! —

Ed il miserabile sospirò.

— Tu sei un mostro! — gridò Piotre, rabbrividendo al pensiero che Mariquita, senza quel miracolo, avrebbe servito di pasto a quegli antropofaghi.

Lo stregone alzò le spalle sorridendo.

— Dimmi com’è il capo bianco, — rispose Piotre, dopo qualche minuto di silenzio.

— È più piccolo di te, più bianco, con la barba bionda e gli occhi azzurri.

— Sì, Alonso, — mormorò Piotre. — Quando è naufragato?

— È molto tempo, al principiare del gelo.

— Si è spezzato su queste spiaggie il suo gran canotto?

— Sì, le onde lo avevano trascinato sulle scogliere, all’estremità della baia. Se vorrai ti mostrerò i rottami che i cavalloni non hanno potuto distruggere. Noi però abbiamo portato via tutto quello che poteva essere utile.

— E dei suoi compagni che cosa ne avete fatto?

— Li abbiamo mangiati, — rispose candidamente l’yecamush.

— E anche distrutta la nave?

— Ci occorreva del ferro.

— E della mia che cosa ne farete?

— A quest’ora brucia ed i nostri pescatori raccolgono i pezzi di metallo.

— La mia Quiqua! — urlò Piotre, facendo uno sforzo supremo per spezzare le corde e balzare alla gola dello stregone.

— Il capo bianco non voleva; invece io, per togliergli dal capo l’idea di fuggire, l’ho fatta incendiare.

Così non potrete più andarvene ed eviteremo il pericolo di far venire molti uomini bianchi a sterminarci. Neh, non sono uno stupido io!

— Sei un infame pirata.

— Non so che cosa sia, nè mi curo di saperlo. Sta cheto e non ti arrabbiare. —

Lo stregone, che doveva avere una gran paura di Piotre, anche se questi era legato, lo lasciò, riparandosi fra un gruppo di guerrieri. Tutte le orde che avevano preso parte al combattimento si erano messe in cammino, parte precedendo e parte seguendo le tre lettighe.

Erano quattro o cinquecento selvaggi, tutti bene armati e di statura superiore alla media, poichè gli Ona sono i più alti uomini della Terra del Fuoco, discendendo probabilmente dai Patagoni, mentre invece, come abbiamo detto, tutti gli altri sono al disotto della statura media.

Erano divisi in varii drappelli, guidati ognuno da capi che portavano fra i capelli piume di colore differente per distinguersi gli uni dagli altri. Moltissimi erano feriti, avendo dovuto subire per un buon quarto d’ora il fuoco dei marinai della Quiqua; tuttavia non davano segno di mostrare soverchio dolore e camminavano al pari degli altri senza rimanere indietro, nè chiedere aiuto ai compagni.

La colonna lunghissima salì la collina, superò la cresta e s’inoltrò entro una gola ingombra di altissimi faggi e di pini, e così tenebrosa che non si poteva scorgere nulla a pochi passi di distanza.

Continuò così ad avanzarsi per due ore, poi ai primi albori s’arrestò su un vasto spazio rinchiuso fra montagne tagliate a picco, e occupato da un numero infinito di capanne.

— Ci siamo, — disse lo stregone a Piotre, il quale era immerso in tristi pensieri. — Il capo bianco abita qui. —

CAPITOLO XIX.

Il capo bianco.

Mentre i guerrieri, che avevano assalito Piotre ed i suoi marinai, giungevano da una parte, da un’altra gola arrivavano quelli che avevano espugnata, dopo un breve combattimento, la Quiqua.

Anche essi avevano nel mezzo un palanchino di pelle di guanaco su cui si vedeva distesa una forma umana, coperta con un pezzo di vela: era Mariquita.

La misera fanciulla aveva assistito, con orrore, al feroce assalto dei fuegini e alla strage dei pochi marinai che erano rimasti sulla nave baleniera. La loro resistenza non aveva durato che pochi minuti. Oppressi dal numero dei nemici venti volte superiore, e saettati da tutte le parti dalle freccie e dalle lancie, erano caduti l’uno presso all’altro gravemente feriti, per soccombere subito sotto le scuri di pietra.

Mariquita, da vera araucana, non si era arresa senza lotta. Aveva più volte fatto fuoco col suo fucile, finchè presa alle spalle, aveva dovuto cedere e lasciarsi trascinare in una scialuppa.

Ignorando che Alonso fosse così vicino, e non dubitando che anche Piotre, il signor López e tutti gli altri fossero stati sterminati, perchè aveva udito le fucilate che venivano sparate sulla spiaggia, si era rassegnata al suo triste destino, quantunque quella fine le inspirasse un orrore invincibile. Essere divorata da quegli antropofaghi! Oh! era ben atroce!...

I selvaggi, sbarcati sulla spiaggia, l’avevano subito condotta attraverso i boschi; giungendo al villaggio quasi contemporaneamente a quelli che avevano vinto Piotre.

Un uomo si era avanzato verso il drappello, aveva fatto deporre il palanchino e aveva tolta via la vela, guardando Mariquita.

— Va bene, — disse poi in pessimo spagnuolo.

La giovane, udendo quelle parole aveva aperti gli occhi.

— Tu, — disse riconoscendo in quell’uomo il cacciatore di guanachi. — Anche tu ci hai traditi! —

Il selvaggio alzò le spalle, sorridendo.

— Sono tutti morti gli altri? — chiese Mariquita, singhiozzando.

— Non lo so, — rispose il cacciatore.

Fece un segno. I portatori rialzarono il palanchino e si rimisero in cammino, fermandosi poco dopo dinanzi ad una grande capanna che si ergeva nel centro del villaggio.

Non era una di quelle luride abitazioni usate dai fuegini, veri covili formati di poche fronde e di scorze di albero, che sono insufficienti a riparare dal freddo e anche dalla pioggia.

Era una bella capanna, fatta con tronchi d’albero, col tetto coperto da fasci di vimini ben stretti e con delle aperture che bene o male servivano da finestre. Il cacciatore di guanachi tagliò con una conchiglia affilata le corde che legavano Mariquita, quindi la invitò ad alzarsi, dicendole:

— Entrate: è la dimora del capo. —

La porta era aperta. La giovane, assai sorpresa di trovarsi ancora viva e per di più libera, varcò la soglia e si trovò in una stanza ampia, arredata con un lusso affatto sconosciuto ai fuegini.

Le pareti erano tutte coperte di pelli di guanaco che nascondevano le fessure, e il pavimento di pelli di leone marino. Vi erano poi degli sgabelli di legno, una tavola che pareva costruita con avanzi di qualche nave, quindi dei trofei d’armi disposti con un gusto che rivelava la mano d’un uomo incivilito. Mariquita non si era ancora rimessa dal suo stupore, quando vide entrare un uomo che subito non riconobbe, quantunque si fosse accorta d’aver dinanzi, non già un selvaggio immondo, bensì un uomo di razza bianca.

Era un giovine di trent’anni, di forme snelle ed eleganti, con una lunga barba bionda, i capelli pure lunghi, d’egual colore, che gli cadevano sulle spalle, e gli occhi azzurri e la pelle bianchissima. Indossava una casacca di pelle di guanaco ed un paio di calzoni di panno oscuro che dovevano aver appartenuto a qualche marinaio, e nascondeva le gambe ed i piedi entro certi stivali di pelle di leone marino col pelo al di fuori e che non dovevano essere opera di nessun calzolaio, nè americano nè europeo.

Sul capo portava un diadema di conchiglie e di penne d’alcione e al collo numerose file di collane. Sulle gote aveva dei tatuaggi, azzurri e rossi. Quell’uomo rimase un momento immobile, poi aprì le braccia e si precipitò verso la giovane, gridando:

— Non mi riconosci più, Mariquita? —

L’araucana aveva anch’essa mandato un grido.

— Alonso! —

Il cugino di Piotre, poichè era lui, aveva avuto appena il tempo di sorreggerla. L’emozione era stata così forte e così improvvisa che Mariquita si era sentita mancare d’un colpo solo le forze.

— Abbracciami, mia diletta, — disse Alonso, che pareva impazzisse per la gioia. — Dio me l’ha resa!

— Alonso! — singhiozzò la giovane, mentre i suoi occhi si riempivano di lagrime. — In quale stato ti ritrovo!

— Un miserabile capo di selvaggi, — rispose l’argentino. — Il cuore mi diceva che un giorno t’avrei riveduta. Parla, narrami, divento pazzo! Chi ti ha detto che io era naufragato qui? Come sei giunta qui? Dio ti ha inspirata? —

L’aveva fatta sedere su un sgabello di legno e le si era messo accanto, tenendole le mani strette e guardandola con un misto di gioia e di terrore. Pareva che il disgraziato naufrago indovinasse o sentisse per istinto che quella donna ormai apparteneva ad un altro.

Mariquita, fra i singhiozzi, balbettando, gli narrava quanto era accaduto. L’incontro fortuito della balena, i tentativi fatti per trovare una nave, le disastrose peripezie del viaggio, senza però accennare al giuramento che doveva fargli perdere la fidanzata.

Alonso l’aveva ascoltata col viso oscuro.

— Piotre... io dovere la mia salvezza a lui! — disse coi denti stretti, quando Mariquita ebbe terminato. — Ed egli che mi odiava tanto ha accettato di venire? —

Mariquita era rimasta muta. Non osava confidargli a quale prezzo aveva deciso il baleniere a condurla sulla Terra del Fuoco, come non osava dire a sè stessa che ormai Piotre, quel fiero e leale uomo, che già tante volte l’aveva strappata alla morte e che le aveva dato tante prove del suo immenso affetto, occupava già nel suo cuore tanto posto.

— Avevo scoperto che era qui, — disse ad un tratto Alonso. — Lo stregone della tribù mi aveva informato esattamente che la nave era la Quiqua, che la montavi tu insieme a don López, a Piotre ed a Pardo. —

Mariquita si era alzata guardandolo con orrore.

— E tu sapevi che eravamo noi e hai permesso ai tuoi selvaggi di assalirci e di massacrare tutto l’equipaggio. Oh! Alonso! Quale infamia hai permesso che compissero i tuoi sudditi.

— T’inganni, fanciulla mia. Io avrei voluto salvarli e ho perorato caldamente in favore dei marinai, affermando ai sotto-capi della tribù che erano miei amici e non ho potuto ottenere che la vita di sole quattro persone: la tua, quella del signor López, del vecchio Pardo e quella... di Piotre, per ora, — aggiunse poi, guardando Mariquita con sospetto. — Però mio cugino non è ancora sicuro di poter essere risparmiato.

Se avessi voluto che si salvassero tutti, i miei sudditi si sarebbero certamente rivoltati e avrebbero finito per divorare anche me.

Che cosa potevo fare io? La mia autorità non è così grande come tu credi ed un incidente qualunque, forse una parola dello stregone che è qui potentissimo, ed il mio regno sarebbe finito.

— E tu vorresti far divorare Piotre! — esclamò l’araucana, guardandolo con spavento.

— Egli mi odia...

— Eppure è venuto qui per salvarti, mettendo a repentaglio la sua vita, quella del suo equipaggio e anche la sua nave. Quale altro uomo si sarebbe spinto, in questa stagione così tempestosa, fino su queste coste?

— E chi l’ha indotto a fare ciò?

— Io, — rispose Mariquita.

— Ed egli, che già aveva tentato per due volte di tagliare in due la mia nave, per sbarazzarsi d’un rivale importuno, ha accettato?

— Piotre non si è fatto pregare. —

Un sorriso apparve sulle labbra dell’argentino, un sorriso che pareva nascondesse una terribile minaccia.

— Tu non gli hai fatto alcuna promessa? — chiese con voce cupa.

Mariquita impallidì.

Ella intendeva bene che se non mentiva, Piotre, quell’uomo fiero e forte che per lei aveva compiuto tante prodezze, era irremissibilmente perduto.

Negli occhi di Alonso aveva scorta una fiamma sinistra che tradiva un odio implacabile.

— Che cosa vuoi dire, Alonso? — domandò.

— Che mio cugino non può aver accettato di venirmi a trovare, senza che tu gli abbia fatto qualche promessa.

— Piotre si era rassegnato.

— Lui! Mi sembra strano che abbia rinunciato alle sue speranze: conosco troppo bene la sua tenacia.

— Infine, che cosa vorresti fare di lui? — chiese la giovane, con ira male repressa.

— Una mia sola parola e quell’uomo finirebbe la sua esistenza su uno spiedo. I miei sudditi amano la carne umana, sopratutto la bianca e sarebbero ben lieti di aggiungere un’altro uomo a quelli che hanno già uccisi e che a quest’ora stanno cucinando.

— Io non riconosco più l’Alonso di un tempo, — disse Mariquita. — Allora non sarebbe neppur stato capace di sognare una simile infamia. Si direbbe che al contatto continuo con questi miserabili selvaggi gli si è indurito il cuore. Quell’uomo ha sfidato i ghiacci e le tempeste per te; quell’uomo ha affrontato i selvaggi, ha perduto i suoi marinai e la sua nave, quella nave che amava come fosse stata sua figlia; ha compiuto prodigi che nessuno sarebbe stato capace di fare, e tu vorresti per ricompensa di tutto ciò, farlo divorare dai tuoi sudditi?... Alonso, tu mi fai paura!

— Tu vorresti ch’io lo salvassi?

— È tuo dovere.

— E credi che sia cosa facile?

— Noi abbiamo sfidato mille pericoli per venire a cercarti; sfidane anche tu qualcuno. Vorresti forse trattenerci qui? —

Alonso si era messo a camminare per la capanna, in preda ad una profonda preoccupazione.

— Avevate dei liquori sulla Quiqua? — chiese ad un tratto.

— Piotre ne aveva fatti imbarcare molti per offrirli ai selvaggi in cambio della tua libertà.

— Era certo ch’io fossi stato fatto prigioniero dei fuegini?

— Ne aveva il sospetto.

— Allora abbiamo qualche speranza di poter abbandonare questo orribile paese.

— Fuggiremo tutti?

— Tutti, giacchè lo vuoi.

— Anche Piotre?

— Anche lui.

— La nave è stata incendiata.

— Lo so.

— Affronteremo il mare su uno di quei deboli canotti che adoperavano i tuoi sudditi?

— Sulla spiaggia, all’estremità della baia, vi sono ancora gli avanzi della mia Rosita. Costruiremo una zattera e ci affideremo alle onde. Quando saremo giunti a Punta Arenas, allora vorrò ben sapere per quale motivo Piotre si è deciso a venire in mio soccorso. —

Mariquita provò un fremito.

Alonso si diresse verso la porta e battè su una specie di tamburo costruito con un pezzo di tronco d’albero vuoto e ricoperto d’una pelle di guanaco ben tesa. A quel rullo un uomo entrò: era l’yecamush.

— Il mio capo mi ha chiamato? — chiese lo stregone, affettando un rispetto esagerato.

— È stata distrutta la nave? — chiese Alonso.

— Sì, capo.

— Avete portato qui tutto ciò che conteneva?

— I portatori sono giunti in questo momento.

— Vi sono dei barili?

— Una ventina.

— Essi contengono di quell’acqua di fuoco che tanto piace a voi e la berrete dopo il banchetto di carne bianca, che non farete prima di questa sera. Intendo che vi prendano parte i soli guerrieri noti pel loro valore.

— E gli altri?

— Andranno a guadagnarsene un altro fra qualche giorno. Io ho saputo da questa donna che fra poco un’altra nave deve approdare al nord della baia e quelli che non prenderanno parte al banchetto andranno ad aspettarla ed assalirla.

— Un’altra nave! — esclamò il selvaggio.

— Carica d’acqua di fuoco e con molti uomini bianchi.

— Ne risparmierai anche di quelli?

— No, ve li abbandono tutti, non essendo miei amici.

— Tu sei un bravo capo, — disse l’antropofago. — I nostri guerrieri assaliranno anche quella nave e la prenderanno.

Chi prenderà parte al banchetto?

— Cento soli, i più valenti che si sono distinti nel combattimento. Gli altri partiranno oggi stesso pel nord della baia, potendo darsi che la nave giunga questa sera.

— Vado ad eseguire i tuoi ordini.

— Un momento: dove sono i prigionieri?

— Nella mia capanna.

— Il vecchio è ferito gravemente?

— No, anzi l’ho visitato or ora. Ha la testa un po’ pesta in seguito ad un colpo di scure, nient’altro.

— Tu mi avevi solennemente promesso di non finire i miei amici, — disse Alonso con voce severa.

— È vero, ma capirai, capo, che nel calor della mischia non si può essere sempre calmi. Il vecchio resisteva come se avesse nel corpo lo spirito del male e, per atterrarlo, hanno dovuto percuoterlo un po’ bruscamente.

D’altronde la ferita guarirà in pochi giorni.

— Puoi andare a dare gli ordini pel gran banchetto. Manderai poi quattro guerrieri per condurre questa donna presso i prigionieri. —

Quando l’yecamush fu uscito, Alonso si rivolse verso l’araucana la quale non aveva compreso nulla, non conoscendo una sola parola di fuegino.

— Se tutto va bene e quello stregone non ha qualche sospetto, questa sera noi saremo tutti liberi, — le disse. — Questi selvaggi non resistono all’acquavite e bastano pochi bicchieri per ubbriacarli completamente.

Coi barili di Piotre, li farò cadere come morti.

Torna presso il signor López, rassicuralo e avverti gli altri di tenersi pronti. Alle armi e a tutto l’occorrente per costruirci la zattera, penserò io.

— Grazie, Alonso, — disse Mariquita. — Ed a Piotre che cosa devo dire da parte tua?

— Nulla, per ora.

— Lo consideri sempre come tuo nemico?

— Più oggi che ieri, almeno fino a quando non avrò avuto con lui una spiegazione. —

Quattro guerrieri si erano intanto presentati sulla soglia della porta.

— Puoi seguirli senza timore, — disse Alonso, additandoli a Mariquita. — Addio, e colla speranza che tu sia ancora la mia fidanzata, — aggiunse dopo, con voce piena di minaccia.

La giovane uscì senza rispondere, col capo chino, per nascondere il suo imbarazzo e le sue apprensioni.

I selvaggi le fecero attraversare il villaggio fra una folla di curiosi accorsi a vederla.

Vi erano anche molte donne frammischiate ai guerrieri, miserabili creature d’una bruttezza ributtante e così luride che non si sapeva più di che colore fosse la loro pelle.

I preparativi pel grande banchetto antropofago erano cominciati sul vasto piazzale che circondava la capanna del capo bianco.

Si vedevano enormi cataste di legna, che dovevano servire a cuocere i cadaveri dei disgraziati marinai della Quiqua.

Passando anzi dinanzi ad una di esse, Mariquita aveva scorto, con indicibile orrore, due cadaveri dalla pelle bianca, infilzati in uno spiedo gigantesco ed aveva riconosciuto in quei miseri i corpi dei due marinai rimasti a guardia del gran canotto.

— Quali orrori! — esclamò la giovane, coprendosi gli occhi. — Ed Alonso non è stato capace d’impedirlo! Piotre non li avrebbe lasciati commettere, oh no! Avrebbe preferito dar battaglia da solo a tutti questi miserabili. —

I quattro selvaggi si erano fermati dinanzi ad una capanna di bell’aspetto che poteva competere con quella di Alonso e che era guardata da un drappello d’uomini armati di lancie e di scuri di pietra.

Spinsero la porta formata da grosse tavole malamente connesse, la introdussero, poi uscirono subito rinchiudendola con una solida sbarra di legno.

I tre prigionieri erano là. Piotre stava seduto su un rozzo sgabello, tenendosi il capo fra le mani, cupo e silenzioso. Il signor López invece stava fasciando il capo al vecchio Pardo, colla destrezza d’un medico.

Vedendo entrare Mariquita, l’esploratore si era alzato con un’agilità che non si sarebbe supposta in un uomo così avanzato negli anni, correndole incontro. Anche Piotre aveva lasciato il suo posto e la sua tristezza era rapidamente scomparsa dal suo viso.

— Mia figlia! — aveva esclamato il signor López, stringendosela fra le braccia. — Credevo di non rivederti più mai.

— Tu dunque non sai che Alonso è qui? — chiese Mariquita.

— No, lo sapevo; me l’ha detto Piotre. E la dobbiamo a lui la nostra vita?

— Sì, padre.

— Avrei preferito doverla allo stregone, — disse Piotre con voce sorda. — Questa riconoscenza mi pesa troppo.

— E che, forse che voi non avete esposta venti volte la vostra per cercare di salvare lui? — disse il signor López. — Alonso dovrà sempre a voi della riconoscenza, e se vi ha salvato, non ha fatto che il suo dovere. —

Mariquita lo approvò col capo; Piotre invece strinse i denti e divenne più cupo.

— Vi ha detto cosa intende fare di me? — chiese il baleniere.

— Ha organizzato tutto per la nostra fuga, — rispose la giovane.

— Egli vuol farci fuggire?

— Questa sera noi lascieremo il villaggio.

— Che non sia un tranello per sbarazzarsi di me?

— Siete ingiusto, Piotre, — disse Mariquita, con tono di rimprovero.

— E su che cosa c’imbarcheremo ora che la mia nave è stata incendiata?

— Su d’una zattera che costruiremo cogli avanzi della Rosita.

— Non andremo molto lontano, — disse il baleniere. — E verrà anche lui?

— Vorreste che rimanesse qui, fra questi selvaggi?

— Lo preferirei, ora. —

Il signor López guardava Piotre con inquietitudine. Egli si domandava con angoscia che cosa sarebbe accaduto quando i due cugini si sarebbero trovati l’uno di fronte all’altro, giacchè nel suo animo aveva cominciato ad infiltrarsi il sospetto che un grave impegno fosse stato assunto da Mariquita per decidere il baleniere ad intraprendere la spedizione.

— Aspettiamo questa sera, — disse Piotre, dopo un lungo silenzio. — Vedremo se anche Alonso ci tradirà come ci hanno traditi lo stregone ed il cacciatore di guanachi. —

Ritornò a sedere sullo sgabello che era situato nell’angolo più oscuro della capanna, mentre il signor López si riaccostava a Pardo per compiere la fasciatura della ferita. Mariquita si era seduta presso il baleniere.

— Piotre, — gli disse sottovoce, — se vi preme la vita, non fate una parola del giuramento. Quando saremo in mare, farete quello che vorrete.

— Sarai mia moglie?

— Sarò fedele alla promessa.

— Anche ora che hai riveduto Alonso? — chiese Piotre, con voce un po’ ironica.

— Vostra per la vita e per la morte. Le donne della mia razza, non tradiscono.

— Grazie, Mariquita, — mormorò il baleniere con un sospiro di sollievo. — Avevo dubitato di te.

— Io però tremo pensando a quello che potrà nascere fra voi ed Alonso, quando egli saprà che io non sono più la sua fidanzata.

— Si rassegnerà come mi ero rassegnato io.

— E se...

— Piotre non ha paura e difenderà la propria vita e quella della sua donna, — disse il baleniere.

CAPITOLO XX.

La fuga.

Alla sera tutto il villaggio fiammeggiava.

Enormi cataste di legna ardevano intorno alla capanna del capo bianco e su quelle pire, orribile a dirsi, arrostivano i disgraziati marinai della Quiqua, infilati entro enormi spiedi, sotto la sorveglianza di due dozzine di cuochi, molto pratici, a quello che sembrava, in tale genere d’arrosti umani.

Dinanzi alla capanna, seduti intorno ad una stuoia smisurata, si erano raccolti i guerrieri ed i sotto-capi scelti fra tutti coloro che s’erano mostrati più valorosi nell’assalto della nave e nel combattimento contro Piotre ed i suoi compagni.

Erano i soli rimasti al villaggio. Tutti gli altri, smaniosi di procurarsi anche essi degli arrosti di carne bianca, erano partiti per le rive settentrionali del golfo, in attesa della nave annunziata dal capo, promessa che era stata creduta ciecamente come vera.

Alonso aveva preso posto su una pelle di guanaco, nel centro della stuoia, con a fianco lo stregone ed il cacciatore di guanachi, i due principali cooperatori del tradimento e della vittoria finale. In attesa degli arrosti umani, quei ributtanti convitati avevano cominciato a divorare immensi cumuli di pesci, di ricci di mare e di ostriche, innaffiando quei cibi con abbondanti libazioni di acquavite.

Tutti i barili trovati sulla Quiqua erano stati allineati dinanzi ai banchettanti e ognuno spillava a suo piacimento, servendosi per tazze dei gusci di conchiglie.

Alonso, per stornare ogni sospetto, fingeva di mostrarsi molto allegro e scherzava collo stregone e col cacciatore di guanachi, quantunque provasse delle nausee invincibili, sentendo l’odore di quelle povere carni che arrostivano crepitando e gli tremasse il cuore all’idea di dover assistere, fino alla fine, a quell’atroce pranzo.

Si consolava solo vedendo che i selvaggi bevevano smodatamente, sperando che si ubbriacassero prima che i cuochi portassero tutti quei cadaveri.

Aveva anzi, appunto perciò, dato ordine ai cuochi di ritardare la cucinatura e di serbare quegli arrosti come ultimo piatto. E per farli resistere meglio dinanzi a quelle pire gigantesche, aveva fatto distribuire anche a loro due barili di acquavite, sicuro invece che anche essi avrebbero finito per cadere ubbriachi.

Quelle abbondanti libazioni producevano il loro effetto. I selvaggi non avevano ancora divorato la metà dei pesci, dei ricci e delle ostriche, che già penavano a mantenersi ritti. Non abituati a quei liquori s’intorpidivano rapidamente e parecchi cadevano come fulminati, colla bocca ancora piena di cibi che non avevano avuto il tempo d’inghiottire.

Anche lo stregone ed il cacciatore di guanachi di quando in quando si accasciavano e facevano inutili sforzi per attendere il piattoforte che i cuochi, del pari ubbriachi, lasciavano ormai abbruciare.

Alonso incoraggiava tutti a bere, deridendo quelli che resistevano meno degli altri, per spingerli ad attingere sempre nei barili. E quei bruti, per non apparire deboli dinanzi al capo, ingollavano l’ardente liquore a crepapelle, cadendo poco dopo col naso in mezzo agli avanzi dei pesci e delle conchiglie.

— Un ultimo colpo e tutti cadranno per non rialzarsi prima di ventiquattro ore, — si disse Alonso.

A quelli che ancora si reggevano propose una specie di brindisi per festeggiare la vittoria riportata, e quella futura contro la nave attesa. Furono accettati con tanto entusiasmo che al terzo brindisi più nessuno rimaneva seduto.

Tutti erano caduti, in un miscuglio indescrivibile, chi innanzi, chi indietro, russando e singhiozzando rumorosamente.

I cuochi erano pure stramazzati dinanzi alle pire, col pericolo di arrosolarsi le membra. Gli arrosti si carbonizzavano.

Alonso si era alzato.

— Se non approfitto di questo momento, non uscirò mai più dalla Terra del Fuoco, — disse.

Si diresse velocemente verso la capanna, si passò nella cintura alcuni coltelli, ed una scure, si caricò di parecchie corde, prese due moschetti e uscì correndo all’impazzata.

Dinanzi alla capanna dei prigionieri non vegliava nessuno, essendo state le guardie invitate a prendere parte al banchetto.

Fece cadere la traversa di legno ed entrò, dicendo:

— Presto, dormono tutti, seguitemi senza indugio. —

Il primo ad uscire era stato Piotre. I due cugini si guardarono biecamente, senza salutarsi, senza scambiare una sola parola. Nè Alonso voleva ringraziare l’altro d’aver armata la nave per quella pericolosa spedizione, nè il baleniere per aver avuto salva la vita.

Ambedue sentivano per istinto che il loro odio, lungi dal calmarsi, si era maggiormente acuito e che doveva all’uno o all’altro riuscire fatale.

Il signor López, indovinando lo stato e l’eccitazione dei loro animi e temendo uno scoppio che poteva riuscire fatale in quel momento, si era affrettato a raggiungerli, dicendo:

— Andiamocene subito, prima che gli Ona si accorgano della nostra fuga. —

Alonso si era accostato al vecchio esploratore, tendendogli la mano.

— Grazie, signor López, — gli disse. — Non speravo di rivedere più mai colui che un giorno diventerà per me un secondo padre. —

Mariquita giungeva assieme a Pardo, il quale se aveva la testa rotta, aveva nondimeno le gambe ancora solide.

— Nessuno se n’è accorto? — chiese.

— No, Mariquita, — rispose Alonso. — Sono tutti ubbriachi, e nessuno ci darà alcun fastidio, per ventiquattro ore per lo meno. —

Diede al signor López un moschetto e delle munizioni, quindi, additando la tenebrosa gola che s’apriva dinanzi a loro, aggiunse:

— Là vi è la libertà; partiamo senza indugio. —

Si misero in cammino, procedendo con passo rapido. Alonso, pratico dei luoghi, camminava dinanzi a tutti, seguito dal signor López, poi veniva Mariquita col vecchio Pardo e ultimo Piotre, più cupo che mai.

Scesero la gola quasi di corsa, nel più profondo silenzio, attraversarono il bosco di faggi senza prendere un momento di riposo e senza parlare, quindi presero la via delle colline, raddoppiando il passo.

Il mare brontolava sulla spiaggia ed il vento marino portava fino a loro le emanazioni saline. Non avevano da percorrere che qualche chilometro per giungere alla costa, quando Alonso si fermò bruscamente, dicendo:

— Siamo seguiti.

— Da chi? — chiese Piotre, corrugando la fronte.

— Dai selvaggi.

— Come lo sapete voi? Che sia qualche nuovo tradimento ordito da qualcuno?... Non mi sorprenderei giacchè qualcuno di noi è di troppo.

— Io o voi? — chiese Alonso ironicamente.

— Piotre! Alonso! — gridò il signor López, gettandosi in mezzo a loro. — Pensate al pericolo che ci minaccia e non già ai vostri odii che dovrebbero già essere ormai estinti. —

Mariquita si era accostata al baleniere, prendendolo per una mano e sussurandogli in un orecchio.

— Tacete: volete perdervi? —

I due rivali si misurarono per qualche istante collo sguardo, poi si rimisero in cammino.

— Siete sicuro che siamo inseguiti? — chiese il signor López ad Alonso. — Non potreste ingannarvi?

— Vi dico che ci danno la caccia, — rispose l’ex capo degli Ona. — Può darsi che qualcuna delle bande che ho mandato verso le coste settentrionali della baia si sia spinta fino qui per meglio sorvegliare la spiaggia e che ci abbia scorto.

— In tale caso ci mancherebbe il tempo di costruire la zattera.

— So dove si trovano dei canotti e mi dirigo precisamente verso quella cala, per essere pronti a fuggire.

— E affronteremo il mare su quelle deboli scialuppe?

— Pel momento sì, poi torneremo, se potremo, — rispose Alonso.

Si fermò e si guardò alle spalle, facendo segno a tutti di non parlare, poi accostò un orecchio al suolo.

— Sì, c’inseguono, — disse poi, rialzandosi. — Fuggiamo presto. —

Avevano presa la corsa. Anche il vecchio Pardo, quantunque ferito, precipitava il passo, sorretto da Piotre.

Già si trovavano a poche centinaia di passi dalla spiaggia, quando udirono delle grida. Una torma di selvaggi era uscita dai boschi e scendeva velocemente le colline.

— Eccoli! — gridò il signor López.

— Seguitemi, — disse Alonso, con un gesto imperioso.

Si dirigeva verso alcune rocce le quali pareva che celassero qualche piccola cala e che si spingevano molto innanzi nella baia, formando due piccoli promontori.

I fuggiaschi scalarono velocemente le rupi e scesero la parte opposta senza rallentare.

Colà si estendeva un tratto di spiaggia sabbiosa e si vedevano arenati parecchi di quei canotti usati dai fuegini, fatti con scorze d’albero riunite e spalmate di resina.

Alonso stava per slanciarsi verso il più grosso e che pareva anche il più solido, quando Piotre lo fermò, dicendo:

— Legatene due insieme, signor Gutiérrez, resisteranno meglio alle onde. Datemi ora la vostra scure.

— Che cosa ne volete fare? — chiese Alonso.

— Lo vedrete: occupatevi dei due canotti voi. —

Prese la scure e si mise a tempestare le altre imbarcazioni, sfondandole una ad una.

— Così renderò impossibile un inseguimento sul mare da parte dei selvaggi. —

Intanto Alonso e il signor López univano frettolosamente i due più grossi canotti, legandoli solidamente l’uno a fianco all’altro. Avevano appena terminato, quando comparvero gli Ona. Erano una cinquantina e sembravano furibondi.

— Il capo bianco fugge! — gridavano.

Alonso ed il signor López scaricarono i loro moschetti, poi balzarono nei canotti dove già si trovavano Mariquita e Pardo.

Piotre stava in quel momento spezzando gli ultimi, senza curarsi delle freccie e dei giavellotti che già grandinavano.

— Fuggiamo! — gridò Alonso, afferrando i remi per allontanare i due canotti.

— E Piotre! — gridò Mariquita, fermandogli le braccia.

Un lampo feroce balenava negli occhi dell’argentino; la sua faccia dimostrava in quel momento un odio terribile.

— Lui! — esclamò. — Se la sbrighi come può.

— Tu non commetterai una tale infamia, Alonso! — gridò Mariquita.

— Mi libero d’un rivale pericoloso, — rispose l’ex capo degli Ona, con accento d’odio, tentando di allontanare i canotti.

Pardo ed il signor López si erano gettati su di lui strappandogli dalle mani il remo.

— Noi non vi permetteremo di commettere una simile viltà, — disse il vecchio esploratore con indignazione.

— Lasciatelo andare, — rispose Alonso. — Ci sarebbe d’impaccio. —

Mariquita dinanzi a tanta infamia, aveva mandato un grido d’orrore, poi aveva raccolto uno dei moschetti, armandolo precipitosamente e facendo atto di balzare sulla spiaggia.

— Dove vai Mariquita? — chiese il signor López.

— A morire con Piotre, — rispose la giovane.

Alonso pronunciò una bestemmia.

Il baleniere, che non si era accorto di nulla, aveva allora finito di spezzare l’ultima imbarcazione... In pochi salti raggiunse i fuggiaschi, passando fra una tempesta di dardi e di giavellotti e balzò nei canotti, gridando con voce tuonante:

— Ai remi! —

Tutti, eccettuato Alonso, che si era seduto a prora d’una scialuppa, pallido di rabbia, avevano afferrate le pagaie.

Uscirono velocemente dalla cala e si spinsero in mezzo al golfo, mentre gli Ona, impotenti a seguirli, si sfogavano con urla e con una inutile grandine di proiettili d’ogni specie. La notte era oscurissima e nebbiosa, ma, non soffiando il vento, non vi erano ondate così forti da compromettere la poca resistenza che offrivano i due canotti. Anche l’Atlantico sembrava tranquillo non udendosi al largo lo scroscio dei cavalloni.

Nondimeno i fuggiaschi non si sentivano tranquilli su quei fragili schifi che potevano da un momento all’altro guastarsi ed affondare. E poi nella fretta di sottrarsi all’inseguimento dei selvaggi non si erano occupati di portare con loro nè una goccia d’acqua dolce, nè alcuna provvigione.

— Dove andremo a finire noi? — chiese il signor López, vedendo che Piotre dirigeva i canotti fuori della baia.

— Fuggiamo, — rispose il baleniere. — Prima che sorga l’alba dobbiamo essere ben lontani di qui. I selvaggi avranno già dato l’allarme e siccome i canotti non mancano a loro, non tarderanno a mettersi in caccia.

La nostra salvezza sta nella nostra rapidità.

— Saremo costretti ad approdare in qualche luogo. Queste scialuppe non resisteranno molto all’urto delle onde dell’oceano, nè potrebbero servirci per riguadagnare lo Stretto di Magellano che è così lontano.

— Vedremo di raggiungere qualche isola, — rispose Piotre. — Su queste coste non mancano degli uccelli e scioglieremo della neve per procurarci dell’acqua.

— Se incontrassimo qualche nave!

— In questa stagione? I balenieri si trovano tutti al sicuro nei loro porti, nè si muoveranno prima di tre mesi.

— E come faremo noi a resistere un così lungo tempo su un’isola deserta, privi di tutto? — chiese Mariquita.

— Non lo so, — rispose Piotre.

— Morremo, ecco tutto, — disse Alonso con un triste sorriso.

— Se può far piacere a voi, non garba affatto agli altri, — rispose Piotre.

— Ci tenete alla vita, voi?

— Oggi sì.

— Vedremo se la salverete.

— Chi me la minaccia? Voi, forse?

— Piotre, — esclamò Mariquita, vedendo che il baleniere s’alzava minaccioso.

Il signor López si era pure levato, pronto ad intromettersi, mentre Pardo si era posto dinanzi ad Alonso il quale si frugava nella cintura come se cercasse il coltello.

Il baleniere era tornato a sedersi, riprendendo le pagaie.

— Pensate a salvare Mariquita, — disse il signor López, — e non dimenticate che ci troviamo su due deboli canotti che possono sfasciarsi al menomo urto. —

Ripresero la navigazione, in apparenza tutti tranquilli. Anche Alonso aveva prese due pagaie per accelerare la corsa.

Erano allora usciti dalla baia e correvano sulle onde dell’oceano, dirigendosi verso il nord.

L’Atlantico era nebbioso ed ingombro di banchi di ghiaccio, che le correnti spingevano, con notevole velocità, verso il settentrione. Parecchi avevano delle dimensioni enormi, misurando varie centinaia di piedi, sia in lunghezza che in larghezza.

— Signor Piotre, — disse il vecchio Pardo, — non sarebbe meglio rifugiarsi su uno di quei banchi? Sono solidi, resistono a lungo e salgono tutti verso le coste americane.

Valgono meglio di questi pessimi canotti che un urto può distruggere.

— Approvo la vostra idea, — rispose il baleniere. — Affidiamoci ad uno di quei ghiacci e mettiamo a secco queste scialuppe. Avremo così maggiore probabilità di raggiungere lo Stretto di Magellano.

— Potremo procurarci dei viveri? — chiese il signor López.

— Gli uccelli marini e anche i leoni di mare si posano volentieri sui fianchi di ghiaccio, — rispose Piotre. — Ne troveremo sempre.

— Approfittiamo, — disse Pardo. — Ecco là un banco che fa per noi. —

Una gigantesca lastra di ghiaccio, che sorreggeva nel mezzo una collinetta, passava in quel momento a due o trecento metri dai canotti. Aveva una circonferenza di un trecento metri ed uno spessore tale da non temere che si dovesse fondere molto presto.

I fuggiaschi, con pochi colpi di pagaia, la raggiunsero e aiutandosi l’un l’altro vi si arrampicarono sopra, non dimenticando di portar su anche i canotti che potevano diventare ancora utilissimi, sia per passare su qualche altro banco, sia per approdare a qualche isola dove rifornirsi di selvaggina.

— Il ghiaccio è spesso, — disse Piotre. — Potrà durare cinque o sei settimane e la corrente lo spinge verso il nord.

— Vi è una cosa che m’inquieta, — disse Pardo.

— Quale?

— Che il banco, con quella collina che ha nel mezzo, un giorno si squilibri, si rovesci.

Salendo troveremo acque sempre meno fredde, le quali roderanno a poco a poco la parte immersa del ghiaccio.

— Quando ce ne accorgeremo lo lasceremo, — rispose Piotre. — Per ora non mi pare che questo pericolo esista, perchè non sento io alcuna ondulazione.

— Ci costruiremo un ricovero, — disse il signor López.

— I materiali non mancano qui, — rispose il baleniere. — Innalzeremo una capanna che ci metta al coperto da questo vento freddissimo e anche dalle onde.

Aspettiamo l’alba. —

CAPITOLO XXI.

Un dramma su un banco di ghiaccio.

I fuggiaschi, accoccolati gli uni presso gli altri, fra i due canotti che avevano sciolti, e che bene o male li difendevano dai soffi gelati del vento marino, passarono il rimanente della notte vegliando.

Il banco di ghiaccio, trascinato dalle correnti polari che salgono verso l’Atlantico e aiutato anche dal vento che soffiava da mezzodì facendo presa sulla collinetta, continuava ad allontanarsi dalla baia di S. Sebastiano, sottraendo così i fuggiaschi ai pericoli d’un inseguimento da parte dei fuegini, i quali non avrebbero osato andarli a cercare sull’oceano.

Durante quelle lunghe ed angosciose ore, nessuno aveva parlato. Inoltre, eccettuato forse Piotre, erano tutti così preoccupati e così tristi, da non averne affatto voglia.

Tutti si chiedevano con terrore come sarebbe finita quella corsa sull’oceano, su quel pezzo di ghiaccio, in balìa delle onde e dei venti, senza viveri, senza coperte per ripararsi dai freddi che potevano diventare da un momento all’altro intensi. Il signor López, Mariquita, ed il vecchio Pardo avevano poi ben altro motivo per essere maggiormente inquieti: l’odio fra i due cugini che da un istante all’altro poteva scoppiare terribile e terminare in una tragedia.

Il signor López aveva già compreso che nel cuore della giovane araucana doveva essere avvenuto un cambiamento in favore del baleniere e che Alonso doveva aver perduto il suo posto. L’atto risoluto, compiuto da Mariquita, di accorrere in aiuto del fiero e valoroso pescatore di balene, quando Alonso aveva tentato di abbandonarlo fra i selvaggi, era stato per lui una rivelazione e, dobbiamo dirlo, non ne aveva provato alcun rammarico. Durante il viaggio aveva avuto campo di apprezzare le infinite qualità del baleniere, ben superiori a quelle di Alonso, il quale aveva perduto, d’un solo colpo, le sue simpatie per la poca generosità mostrata verso l’uomo che aveva affrontato tanti pericoli per andarlo a salvare.

Lo preoccupava invece la gelosia di ambedue, gelosia che già prevedeva violentissima e terribile, e Pardo, che aveva pure indovinato ciò che doveva essere avvenuto nell’animo dell’araucana, condivideva egualmente i suoi timori.

Tuttavia la notte passò tranquilla, senza che i due cugini si fossero mai guardati, nè avessero in modo alcuno dato segno dell’eccitazione che regnava nei loro animi.

Appena alzatosi il nebbione e fattasi un po’ di luce, Piotre aveva lasciato il suo posto portando con sè uno dei due moschetti ed un coltello, dicendo quasi allegramente:

— Andiamo a guadagnarci la colazione, prima di metterci al lavoro. Sono già dodici ore che siamo a digiuno. —

Ed era vero, perchè i selvaggi non si erano ricordati di dare loro da mangiare durante la prigionia nella capanna e le disgraziate vicende del mattino non avevano acconsentito loro che di ingoiare qualche biscotto.

Il baleniere si era quindi allontanato, sperando di poter sorprendere qualche leone marino, ciò sarebbe stata una vera fortuna, o per lo meno di abbattere alcuni uccelli marini i quali non dovevano mancare su quel banco.

Il vecchio Pardo, che si sentiva un po’ meglio, poco dopo l’aveva seguito, portando con sè il secondo moschetto, non già coll’intenzione di aiutare il baleniere, bensì per non lasciare alcuna arma da fuoco nelle mani di Alonso. Sapeva già che Piotre era troppo destro per aver bisogno d’un vecchio ferito.

I due pescatori di balene si gettarono in mezzo ai monticelli di ghiaccio, i quali formavano delle piccole barriere sufficienti a nasconderli e s’avanzarono tacitamente lungo i margini del banco, perlustrando i crepacci dentro i quali potevano trovare qualche leone marino ancora addormentato.

Come avevano previsto, moltissimi uccelli marini avevano preso domicilio sul banco.

Udivano i micropteri muggire dietro i monticelli e vedevano volare in mare molti marangoni ed anche dei rompitori d’ossa grossissimi.

— Ci rifaremo con questi volatili se non troveremo alcuna foca, — disse Pardo al baleniere, il quale si era fermato sull’orlo d’un crepaccio assai profondo. — Cerchiamo di non spaventarli, perchè non lascino troppo presto questo banco.

— Hanno i loro nidi qui, — rispose Piotre, — quindi non sgombreranno prima che siano nati i piccini. E poi voi sapete quanto siano stupidi questi volatili e come si lascino sterminare senza protestare.

— Se ne ammazziamo troppi rimarremo poi senza, signor Piotre. Andiamo cauti colle nostre provviste.

Lo stretto di Magellano è molto lontano e chissà quando vi arriveremo, e se vi arriveremo! I venti possono spingere questo banco in mezzo all’oceano invece di accostarci alla terra.

— Ed è questo che m’impensierisce, vecchio Pardo, — rispose il baleniere. — Non so che cosa accadrà di noi quando questo ghiaccione comincerà ad assotigliarsi e lo vedremo mancarci sotto i piedi.

— Abbiamo i canotti.

— Che ci serviranno ben poco.

— Non ci scoraggiamo.

— Non sarò io quello che perderà il coraggio, anzi per non spaventare quella povera Mariquita mi mostrerò sempre fiducioso. Lasciamo i tristi pensieri e occupiamoci della colazione. —

Girarono il crepaccio e continuarono ad avanzarsi, senza scoprire alcuna foca.

All’estremità del banco si trovarono invece in mezzo ad uno stuolo di micropteri i quali stavano covando le loro uova deposte entro piccole cavità tappezzate con poche alghe marine e con penne.

I volatili, vedendosi disturbati, si erano alzati furiosi, gridando e sbattendo i loro moncherini spelati che tengono loro luogo d’ali.

Si erano precipitati in ranghi serrati contro i due pescatori, beccando le loro gambe e saltando per privarli degli occhi. Piotre e Pardo, a calciate di fucile ne uccisero una dozzina e avrebbero continuata la strage se quei poveracci, accortisi finalmente della loro impotenza, non avessero preso il partito di tuffarsi in mare, allontanandosi velocemente dal banco. I due balenieri misero a sacco i nidi, scegliendo le uova che parevano più fresche e riempiendosene le tasche, poi, caricatisi degli uccelli, se ne tornarono verso i compagni. I viveri erano assicurati per alcuni giorni, viveri poco gradevoli essendo la carne di quei volatili nerastra ed oleosa e avendo le uova un gusto di rancido e di pesce.

Tuttavia, in mancanza di meglio, era necessario contentarsene.

— Che abbondanza! — disse il signor López, vedendoli ritornare così carichi.

— E senza consumare una carica di polvere, — disse Pardo. — La carne vale poco, nondimeno quando si corre il pericolo di morire di fame, tutto diventa buono.

— Cibi da selvaggi, — saltò su a dire Alonso, gettando uno sguardo sprezzante sui volatili.

— Non avevamo di meglio, signor Alonso, — rispose Pardo, un po’ piccato. — Se avessimo potuto scoprire delle costolette e dei biscotti avremmo portato le une e gli altri, ma qui non se ne trovano purtroppo.

— Dei volatili che gli Ona stessi sdegnerebbero.

— Potevate andarne a cercare voi, altri migliori, signore. — disse Piotre, corrugando la fronte. — Poteva darsi che l’ex capo dei selvaggi avesse scoperto altri volatili più degni di lui. —

Alonso si era alzato, pallidissimo, guardandolo torvamente; il baleniere sostenne quello sguardo nel quale si vedeva balenare una intensa fiamma d’odio.

Mariquita che temeva uno scoppio, le cui conseguenze non si potevano prevedere, intervenne, dicendo:

— Ci contenteremo. Anche i naufraghi, quando non hanno più viveri, si pascono di questi uccelli e noi ci troviamo nelle identiche condizioni dei naufraghi, se non peggiori.

Grazie, Piotre, ed anche a voi Pardo.

— Sì, ben preparati, non sono poi troppo cattivi i micropteri, — disse il signor López. — Privati del loro grasso, che ci darà anzi dell’olio per accendere un po’ di fuoco, sono ancora passabili. Ci penso io.

— Ed il fuoco per cucinarli? — chiese Mariquita.

— Abbiamo i fornelli dei fuegini nei canotti e ce ne serviremo. Non mancano le corde che ci serviranno da lucignoli.

L’arrosto non riuscirà certo molto squisito, tuttavia sapremo adattarci alle circostanze.

Finchè preparate la casa, io mi occuperò della cucina.

— Ed io ti aiuterò, padre, — disse la giovane araucana.

— E poi abbiamo parecchie dozzine d’uova, — aggiunse Pardo. — Se non saranno molto gustose, saranno almeno sostanziose. —

I due balenieri vuotarono le tasche, formando un bel mucchio d’uova, poi esaminarono il ghiaccio per cercare il punto migliore ove innalzare la capanna.

Vi erano parecchi cumuli di ghiaccio limpidissimo, a pochi metri dai due canotti, che potevano dare dei materiali eccellenti. Pardo e Piotre, armatisi della scure, si misero a tagliare dei grossi quadri, disponendoli poi all’intorno, l’uno sull’altro. Il freddo era diventato così intenso, che quei blocchi si saldavano subito senza bisogno di versarvi sopra dell’acqua per gelare le fessure.

Alonso non si era mosso per aiutarli. Se ne stava seduto su un cumulo, guardandoli con aria così ironica, da far arrabbiare il baleniere. Già due o tre volte questi aveva interrotto il lavoro, fissando in modo provocante l’ex capo dei selvaggi.

Finalmente, non potendo più contenersi, la sua ira scoppiò.

— Mi pare che ridiate, — gli disse. — Ridete perchè noi stiamo costruendo un ricovero che servirà pure a voi?

— Può darsi che io sorrida, — rispose Alonso, con accento beffardo. — Vi pare che valga la pena di affannarsi tanto per prepararsi una tomba?

— Una tomba!

— Ho udito il banco scricchiolare poco fa, e ciò indica che fra non molto farà un bel capitombolo che travolgerà tutti noi.

— Voi cercate d’ingannarci, — gridò Piotre, il quale aveva provato un brivido d’angoscia.

— Vi dico che noi andremo tutti, e che Mariquita non apparterrà nè a me, nè a voi.

— A voi, no, — rispose Piotre, — anche se dovessimo salvarci.

— Ah! — ghignò Alonso. — Avreste la pretesa di prendermela?

— Ve l’ho già presa. —

L’ex capo dei selvaggi si era alzato, mandando un urlo rauco.

— Che cosa avete detto? — gridò.

— Che Mariquita non è più la vostra fidanzata.

— Voi mentite!

— Signor Piotre, — disse Pardo, cercando di trattenerlo.

Il baleniere lo respinse dolcemente e avvicinandosi ad Alonso, gli disse, con voce fredda, staccando ogni parola:

— Vi dico che Mariquita non è più vostra e che mi ha giurato di diventare mia moglie. —

In quel momento la giovane araucana ed il signor López, attirati da quell’alterco, avevano abbandonati precipitosamente i canotti dove stavano preparando la colazione, bruciando il grasso estratto dai micropteri.

Alonso si era precipitato verso Mariquita afferrandola strettamente pei polsi.

— È vero quanto ha detto quell’uomo? — le gridò, con voce sibilante.

— Non so di che cosa si tratta, calmatevi... perchè questa contesa?

— Egli ha affermato che tu non sei più mia.

— È vero, — mormorò la giovane abbassando il capo.

— E tu osi dirmelo sul viso?

— Ho fatto solenne giuramento di diventare sua moglie, per costringerlo ad armare la sua nave e salvarti.

— E manterrai questo giuramento?

— Lo manterrò, — rispose Mariquita, con voce ferma. — Piotre mi ha dato tali prove di affezione, come nessun altro uomo avrebbe potuto darmene, tu compreso, ed oggi io lo amo.

— Ed io?

— Piotre ti ha salvato.

— Vile femmina! — urlò Alonso, alzando su di lei il pugno.

Piotre, che fino allora era rimasto immobile e silenzioso, con un salto si era slanciato fra Alonso e Mariquita, gridando.

— Tocca mia moglie se l’osi! —

— Signor López, — disse Alonso, fuori di sè. — E voi permetterete che ciò accada!

— Io vi ho amato come un figlio perchè vi ho creduto leale e gentiluomo, ma ieri sera mi avete dato una prova della bassezza del vostro animo, cercando di far divorare dai selvaggi Piotre.

Voi non siete più degno della mia stima, signor Gutiérrez: essa è passata a vostro cugino che ormai la gode intera.

— Morite tutti! —

Con un gesto fulmineo aveva estratto il coltello e si era avventato contro Piotre.

Il baleniere in quel momento era inerme, pure non si spaventò.

Fece un balzo indietro evitando il colpo che avrebbe dovuto spaccargli il cuore e si mise sulla difensiva, contando sulla propria agilità e sulla forza prodigiosa che possedeva.

Il vecchio Pardo, con un moto istintivo si era gettato fra i due rivali, ed aveva ricevuto il colpo destinato al baleniere, cadendo col petto squarciato.

— Assassino! — ebbe appena il tempo di esclamare.

Alonso, che pareva fosse diventato pazzo, si era avventato per la seconda volta contro Piotre, mentre Mariquita ed il signor López tentavano di arrestarlo.

Ad un tratto sembrò che il suolo sfuggisse sotto ai piedi di tutti. Una terribile scossa aveva fatto sussultare il banco, seguita da mille scricchiolii.

Il signor López aveva mandato un grido d’orrore.

— Fuggite! Il banco si rovescia! —

Mancava il tempo. Tutti erano caduti e rotolavano, mentre il banco, perduto il suo appiombo, s’inclinava rapidamente. Le acque avevano minata la sua base e stava per capovolgersi. Piotre, con uno sforzo supremo, aveva raggiunta Mariquita nel momento in cui scivolava verso il mare e si era precipitato fra le onde nuotando celeremente.

S’udì una detonazione enorme, poi una ondata gigantesca coperse tutti travolgendoli. Il banco si era rovesciato, ma girava su sè stesso rimontando a galla. La cima era diventata la nuova base: la collina ne formava il vertice immerso.

Quando Piotre, che non aveva abbandonata Mariquita, emerse, il ghiaccio aveva ripreso il suo nuovo equilibrio, presentando dei margini meno elevati di prima che si potevano facilmente scalare.

Il baleniere, sospinto anche dall’onda, potè riaccostarlo e deporre sul banco Mariquita.

— Mio padre!... Mio padre! — gemette la povera fanciulla.

Piotre aveva girato intorno uno sguardo.

— Eccolo! — gridò.

Due uomini si affannavano fra la spuma, facendo sforzi prodigiosi per tenersi a galla: erano il signor López e Alonso.

Il primo non sembrava che avesse sofferto in quel terribile capitombolo; l’altro invece aveva la testa sanguinante. Qualche pezzo di ghiaccio, staccatosi dalla collina, doveva averlo colpito. Piotre si era gettato nuovamente in acqua. Raggiungete il signor López e trarlo sul banco, fu cosa di pochi istanti.

— Grazie, Piotre, — mormorò il vecchio. — All’altro ora. È ferito e sta per affogare. —

Il baleniere, invece di tornare ad immergersi, incrociò le mani sul petto, guardando freddamente Alonso che sembrava agli estremi.

— Piotre! — gridò Mariquita. — Non lo lasciar morire! Sii ancora generoso. —

Il baleniere ebbe un’ultima esitazione, poi disse:

— È vero, vi avevo promesso di ricondurvelo salvo a Punta Arenas. —

E si slanciò risolutamente fra le onde.

Aveva raggiunto Alonso e stava per afferrarlo, quando questi con una spinta gli fu addosso serrandogli le mani attorno al collo e avvinghiandoglisi colle gambe alla persona per impedirgli di nuotare.

— Lasciami! — rantolò Piotre che si sentiva affondare e soffocare.

— No, — ruggì Alonso. — Morremo insieme e nessuno avrà Mariquita. —

La giovane araucana, atterrita, li vide scomparire, poi riapparire a galla sempre strettamente avvinghiati poi tornare a immergersi.

Un grido straziante le lacerò il petto.

— Oh, mio Piotre! —

Ad un tratto una testa emerse presso il banco. Era quella del baleniere.

La sua forza straordinaria aveva trionfato ancora una volta. Si era liberato dalle strette di Alonso e questi esausto dalla lotta, e per la perdita di sangue, era colato a fondo.

Giusta punizione d’un miserabile ingeneroso.

Mariquita, vedendolo riapparire, gli aveva stese le braccia, aiutandolo a salire sul banco.

— Perdonami, Piotre, — disse.

— Grazie, — rispose invece il baleniere. — Ora nessuno più verrà a disputarti. —

Un grido li interrupe:

— Una nave!... Una nave! —

Era il signor López, che lo aveva mandato.

Un piroscafo che era uscito fra una nuvola nebbiosa, si dirigeva verso il banco a tutto vapore.

Aveva scorto quei due uomini e quella fanciulla e correva a salvarli.

CONCLUSIONE

La nave, che era giunta in così buon momento, era un piccolo incrociatore cileno, proveniente da una campagna idrografica fatta al sud della Terra del Fuoco e che stava per tornarsene in patria.

Piotre, il signor López e Mariquita ebbero la più festosa accoglienza a bordo, dove trovarono un ufficiale che avevano già conosciuto a Punta Arenas.

Il comandante della nave, apprese le loro straordinarie avventure, prima di abbandonare quei paraggi, dietro preghiera di Mariquita, fece esplorare dalle scialuppe i dintorni del banco per veder di ritrovare i cadaveri di Alonso e del vecchio Pardo. Riuscite inutili le ricerche, aveva ripreso la corsa verso il nord.

Quattordici giorni dopo imboccava lo stretto di Magellano, allora sgombro di ghiaccio, sbarcando i naufraghi a Punta Arenas.

Mariquita ha mantenuto il giuramento, ha sposato il valoroso baleniere ed ora naviga, su una nuova barca da pesca, seguendo il marito nelle pericolose caccie ai giganti del mare, assieme al signor López che non ha voluto più lasciarli.

FINE

Correzioni

Refusi ed altri errori

 

1518>1520

1815>1813

49° 50°>49°-50°

alcatraus>alcatraces

alciop>alciope

allatraces>alcatraces

Aman>Anian

Artico>Antartico

auraucano>araucano

Bernard>Barnard

Biagle>Beagle

Buenos Ayres>Buenos Aires

Buenos-Aires>Buenos Aires

bolacs glibaria>bolax glebaria

bolacs>bolax

bolaseglebaria>bolax glebaria

Capo John>St John

Carraco>Canario

Cavendisch>Cavendish

cheucan>cheucau

chigophore>rhizophore>>Rhizophora

Chindia>Chincha

chlaephaghe>chloephage

chlolphaghe>chloephage

chocphaghe antartici>chloephage antartici>>chloëphaga antarctica

choles>cholos

cinquantasette>cinquantotto

Cookburn>Cockburn

Dawsore>Dawson

Doranovo>Darranos

Doughly>Doughty

Dungéness>Dungeness

English Reak>English Reach

Ersoked Reak>Crooked Reach

eystophare leonine>cystophore leonine>>cystophora leonina

Fakà>Takà

Farol>Faroe

Fikeenico>Tekeenica

fiord>fjord

fistrolarie>fistularie

flocchi>fiocchi

formales>tamales

Fortiscue>Fortescue

Forward>Froward

Garcia da Lopes>García de Loaysa

genchos>gauchos

globasc>bolax

Grofton>Grafton

guaiotas>gaviotas

guie-guil>guid-guid

Honas>Ona

Hornas>Hornos

huaneras>huanera

huigual>huingán

jacmusa>yecamush

kolchi>kotchi

Lama>Lomas

Long-Reak>Long Reach>

Mammouth>Monmouth>

matu chancha>matu cancha

monte Fava>Tarn

mormorò il pescatore>mormorò il cacciatore

nadù>nandù

notanti>natanti

nothothenie>notothenie>>nothothenia

Pehuen>Pehuen-chè

Pekerai>Pecherais

phaebetria fuliginose>phoebetria fuliginosa

Plaza Parda>Playa Parda

prion-tantur>prion turtur

pronunciamentos>pronunciamientos

ravé>rovi

ronda>tolda

Rosita>Quiqua

rullus>rallus

quartel>cuartel

quincha malin>quinchamalin>>quinchamali

Qurney>Burney

Sacmusa>Yecamush

Sandwik>Sandwich

Sarcito>Sancho

scendere>sedere

sebaste>sebastes

sebastis>sebastes

senops aura>oenops aura

Sloggit>Sloggett

sobrero>sombrero

Solano Pananos>Darranos

Taku>Takà

tanaghe>tanagre

Tichon>Triton>>Tritón

toldas>toldos

troglo-dytos>troglodytes>>troglodytes magellanicus

Tubun>Tribune>>Tribuno

Tuel-Ke>Tehuelche

Una>Ona

urie>urile

Vinter>Winter

vischacha>vizcacha

vischache>viscacce

williwans>williwaws

Yacanokung>Yacana-kunny

yachicho>yachiko

Yaco-ena>Yaccy-ma

Yacu-ena>Yaccy-ma

Yacy-ena>Yaccy-ma

Yam-ena>Yaccy-ma

Yaue-ana>Yaccy-ma

Yerry-Yupor>Yerri Yuppon

 

Ispanizzazioni

 

Alonzo Gutierres>Alonso Gutiérrez

Chiloe>Chiloé

chiripa>chiripá

El Morion>El Morrión

Gomez>Gómez (Esteban Gómez o Estêvão Gomes)

guinapo>guiñapo

Jesus>Jesús

Lopez d’Orellana>López de Orellana

Lopez>López

Pardoe>Pardo

Pillan>Pillán

Rio de las Minas>Río de las Minas

tolderia>toldería

 

Errori non corretti

 

casariti>>caseriti

Ciudad Real de San Felipe>>ciudad del Rey Felipe

Dalmanda>>Dalmada o de Almada

di chicha e di guiñapo>>di chicha

Elefanti>>isola Elefante

Falkland>>Malvine

fosfati di calce>>fosfati di calcio

hacienderos>>hacendados

huanera>>guanera

isola Carlo>>Carlo III o Charles?

isola del Re Giorgio>>isola 25 de Mayo

King-William>>Rey Guillermo

Mesier>>Messier

patelle magellaniche>>patella magellanica

piante fitte>>piantate fitte fitte

Piotre>>Pedro

porto Stokes>>baia Stokes

Punta degli Appiccati>>?

Quiqua>>Quichua

S. Jago>>Santiago bay

S. Maria>>Victoria (Santa María de la Victoria)

San Isidoro>>San Isidro

Sandwich>>Mactán

Second-Narrows>>Segunda Angostura

Tanine>>Tanino


Copyright 2020 Christian Sánchez Lenci – Versione 1 (5/2020), Versione 2 (8/2020)